Torniamo
quindi all’incipit di cui parlavo prima.
Bello, eh?
Io lo trovo azzeccato e in grado di suscitare la curiosità di chi legge, un
inizio in medias res di discreta efficacia. Insomma, la prima riga del romanzo
mi piace. Il resto, in realtà, un po’ meno.
Vediamo
perché.
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Titolo:
L’ultimo cavaliere
Autore: Stephen
King
Anno:
1982
Editore:Sperling
& Kupfer
Pagine:224
TRAMA
Roland è
l’ultimo di una stirpe di pistoleri, ed è all’inseguimento, per motivi che per
ora non ci è dato conoscere, di un misterioso uomo in nero. All’inizio troviamo
Roland a seguire le tracce dell’uomo in un deserto, dove incontrerà un
ragazzino, Jake, proveniente da un altro mondo, un mondo molto più simile al
nostro, che invece con quello di Roland, che riporta le tracce di un’antica
tecnologia ormai inutilizzabile, ha all’apparenza ben poco a che vedere. Le
vite dei due sono legate da una sorta di destino oscuro e incomprensibile, che
porta Jake a unirsi all’inseguimento dell’uomo in nero, con tutti pericoli e le
insidie che il viaggio comporta, nel tentativo di ottenere risposte riguardo la
tanto misteriosa quanto agognata Torre Nera.
LA MIA OPINIONE
È doverosa
una premessa. Come si sarà intuito dal mio esordio, a me la Torre Nera piace
molto. Tuttavia, non è stato certo questo libro a farmela amare, anzi, se tutta
la serie fosse stata a questi livelli sarebbe stata un immenso buco nell’acqua.
King ha
scritto L’ultimo cavaliere quando era
molto giovane (lo ha rivisto una decina di anni fa, ok, ma fa poca differenza),
e si vede. Mamma mia se si vede.
I difetti
spuntano come funghi. Anche quando uno prova a far finta di ignorarli, tentando
di concentrarsi su quel buono che si può trovare, quelli insistono per essere
osservati, sono lì, in bella vista. Non dico che sia tutto marcio, degli
elementi buoni o dei pezzi ben scritti ci sono. Ma la media è comunque bassa.
Cominciando
con il problema che permea il libro dall’inizio alla fine, quello che proprio
non riesce a scollarsi. Roland. Roland è odioso. No, sul serio. Io lo detestavo
già a pagina 30, ma più il romanzo prosegue più dà il meglio di sé in quanto ad
antipatia. Il fatto è che il giovane King voleva creare un personaggio fiero,
in grado di reggere sulle proprie spalle il peso di una storia epica come
quella che stava per andare a scrivere. Un personaggio che potesse rivaleggiare
con i protagonisti del signore degli anelli e dei film western di Sergio Leone,
che King stesso ammette di avere avuto come modelli. E nella creazione di
Roland ha esasperato queste caratteristiche.
Roland è
oscuro e tormentato, Roland ha un passato misterioso, Roland non ha più
sentimenti perché la crudeltà della vita glieli ha consumati tutti, Roland
vorrebbe provare pietà ma non ce la fa perché lui ha sofferto troppo per avere
fiducia nelle persone. Insopportabile. Il massimo è questo.
“Pensieri di colpa, se c’erano stati, eventuali rimorsi, erano svaniti, li aveva
cotti il deserto. (pag. 65)„
E questo
viene dopo che Roland ha ucciso una sessantina di persone, privando un paese di
tutti i suoi abitanti. Ok, lo stavano aggredendo, ma insomma! Un personaggio,
un personaggio vero, forse avrebbe avuto qualche scrupolo, qualche sentimento,
Roland no, lui è troppo oscuro e tormentato per provare qualsivoglia emozione
che non sia diretta verso se stesso. Ripeto. Insopportabile.
Alla fin
fine, il problema principale è che Roland, più che essere un personaggio a
tutto tondo, è uno stereotipo, quello, appunto, del personaggio tormentato e
misterioso, che non ha nulla da dare al lettore che si aspetta un po’ di più
che un protagonista piatto e statico. E a proposito di questo, ci tengo a
sottolineare un punto: quello che non mi piace è il Roland de L’ultimo cavaliere, non Roland in
generale. Negli altri libri della serie, il personaggio perderà i suoi tratti
più tormentati e oscuri, diventando più umano e più sfaccettato: non sarà più
semplicemente tenebroso e misterioso, ma sarà gretto, pragmatico, taciturno,
diretto, a volte sgarbato, poco incline a esprimere i sentimenti. Non
necessariamente simpatico, quindi (io lo ho apprezzato, anche se però i
personaggi che in assoluto mi ha fatto piacere seguire sono altri) ma una
figura più complessa, che non si limita a ricoprire un ruolo o a rispondere
all’idea di un tipo, ma che presenta caratteristiche proprie, in evoluzione e
in crescita. Un personaggio come è lecito aspettarsi da uno che come King se
c’è una cosa che sa fare bene è caratterizzare.
Sarebbe
bastato poco per rendere Roland gradevole anche in questo libro. E invece è
soltanto un tizio banale che non è in grado di catturare chi legge e fargli
venire voglia di sapere come prosegue la trama.
Che poi,
vogliamo davvero parlare della trama? Roland cerca l’uomo in nero, Roland
incontra Jake, vivono tante avventure riempitive, Roland trova l’uomo in nero,
fine. Uao. Io la chiamo imprevedibilità.
Ok, detta
così è ingiusto, perché a onor del vero il finale non è prevedibile, e in
effetti l’ultimo capitolo contiene un evento importante (che non rivelo per non
fare spoiler), ma è un singolo evento, che non redime una trama che per il
resto si snoda priva di particolari colpi di scena e di eventi interessanti.
Tengo a
sottolineare una cosa. È vero che una di quelle vicende che è finita nella
categoria “avventure riempitive” in effetti diventerà importante nei libri
successivi (anche qui non dico altro per evitare spoiler). Però questo fa poca
differenza: se King decide di rendere importante un’avventura riempitiva, questa
non smette di essere riempitiva, specialmente perché non è un evento importante
ma senza spiegazione e che riceverà una spiegazione in seguito. È proprio un
evento che nell’economia del libro non ha alcun ruolo rilevante, se non
occupare diverse pagine.
Un’altra
caratteristica della trama che salta subito agli occhi è che di molte cose che
succedono non si capisce un tubo. Le vicende accadono così, con i personaggi
che pare capiscano tutto o facciano finta di niente e il lettore come un beota
che cerca di raccapezzarsi in mezzo a questa marea di situazioni che paiono
scollegate.
Cerco di
farmi capire. Nel quarto libro i personaggi si trovano in un castello identico
a quello del Mago di Oz. È una situazione strana, bizzarra e incomprensibile
anche per loro. Una situazione che riceverà una spiegazione indiretta nel sesto
volume della saga. Quindi circa settecento pagine più avanti. Però fin dal
momento in cui si verifica si percepisce che c’è qualcosa sotto, qualcosa che
va chiarito. Inoltre il lettore ha comunque sufficienti elementi per riuscire
perlomeno a inquadrare quello che sta succedendo. Ne L’ultimo cavaliere non succede questo. Ne L’ultimo cavaliere le situazioni avvengono perché sì, senza che né
i personaggi sentano la necessità di una spiegazione né senza che in qualche
modo al lettore sia fatto capire che la riceverà. Soprattutto, il lettore non
ha il minimo elemento per dar loro un senso, per intuire qualcosa, è costretto
a subirli passivamente , senza capire. Un esempio, l’uomo in nero che mette
incinta la predicatrice e Roland che la fa abortire. Io sinceramente non capivo
proprio nulla di quello che stava succedendo. Cioè, perché l’uomo in nero fa
quello che fa? E perché lo fa Roland? E chi è questo Re che si nomina di
sfuggita? Perché il figlio dovrebbe essere suo se è stabilito che è stato
l’uomo in nero ad avere avuto rapporti con la predicatrice? Perché Roland va
così a colpo sicuro che la predicatrice è incinta? Come fa a saperlo? Perché
vuole impedire che abbia il bambino? Perché questa parte sarà dimenticata e non
avrà più conseguenze (a parte va bé, ricevere una spiegazione indiretta nel
quinto e nel sesto libro)? Capite che è impossibile seguire un libro dove una
scena sì e l’altra pure non solo sono incomprensibili ma neppure ben inquadrabili
all’interno della trama!
Fortunatamente
a essere incomprensibili sono quasi sempre le avventure riempitive, o comunque
quelle parti che nello svolgersi immediato della storia hanno un ruolo ben poco
influente. I tratti essenziali della trama sono chiari, ed è per questo che
prima dicevo che alla fin fine non c’è nulla di imprevedibile, ma il tutto
prosegue su binari abbastanza ben definiti.
Se Roland è
insopportabile, gli altri personaggi importanti sono impalpabili. L’uomo in
nero ha qualche accenno di carattere ma non si va molto oltre. Jake invece è
piatto come una sogliola, senza se e senza ma.
La scrittura
è spesso impersonale e asettica. Nei punti dove dovrebbe coinvolgere di norma
non lo fa, e lascia il lettore indifferente di fronte anche alle peggio cose.
Un esempio su tutti, il massacro di Tull, quello cui ho avuto modo di accennare
anche prima, il momento in cui Roland così tanto per gradire fa una strage
degli abitanti del paese di Tull, che si rivoltano contro di lui. Ecco, non so a voi e
non so a King, ma a me sembra che questa scena richiederebbe un minimo di
coinvolgimento. Il protagonista è minacciato da molti nemici, come farà a
salvarsi? Ecco, credo che nella mente del lettore dovrebbe balenare questo
pensiero (nel lettore che non odia Roland e che quindi non spera che gli
abitanti di Tull gli facciano la festa, ovviamente), credo che il lettore
dovrebbe sentirsi immerso nella scena, sentire lui stesso le mani che lo
agguantano, il fiato degli aggressori che ormai sono a una spanna da lui,
l’ansia di caricare la pistola prima che qualcuno dia il colpo fatale mentre
non ci si può difendere, tutto quello che viene in mente. Invece, la scena è
narrata con poca dovizia di particolari e non è esattamente un elenco delle
azioni di Roland ma quasi. Manca sensazioni, mancano le emozioni del
protagonista, manca tutto quello che rende una scena di questo genere gradevole
da leggere. Qualche frase si salva, ma sono un paio in quattro pagine.
Ah, lo stile
finto epico è molto difficile da digerire. In certi casi si fa leggere senza
problemi, ma in molti altri è un pugno nello stomaco.
In mezzo tutto
questo, c’è però qualcosa che si salva? Sì, inaspettatamente sì. Il finale, per
cominciare, oltre che dare una svolta inaspettata alla trama è ben scritto, e
riesce incredibilmente a coinvolgere e a proiettare il lettore attraverso
immagini abbastanza efficaci. Io l’ho letto in una delle giornate più brutte
degli ultimi tempi e ovviamente la mia testa vagava per gli affari suoi a
riflettere su quello che era appena successo, nondimeno queste poche pagine
finali ricordo che hanno trattenuto su di sé la mia attenzione in modo
sorprendente. E saper distogliere dalla quotidianità, anche se per un solo
capitolo, non può che essere un pregio per un libro.
Ci sono poi
i flashback, che, bisogna ammettere, si leggono bene. È vero, sono una brusca
interruzione della storia, ma sono decisamente più interessanti della storia
stessa, se non altro perché le vicende narrate hanno uno sviluppo più
movimentato e meno prevedibile. E perché Roland da giovane è un personaggio se
non gradevole almeno non odioso e perché la trama non è annebbiata da avventure
riempitive ma procede spedita e scorrevole. Inoltre, il mio pezzo preferito di
tutto il libro è proprio contenuto in un flashback, e si tratta del duello di
Roland contro Cort, che è riuscito davvero a catturarmi. Voglio dire, pompa
parecchio Roland, ma si fa leggere molto bene. Se tutto il libro fosse stato
scritto così, la trama sarebbe rimasta comunque inconsistente, ma almeno
sarebbe stato più coinvolgente. E sarebbe stato migliore, decisamente migliore.
Tra
parentesi, e lo segnalo qui in mezzo ai complimenti anche se ne ho parlato
prima, quando non indulge nella retorica finto epica lo stile non è malaccio. È
un po’ farraginoso e francamente impedisce una lettura scorrevole, ma si salva.
IN CONCLUSIONE
L’ultimo cavaliere è un brutto romanzo,
che ha qualche pregio ma annega in un oceano di problemi che riguardano
qualunque aspetto, dallo stile ai contenuti, dai personaggi all’atmosfera.
Eppure è una lettura imprescindibile, perché senza di lui è impossibile capire
e apprezzare i successivi libri della serie. E per questo se non per altro vale
la pena di dargli un’occhiata.
Inoltre,
nonostante tutto non mi è rimasto un brutto ricordo della lettura. Neppure
bello, intendiamoci, ma i libri che ho odiato davvero, che mi hanno costretto a
chiedermi che cosa stessi leggendo e se davvero l’autore facesse sul serio
oppure mi stesse prendendo in giro, sono altri. Qui si sente che l’autore ha
bisogno di crescere e migliorarsi. Che ha ancora bisogno di diventare Stephen
King.
Prossimamente
su questi schermi, si prosegue il viaggio verso la Torre Nera insieme a Roland
e ad altri personaggi. E a un romanzo molto migliore di questo.
Nota a margine: il titolo originale del
libro è The gunslinger, che significa
semplicemente “il pistolero”. E, visto che Roland è proprio un pistolero,
chissà da che cosa sarà venuta a King l’idea per questo titolo? Comunque, sta
di fatto che il traduttore italiano, il signor Tullio Dobner, tra l’altro
traduttore oltre che di questo di moltissimi altri romanzi di King, ha deciso
di trasformarlo ne L’ultimo cavaliere.
Scelta che non capisco non solo perché il titolo originale era molto semplice e
non presentava problemi di sorta a essere reso tale e quale in italiano, ma
anche perché questo nuovo titolo non c’entra un tubo con la trama! Voglio dire,
dov’è l’ultimo cavaliere in questo libro? Prego signor Dobner, quando vuole
indicarmelo mi faccia un fischio.
Probabilmente
la scelta di cambiare il titolo deriva da una volontà di dare al lettore
qualcosa che sia in grado di identificare. Intendo, nella limitata visione che
molto spesso si ha in Italia, il genere fantasy non è nulla di diverso dal
Signore degli Anelli. Con orchi, elfi e spade. Un fantasy con un pistolero? Non
sia mai, c’è il rischio che il lettore medio resti disorientato, e poi quei
mentecatti dei lettori vogliono sempre la stessa solfa, se diamo loro qualcosa
di diverso e originale c’è il rischio che non lo comprino. Quindi vai con un
titolo banale che però rimanga nel seminato! Non credo che le cose siano andate
molto diversamente da così.