giovedì 28 aprile 2016

Recensione - L'ultimo cavaliere di Stephen King (Torre Nera #1)

Sono circa tre mesi ormai che sono impegnato nella lettura della saga della Torre Nera di Stephen King. Ormai ho praticamente terminato di leggere l’ultimo volume, e devo dire che mi dispiace molto dover giungere alla parola fine, al punto che, rileggendo l’incipit del primo libro (“L’uomo in nero fuggì nel deserto, e il pistolero lo seguì”), mi è venuta un po’ di nostalgia. Perciò ho deciso di dedicare le mie prime recensioni a questa saga, cominciando dal romanzo che dà inizio alla serie, L’ultimo cavaliere.
Torniamo quindi all’incipit di cui parlavo prima. 


Bello, eh? Io lo trovo azzeccato e in grado di suscitare la curiosità di chi legge, un inizio in medias res di discreta efficacia. Insomma, la prima riga del romanzo mi piace. Il resto, in realtà, un po’ meno.
Vediamo perché.
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Titolo: L’ultimo cavaliere
Autore: Stephen King
Anno: 1982                                                                 
Editore:Sperling & Kupfer
Pagine:224  

 

 

TRAMA


Roland è l’ultimo di una stirpe di pistoleri, ed è all’inseguimento, per motivi che per ora non ci è dato conoscere, di un misterioso uomo in nero. All’inizio troviamo Roland a seguire le tracce dell’uomo in un deserto, dove incontrerà un ragazzino, Jake, proveniente da un altro mondo, un mondo molto più simile al nostro, che invece con quello di Roland, che riporta le tracce di un’antica tecnologia ormai inutilizzabile, ha all’apparenza ben poco a che vedere. Le vite dei due sono legate da una sorta di destino oscuro e incomprensibile, che porta Jake a unirsi all’inseguimento dell’uomo in nero, con tutti pericoli e le insidie che il viaggio comporta, nel tentativo di ottenere risposte riguardo la tanto misteriosa quanto agognata Torre Nera.


LA MIA OPINIONE


È doverosa una premessa. Come si sarà intuito dal mio esordio, a me la Torre Nera piace molto. Tuttavia, non è stato certo questo libro a farmela amare, anzi, se tutta la serie fosse stata a questi livelli sarebbe stata un immenso buco nell’acqua.

King ha scritto L’ultimo cavaliere quando era molto giovane (lo ha rivisto una decina di anni fa, ok, ma fa poca differenza), e si vede. Mamma mia se si vede.

I difetti spuntano come funghi. Anche quando uno prova a far finta di ignorarli, tentando di concentrarsi su quel buono che si può trovare, quelli insistono per essere osservati, sono lì, in bella vista. Non dico che sia tutto marcio, degli elementi buoni o dei pezzi ben scritti ci sono. Ma la media è comunque bassa.

Cominciando con il problema che permea il libro dall’inizio alla fine, quello che proprio non riesce a scollarsi. Roland. Roland è odioso. No, sul serio. Io lo detestavo già a pagina 30, ma più il romanzo prosegue più dà il meglio di sé in quanto ad antipatia. Il fatto è che il giovane King voleva creare un personaggio fiero, in grado di reggere sulle proprie spalle il peso di una storia epica come quella che stava per andare a scrivere. Un personaggio che potesse rivaleggiare con i protagonisti del signore degli anelli e dei film western di Sergio Leone, che King stesso ammette di avere avuto come modelli. E nella creazione di Roland ha esasperato queste caratteristiche.
Roland è oscuro e tormentato, Roland ha un passato misterioso, Roland non ha più sentimenti perché la crudeltà della vita glieli ha consumati tutti, Roland vorrebbe provare pietà ma non ce la fa perché lui ha sofferto troppo per avere fiducia nelle persone. Insopportabile. Il massimo è questo.


Pensieri di colpa, se c’erano stati, eventuali rimorsi, erano svaniti, li aveva cotti il deserto. (pag. 65)                                                                                                                          

E questo viene dopo che Roland ha ucciso una sessantina di persone, privando un paese di tutti i suoi abitanti. Ok, lo stavano aggredendo, ma insomma! Un personaggio, un personaggio vero, forse avrebbe avuto qualche scrupolo, qualche sentimento, Roland no, lui è troppo oscuro e tormentato per provare qualsivoglia emozione che non sia diretta verso se stesso. Ripeto. Insopportabile.

Alla fin fine, il problema principale è che Roland, più che essere un personaggio a tutto tondo, è uno stereotipo, quello, appunto, del personaggio tormentato e misterioso, che non ha nulla da dare al lettore che si aspetta un po’ di più che un protagonista piatto e statico. E a proposito di questo, ci tengo a sottolineare un punto: quello che non mi piace è il Roland de L’ultimo cavaliere, non Roland in generale. Negli altri libri della serie, il personaggio perderà i suoi tratti più tormentati e oscuri, diventando più umano e più sfaccettato: non sarà più semplicemente tenebroso e misterioso, ma sarà gretto, pragmatico, taciturno, diretto, a volte sgarbato, poco incline a esprimere i sentimenti. Non necessariamente simpatico, quindi (io lo ho apprezzato, anche se però i personaggi che in assoluto mi ha fatto piacere seguire sono altri) ma una figura più complessa, che non si limita a ricoprire un ruolo o a rispondere all’idea di un tipo, ma che presenta caratteristiche proprie, in evoluzione e in crescita. Un personaggio come è lecito aspettarsi da uno che come King se c’è una cosa che sa fare bene è caratterizzare.
Sarebbe bastato poco per rendere Roland gradevole anche in questo libro. E invece è soltanto un tizio banale che non è in grado di catturare chi legge e fargli venire voglia di sapere come prosegue la trama.

Che poi, vogliamo davvero parlare della trama? Roland cerca l’uomo in nero, Roland incontra Jake, vivono tante avventure riempitive, Roland trova l’uomo in nero, fine. Uao. Io la chiamo imprevedibilità.
Ok, detta così è ingiusto, perché a onor del vero il finale non è prevedibile, e in effetti l’ultimo capitolo contiene un evento importante (che non rivelo per non fare spoiler), ma è un singolo evento, che non redime una trama che per il resto si snoda priva di particolari colpi di scena e di eventi interessanti. 
Tengo a sottolineare una cosa. È vero che una di quelle vicende che è finita nella categoria “avventure riempitive” in effetti diventerà importante nei libri successivi (anche qui non dico altro per evitare spoiler). Però questo fa poca differenza: se King decide di rendere importante un’avventura riempitiva, questa non smette di essere riempitiva, specialmente perché non è un evento importante ma senza spiegazione e che riceverà una spiegazione in seguito. È proprio un evento che nell’economia del libro non ha alcun ruolo rilevante, se non occupare diverse pagine.

Un’altra caratteristica della trama che salta subito agli occhi è che di molte cose che succedono non si capisce un tubo. Le vicende accadono così, con i personaggi che pare capiscano tutto o facciano finta di niente e il lettore come un beota che cerca di raccapezzarsi in mezzo a questa marea di situazioni che paiono scollegate. 

Cerco di farmi capire. Nel quarto libro i personaggi si trovano in un castello identico a quello del Mago di Oz. È una situazione strana, bizzarra e incomprensibile anche per loro. Una situazione che riceverà una spiegazione indiretta nel sesto volume della saga. Quindi circa settecento pagine più avanti. Però fin dal momento in cui si verifica si percepisce che c’è qualcosa sotto, qualcosa che va chiarito. Inoltre il lettore ha comunque sufficienti elementi per riuscire perlomeno a inquadrare quello che sta succedendo. Ne L’ultimo cavaliere non succede questo. Ne L’ultimo cavaliere le situazioni avvengono perché sì, senza che né i personaggi sentano la necessità di una spiegazione né senza che in qualche modo al lettore sia fatto capire che la riceverà. Soprattutto, il lettore non ha il minimo elemento per dar loro un senso, per intuire qualcosa, è costretto a subirli passivamente , senza capire. Un esempio, l’uomo in nero che mette incinta la predicatrice e Roland che la fa abortire. Io sinceramente non capivo proprio nulla di quello che stava succedendo. Cioè, perché l’uomo in nero fa quello che fa? E perché lo fa Roland? E chi è questo Re che si nomina di sfuggita? Perché il figlio dovrebbe essere suo se è stabilito che è stato l’uomo in nero ad avere avuto rapporti con la predicatrice? Perché Roland va così a colpo sicuro che la predicatrice è incinta? Come fa a saperlo? Perché vuole impedire che abbia il bambino? Perché questa parte sarà dimenticata e non avrà più conseguenze (a parte va bé, ricevere una spiegazione indiretta nel quinto e nel sesto libro)? Capite che è impossibile seguire un libro dove una scena sì e l’altra pure non solo sono incomprensibili ma neppure ben inquadrabili all’interno della trama!
Fortunatamente a essere incomprensibili sono quasi sempre le avventure riempitive, o comunque quelle parti che nello svolgersi immediato della storia hanno un ruolo ben poco influente. I tratti essenziali della trama sono chiari, ed è per questo che prima dicevo che alla fin fine non c’è nulla di imprevedibile, ma il tutto prosegue su binari abbastanza ben definiti.

Se Roland è insopportabile, gli altri personaggi importanti sono impalpabili. L’uomo in nero ha qualche accenno di carattere ma non si va molto oltre. Jake invece è piatto come una sogliola, senza se e senza ma.



La scrittura è spesso impersonale e asettica. Nei punti dove dovrebbe coinvolgere di norma non lo fa, e lascia il lettore indifferente di fronte anche alle peggio cose. Un esempio su tutti, il massacro di Tull, quello cui ho avuto modo di accennare anche prima, il momento in cui Roland così tanto per gradire fa una strage degli abitanti del paese di Tull, che si rivoltano contro di lui. Ecco, non so a voi e non so a King, ma a me sembra che questa scena richiederebbe un minimo di coinvolgimento. Il protagonista è minacciato da molti nemici, come farà a salvarsi? Ecco, credo che nella mente del lettore dovrebbe balenare questo pensiero (nel lettore che non odia Roland e che quindi non spera che gli abitanti di Tull gli facciano la festa, ovviamente), credo che il lettore dovrebbe sentirsi immerso nella scena, sentire lui stesso le mani che lo agguantano, il fiato degli aggressori che ormai sono a una spanna da lui, l’ansia di caricare la pistola prima che qualcuno dia il colpo fatale mentre non ci si può difendere, tutto quello che viene in mente. Invece, la scena è narrata con poca dovizia di particolari e non è esattamente un elenco delle azioni di Roland ma quasi. Manca sensazioni, mancano le emozioni del protagonista, manca tutto quello che rende una scena di questo genere gradevole da leggere. Qualche frase si salva, ma sono un paio in quattro pagine.

Ah, lo stile finto epico è molto difficile da digerire. In certi casi si fa leggere senza problemi, ma in molti altri è un pugno nello stomaco.

In mezzo tutto questo, c’è però qualcosa che si salva? Sì, inaspettatamente sì. Il finale, per cominciare, oltre che dare una svolta inaspettata alla trama è ben scritto, e riesce incredibilmente a coinvolgere e a proiettare il lettore attraverso immagini abbastanza efficaci. Io l’ho letto in una delle giornate più brutte degli ultimi tempi e ovviamente la mia testa vagava per gli affari suoi a riflettere su quello che era appena successo, nondimeno queste poche pagine finali ricordo che hanno trattenuto su di sé la mia attenzione in modo sorprendente. E saper distogliere dalla quotidianità, anche se per un solo capitolo, non può che essere un pregio per un libro.

Ci sono poi i flashback, che, bisogna ammettere, si leggono bene. È vero, sono una brusca interruzione della storia, ma sono decisamente più interessanti della storia stessa, se non altro perché le vicende narrate hanno uno sviluppo più movimentato e meno prevedibile. E perché Roland da giovane è un personaggio se non gradevole almeno non odioso e perché la trama non è annebbiata da avventure riempitive ma procede spedita e scorrevole. Inoltre, il mio pezzo preferito di tutto il libro è proprio contenuto in un flashback, e si tratta del duello di Roland contro Cort, che è riuscito davvero a catturarmi. Voglio dire, pompa parecchio Roland, ma si fa leggere molto bene. Se tutto il libro fosse stato scritto così, la trama sarebbe rimasta comunque inconsistente, ma almeno sarebbe stato più coinvolgente. E sarebbe stato migliore, decisamente migliore.

Tra parentesi, e lo segnalo qui in mezzo ai complimenti anche se ne ho parlato prima, quando non indulge nella retorica finto epica lo stile non è malaccio. È un po’ farraginoso e francamente impedisce una lettura scorrevole, ma si salva.

Stephen King disapprova la mia recensione

IN CONCLUSIONE


L’ultimo cavaliere è un brutto romanzo, che ha qualche pregio ma annega in un oceano di problemi che riguardano qualunque aspetto, dallo stile ai contenuti, dai personaggi all’atmosfera. Eppure è una lettura imprescindibile, perché senza di lui è impossibile capire e apprezzare i successivi libri della serie. E per questo se non per altro vale la pena di dargli un’occhiata.
Inoltre, nonostante tutto non mi è rimasto un brutto ricordo della lettura. Neppure bello, intendiamoci, ma i libri che ho odiato davvero, che mi hanno costretto a chiedermi che cosa stessi leggendo e se davvero l’autore facesse sul serio oppure mi stesse prendendo in giro, sono altri. Qui si sente che l’autore ha bisogno di crescere e migliorarsi. Che ha ancora bisogno di diventare Stephen King.

Prossimamente su questi schermi, si prosegue il viaggio verso la Torre Nera insieme a Roland e ad altri personaggi. E a un romanzo molto migliore di questo.

VOTO:
     

E se non vi bastasse il libro, sta per arrivare anche il film!
Nota a margine: il titolo originale del libro è The gunslinger, che significa semplicemente “il pistolero”. E, visto che Roland è proprio un pistolero, chissà da che cosa sarà venuta a King l’idea per questo titolo? Comunque, sta di fatto che il traduttore italiano, il signor Tullio Dobner, tra l’altro traduttore oltre che di questo di moltissimi altri romanzi di King, ha deciso di trasformarlo ne L’ultimo cavaliere. Scelta che non capisco non solo perché il titolo originale era molto semplice e non presentava problemi di sorta a essere reso tale e quale in italiano, ma anche perché questo nuovo titolo non c’entra un tubo con la trama! Voglio dire, dov’è l’ultimo cavaliere in questo libro? Prego signor Dobner, quando vuole indicarmelo mi faccia un fischio.
Probabilmente la scelta di cambiare il titolo deriva da una volontà di dare al lettore qualcosa che sia in grado di identificare. Intendo, nella limitata visione che molto spesso si ha in Italia, il genere fantasy non è nulla di diverso dal Signore degli Anelli. Con orchi, elfi e spade. Un fantasy con un pistolero? Non sia mai, c’è il rischio che il lettore medio resti disorientato, e poi quei mentecatti dei lettori vogliono sempre la stessa solfa, se diamo loro qualcosa di diverso e originale c’è il rischio che non lo comprino. Quindi vai con un titolo banale che però rimanga nel seminato! Non credo che le cose siano andate molto diversamente da così.