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martedì 30 maggio 2017

Recensione - L'età sottile di Francesco Dimitri

Io arrivo sempre in ritardo, sia in senso letterale che metaforico. Mi capita di rado di leggere un libro appena esce, a meno che non sia di un autore che già conosco e apprezzo. Tipo, mi fionderò in libreria appena Sleeping Beauties uscirà in italiano. O appena Patrick Rothfuss deciderà di smettere i panni da nano da giardino, indossare quelli di scrittore e pubblicare The doors of stone dopo sei anni che si fa attendere. Ma in generale non presto mai molta attenzione alle nuove uscite. Per questo ho ignorato per quattro anni L’età sottile di Francesco Dimitri, nonostante per tanto tempo una parte di me abbia avuto voglia di leggerlo. La stessa parte di me che, per la cronaca, crede che i giudizi di Gamberi Fantasy valgano qualcosa e si è quindi sempre stupita del buon trattamento che Gamberetta aveva riservato a Pan.

Ma tralasciamo la storia della mia vita e andiamo subito a verificare se L’età sottile sia un buon romanzo oppure no, e se Francesco Dimitri sappia scrivere come Gamberetta sosteneva con un vigore e una sicurezza che non ha mai dedicato a nessun autore italiano.

Patrick Rothfuss è felice di essere stato nominato in una recensione.
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Titolo: L’età sottile
Autore: Francesco Dimitri
Anno: 2013                                                        
Editore: Tea Editore
Pagine: 396




TRAMA 

Gregorio è un adolescente come tanti, e trascorre le sue stati con la sua famiglia nella sua casa di Portodimare. L’unica ombra nel passato di Gregorio è la morte di sua madre, ma per il resto la sua vita non è diversa da quella di molti altri ragazzi: ha una sorella di nome Sara, un padre con cui ha rapporti difficili, e una fidanzata, Chiara, la sua prima vera fidanzata. Durante l’estate dei suoi sedici anni gli succede una cosa che non si sarebbe mai aspettato. Incontra un uomo misterioso di nome Levi, che gli fa una proposta tanto assurda quanto intrigante: diventare suo allievo e imparare la Magia.

Sulle prime Gregorio è scettico, neppure crede alle parole di Levi, ma sarà destinato a cambiare idea. Accettare la proposta dell’uomo è il primo passo verso un punto di non ritorno, una svolta irreversibile che sconvolgerà del tutto la vita di Gregorio. Gli procurerà nuove conoscenze, nuove amicizie, ma porterà anche turbamento nelle situazioni che prima erano stabili, procurerà problemi e difficoltà. Dalla serenità dell’adolescenza si troverà gettato nel mondo degli adulti, dove troverà gente che vuole la sua morte, dove dovrà imparare a difendere sé stesso e i suoi cari da chi vuole loro male oppure a soccombere al proprio destino. Dovrà imparare a costruirsi da sé la propria salvezza, oppure a rinunciare a tutto quello che conta per lui.

LA MIA OPINIONE


Avevo grandi aspettative per questo romanzo, sia, come dicevo, per la buona parola che aveva messo Gamberetta sull’autore sia perché effettivamente ne avevo sentito parlare molto bene. Queste aspettative sono state del tutto soddisfatte.

Dimitri è un ottimo scrittore. La sua prosa è molto sintetica, dice molto poco e al tempo stesso quel poco riesce a essere più efficace di mille parole. Tralascia tutto l’inutile e il superfluo, si limita solo a mostrare lo stretto necessario e a raccontare tutto quello che invece può essere passato in rassegna solo rapidamente. Nonostante questa essenzialità di fondo, la trama resta impressa, quello che succede si visualizza vivido nella mente del lettore. Dimitri guida il lettore attraverso Roma, una Roma misteriosa, dove i maghi si nascondono dietro a ogni angolo, ma possono anche incontrarsi per chiacchierare in un ristorante di lusso. Una Roma magica, dove sotto il velo della quotidianità delle forze sconosciute intrecciano rapporti, e dorme una segreta minaccia di cui non viene mai rivelata l’entità in tutto il romanzo, ma non escludo che accadrà in qualcuno dei prossimi libri.

Un altro autore molto sintetico.
Il personaggio di Gregorio è tratteggiato in modo davvero fantastico. Non è plastico, affettato, finto, come sono finti certi adolescenti dei romanzi, è vivo e realistico, è un tipico sedicenne dipinto senza disillusioni ma anche senza moralismi. Ha senza dubbio i suoi problemi, i suoi piccoli vizi, le sue pulsioni, ma tutto questo non viene né enfatizzato (come fanno certi scrittori italiani, che pensano che gli adolescenti siano tutti drogati e volgari) né trattato con il distacco bacchettone di chi descrive una situazione con l’intenzione di stigmatizzarla. Gregorio è così, e deve entrare nelle simpatie del lettore. E ce la fa, ce la fa perfettamente, al punto che quando si dispera e sente il mondo crollargli addosso anche chi legge prova questa sensazione. Perlomeno, io l’ho provata.

Gregorio cresce. Il Gregorio di inizio romanzo è proprio diverso da quello della fine, è molto più bambino e meno scafato, conosce meno le proprie capacità, le sa sfruttare meno, ha meno stima di sé. Il libro alla fin fine, se proprio vogliamo ridurre tutto all’osso, è la storia di come Gregorio riesce a crescere e a superare le difficoltà in cui la vita lo getta. È la storia del suo diventare adulto, del suo passaggio da un momento in cui gli altri gestiscono i suoi problemi a uno in cui lui stesso dovrà occuparsi anche di quelli degli altri.

Il romanzo è scritto in prima persona, quindi la figura di Gregorio è naturalmente preponderante sulle altre. Tuttavia non è ingombrante come succede in altri casi (qualcuno ha detto Trilogia dei fulmini?), ma consente anche agli altri personaggi di ritagliarsi uno spazio e farsi strada così nella mente del lettore. Sara, la sorella di Gregorio, ma anche Levi e gli altri suoi amici, Simone, Diana ed Elena non sono solo macchiette, ombre che si intravedono coperte dal gigantesco Gregorio, ma hanno la loro personalità, che viene delineata in modo semplice ed efficace.

Prova a toccarmi la trilogia dei fulmini...
La trama è molto semplice, per le prime due parti del romanzo prosegue in modo lineare e tranquillo, diventa più tesa ed eccitante nell’ultima parte, quando le lezioni vengono accantonate, la caratterizzazione dei personaggi ormai è fatta, l’ambientazione c’è, e quindi si passa a un po’ di azione che non fa mai male. L’ultima parte è quindi molto più coinvolgente delle altre due, perché si comincia finalmente a sentire il fiato sul collo, i personaggi vengono messi alle strette e quindi o si decidono a combinare qualcosa di buono con le loro forze oppure è la fine per tutti. Per questo si segue molto più volentieri. Se le prime due parti si fanno leggere molto bene per la vividezza con cui i personaggi vengono delineati e per il modo naturale in cui quotidianità e soprannaturale si intrecciano, la terza aggiunge a questo anche l’elemento della tensione. Che è un po’ la ciliegina sulla torta. Per cui sì, la parte di me cui non va mai bene niente ha pensato che se le prime due parti fossero state accorciate o se la terza fosse stata un po’ allungata il romanzo ne avrebbe giovato e non poco. Resta anche così un libro eccellente, è solo che io mi devo lamentare di tutto, mi conoscete.

Certi punti vengono tirati un po’ troppo via in modo sbrigativo. Tipo la questione dello scambio di mail, fondamentale per un certo sviluppo della storia, viene proprio tirata a mezzo svogliatamente e subito accantonata come se fosse senza importanza, tra l’altro dopo che il famoso sviluppo della storia si era già realizzato, e Gregorio non aveva nessuna ragione per non averne parlato prima. Questo è un esempio, ma succede anche altre volte. Sto di nuovo spaccando il capello in quattro, sappiatelo. Decisamente questo più che un difetto di trama è una sbavatura, un qualcosa che sì, infastidisce un pochino ma di fatto non va più di tanto a intaccare il giudizio complessivo.

Il rapporto tra Chiara e Gregorio, il più importante di tutto il libro, viene delineato in modo molto preciso e coinvolgente. I due non si vogliono bene perché sì, perché l’autore ha deciso che dovevano stare insieme, ma anzi, si nota tra loro la complicità, la malizia e la semplicità, la sincerità e l’ingenuità che possono avere solo le relazioni adolescenziali. Così, quando poi la trama evolve in una certa direzione, è stato per me un pugno in faccia tanto quanto lo è per Gregorio.

Direi che in questo risiede la particolarità e la bellezza de L’età sottile, in come i rapporti umani e le personalità riescano a staccarsi dalla carta stampata e a diventare qualcosa di più, come un mondo di immagini e sentimenti vividi e potenti viene rappresentato con una naturalezza e una concretezza davvero notevoli.

Naturalmente la magia ha un ruolo molto importante. È molto poco curato l’aspetto tecnico, Dimitri non si sofferma a spiegare come funzionano i poteri, anzi, sbriga tutto molto rapidamente. Roba che farebbe venire un colpo a Brandon Sanderson. Comunque, Dimitri accenna soltanto a quelle cose che verranno poi utili nel corso della trama. Quindi sì, abbiamo un sistema poco approfondito che però non tira fuori poteri dal nulla quando comoda alla storia, ma è coerente con le poche informazioni che fornisce.

Brandon Sanderson disapprova Dimitri.
Di ben poco posso lamentarmi. Prima di L’età sottile ho letto L’ombra dello scorpione, e vi giuro che se non sono arrivato al punto di implorare gli amici di uccidermi e porre fine a quella tortura poco c’è mancato. Una delle cose più noiose degli ultimi tempi, non brutto, ma di certo tutto fuorché avvincente. Bé, L’età sottile è stata una ventata di fresco, ne ho letto un centinaio di pagine in pochissimo tempo e mi sono scivolate via, quasi non me ne sono accorto. Già di suo è una buona cosa, se in più ci aggiungiamo che ero appena uscito da 930 pagine lente come la fame, che ne leggevo una ventina al giorno e poi mi sembrava di averne avuto abbastanza per mesi, bé è stato davvero un toccasana.

IN CONCLUSIONE


L’età sottile è davvero un libro di tutto rispetto, preso di per sé ma anche come fantasy italiano. Voglio dire, la nostra punta di diamante (inserire ironia qui), la Licia nazionale, se le sogna certe cose. Le idee, l’intensità dei personaggi, la crescita che sono costretti a vivere e soprattutto la forza con cui sono rappresentate le scene di vita quotidiana, la loro effettiva vicinanza alla realtà, intrecciata all’alone misterioso della magia, crea un’unione di grande potenza. E oltre a questo i personaggi che restano impressi, la trama discreta, e in particolare la scrittura di Dimitri, sono ciò che questo romanzo ha da offrire, e che io vi consiglio in tutta sincerità di accettare. Ne avrete solo da guadagnare.


VOTO: 

domenica 11 dicembre 2016

Recensione - Abyss di Simone Regazzoni (Terza Parte)

Questa è la storia di un povero blogger, che, trovatosi a leggere un libro che non gli era piaciuto, Abyss di Simone Regazzoni, decise di recensirlo, pensando ingenuamente che le solite duemila parole scarse sarebbero state sufficienti per liquidare la brutta lettura. Si illudeva, perché i difetti del libro si moltiplicarono di fronte ai suoi occhi, costringendolo a scrivere più di cinquemila parole per elencarli tutti. Sconfitto, dovette perciò dividere la recensione in più parti per evitare che i suoi lettori si trovassero di fronte alla versione degli anni 2000 della Divina Commedia. Questa che avete sotto gli occhi è la terza e ultima parte.

[PRIMA PARTE]
[SECONDA PARTE]

La lunghezza che avrebbe raggiunto la recensione se avessi riportato
tutte le cose che non mi sono piaciute. 

DOVE ERAVAMO RIMASTI


Abyss è la storia del professore di filosofia Michael Price e della sua compagna Trix, che hanno come obiettivo la scoperta dei contenuti delle dottrine non scritte di Platone. In questo modo potranno conoscere i piani del Quarto Reich, un’associazione di neonazisti che ha fatto di queste dottrine la propria base ideologica. Il libro per ora ci ha mostrato sequenze illogiche, un uso casuale della punteggiatura, incoerenze, dialoghi brutti e personaggi veggenti, ma ha ancora molto con cui sorprenderci.

LA MIA OPINIONE


6) Ritmo narrativo pessimo

Quando si scrive è importante mantenere un buon ritmo. Senza un ritmo ben sostenuto il lettore rischia di annoiarsi, o viceversa di non avere il tempo di soffermarsi sulle situazioni, o ancora di trovarsi a momenti in cui la tensione accumulata fino a quel momento (e dico tensione ma mi riferisco a qualunque altra emozione suscitata dalla lettura) scema come polvere al vento e lascia soltanto un senso di delusione. A Regazzoni questo riesce particolarmente bene. Vediamo perché.

Io ho seguito questo percorso, ma credo che molte persone che ora sono scrittori di professione (a differenza mia, che non lo sono e non penso lo sarò mai) lo condividano con me. All’inizio scrivi quello che ti viene, perché credi di essere migliore della media degli autori pubblicati e la gente intorno a te ti incoraggia dicendo che sei bravissimo e hai una fantasia innata. Sulle prime è così, poi smetti di volare a un metro da terra e torni a contatto con la realtà, e ti rendi conto che da imparare hai moltissimo. Allora vai a cercare su internet qualche bel sito con consigli di scrittura, o ti dedichi ai manuali, che sono uno strumento altrettanto utile. E ti si apre un mondo. Scopri, per esempio, che non è una grande idea rovesciare addosso al lettore tutte le informazioni su un personaggio o su un luogo o su qualunque cosa che appare nella storia, e la cosa migliore è invece diluire l’indispensabile nella narrazione. Specialmente quando si parla di personaggi non importanti.

Manzoni mi guarda male. A lui piacciono così tanto le digressioni.
Abyss, invece, fa l’esatto opposto di quello che ho appena detto. Appena si presenta un personaggio nuovo spezza il ritmo della narrazione per raccontarci vita morte e miracoli di quest’ultimo. Inutile dire che di tutte quelle informazioni al lettore non interessa niente, l’unica cosa che gli importa è saltare a pié pari tutto ciò che è inutile e proseguire con la storia. Che poi quando questo avviene per personaggi importanti non è accettabile ma perlomeno è in qualche modo giustificato (quelle informazioni devono arrivare al lettore), ma ci sono momenti in cui la storia viene interrotta per interi paragrafi per parlare di personaggi che non appariranno mai più per il resto del libro. Ma basta ciance, facciamo subito un esempio!

|  “C’era un solo vero problema che i Guardiani dovevano fronteggiare: l’ammiraglio 
      Byrd, uno degli autori di quell’incredibile scoperta.
      Richard E. Byrd non era solo un militare pluridecorato per le sue imprese, ma anche 
      un esploratore noto al vasto pubblico, una specie di eroe internazionale. Nel 1929 
      aveva ricevuto la medaglia d’onore per aver sorvolato per la prima volta il polo Nord. 
      Il suo libro autobiografico Alone, in cui narrava la spedizione in Antartide del 1934, 
      era diventato un best seller. La sua fama di esploratore era tale che nel 1938, mentre 
      si trovava ad Amburgo, il governo nazista l’aveva invitato a partecipare alla 
      spedizione antartica Neuschwanbenland organizzata dal capitano della marina 
      tedesca Alfred Ritscher. Byrd, che aveva declinato l’invito, aveva poi preso parte alla 
      spedizione in Antartide del 1940 organizzata dagli Stati Uniti, per la quale aveva 
      ottenuto la prima United States Antartic Expedition Medal.  (pag.99)

Bla bla bla. Zzzzzzz...Eh? Come?
*si sveglia di soprassalto*

Come dicevo prima, Byrd non sarà mai più nominato nel corso del romanzo alla fine di questo capitolo, e cioè pagina 101. C’era bisogno di un bel paragrafo di infodump in stile Wikipedia per presentarlo? Il lettore doveva davvero sapere che aveva scritto un libro autobiografico che era diventato un best seller e quant’altro? Mah.

Il logo presente sotto il brano che avete appena letto.
Un personaggio che contribuisce a spezzare il ritmo della narrazione è il professor Jenkins. Viene in effetti descritto come logorroico, ma di solito i suoi discorsi sono collocati nei momenti peggiori. Eccone un esempio.

I protagonisti si trovano di fronte a quello che sembra un calamaro gigante. È una scena che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe essere concitata e ricca di tensione, e a questo mirano le scelte stilistiche dell’autore. Ma poi succede questo.

|  “[Jenkins disse]«Quello non è un semplice calamaro gigante. È un Mesonychoteuthis 
      hamiltoni, più noto come “calamaro colossale” o “calamaro antartico”».
      «Lei non era un astrofisico, Jenkins?»
      «Lei non coltiva nessun hobby, Blade? Vede, fin da quando ero bambino, la biologia 
      marina ha esercitato un certo fascino su di me, anche se non quanto l’astrofisica, 
      naturalmente, che resta l’amore della mia vita. Per questo mentre prendevo il 
      dottorato pensai di prendere una seconda laurea proprio in biologia marina, per 
      assecondare in modo più scientifico la mia piccola passione che in 
      quegli anni...»  (pag. 344)


Fatelo stare zitto! Come direbbero a Paperino in una vecchia storia, dai, scorcia! Eravamo in una situazione di tensione, il calamaro pareva una minaccia, c’era un po’ di curiosità per quello che sarebbe successo... e poi arriva Jenkins ad affossare tutto quanto raccontandoci di quando era bambino e gli piaceva la biologia. Proprio l’ideale per mantenere vivo l’interesse sulla situazione. Meno male che Trix lo tronca di malo modo, chissà per quanto avrebbe tirato avanti altrimenti!

Insomma, questi sono solo un paio di esempi, ma nel romanzo di situazioni analoghe se ne trovano un po’ ovunque. Giusto per citarne un altro assai notevole, il flashback sul passato di Russel costituisce un’interruzione non indifferente della narrazione. Dura infatti circa cinquanta pagine, e in una storia che ne conta meno di quattrocento la sua presenza si sente parecchio e rende poco snello il fluire della trama. Insomma, capita davvero raramente che il racconto proceda spedito senza interruzioni, ma spesso è interrotto da interventi evitabilissimi, che ne pregiudicano la godibilità e la scorrevolezza.

7) Miscellanea (per modo di dire)

Ci sono infine delle brutture che non sono riuscito a far rientrare in nessuno dei sei punti precedenti, ma che danno fastidio, alcune più alcune meno, durante la lettura. Potrei citarne molte, potrei citare le relative incastrate con la principale in modo che non si capisce più chi sia il soggetto, potrei citare Trix che “emana pericolo” e altre amenità da uso casuale del lessico, potrei citare il colpo di scena finale che è completamente a caso, ma non lo farò, aggiungerebbero ben poco a quello che ho già detto e non voglio scrivere una quarta puntata. Un fatto però lo voglio segnalare.

Siamo a Parigi, durante l’agguato ordito dagli uomini idioti del QR di cui ho parlato nella seconda parte della recensione. Trix sta usando una balestra per combatterli, ed ecco quello che succede a un certo punto.

|  “Il dardo entrò nell’occhio dell’uomo che aveva parlato poco prima, fuoriuscendo di 
      una decina di centimetri dalla nuca.
      Cadde come corpo morto cade.  (pag.175)

Non fare così, Dante... Anche a me dispiace che tu sia citato in questo libro...
Ebbene sì, lo ha fatto sul serio, ha inserito davvero una citazione da Dante. Ora, oltre che essere di una spocchia infinita, è anche una cosa inutile, per due ragioni. La prima, perché è un innalzamento di stile non richiesto e che anzi rovina la narrazione perché suona insensato: sarebbe come usare un lessico trecentesco per scrivere la lista della spesa. È inoltre poco adatto ai toni del romanzo, che si mantengono sempre colloquiali e non cercano mai di alzarsi. Insomma, è del tutto a caso e stona con tutto il resto. La seconda ragione è che è tautologico. Quando Dante lo usa si riferisce a sé stesso mentre sviene, e serve perciò a rappresentare in modo più drammatico e poetico la sua caduta, che naturalmente non è di un uomo morto. Qui invece si riferisce a una persona che è stata trafitta alla testa da un dardo, che cioè è senza ombra di dubbio morta. A che serve quindi sottolineare che cade un morto? In pratica, sarebbe come se Regazzoni avesse scritto “il cadavere cadde come un cadavere”. Viene da dire che quando ha scritto questo passo volesse tirarsela a caso, ma forse sono io che sono un mal pensante...

8) Salvare il salvabile

Sono migliaia di parole che evidenzio quello che di Abyss non mi è piaciuto. C’è tuttavia qualcosa che invece ho apprezzato. È niente in confronto a tutte le altre brutture, ma, come ho segnalato quello che non andava bene, ritengo giusto rilevare quello che invece funziona, per quanto poco sia.

Non si può negare che Regazzoni conosca la materia che insegna. L’intero romanzo è disseminato di discorsi su filosofi e scrittori di tutte le epoche e Regazzoni si destreggia in modo ineccepibile tra tutte queste conoscenze, dimostrando di possederle molto bene. I momenti in cui parla di Platone o della tradizione di papiri o dei testi esoterici rinascimentali sono tra i pochi buoni del libro, sono scorrevoli e interessanti, riescono davvero a solleticare la curiosità del lettore e a conquistarne l’attenzione. Questo perché in quei momenti Regazzoni sa di cosa parla, lo sa molto bene, e quindi riesce a esprimerlo nel miglior modo possibile per essere efficace e piacevole.

Alla fine il punto è proprio questo: Regazzoni può essere un ottimo filosofo, ma scrivere un romanzo è ben diverso da scrivere un saggio di filosofia. Lui invece ha intrapreso quest’ardua impresa senza basi e senza esperienza a sufficienza per riuscire a creare qualcosa che valesse la pena. Di conseguenza i momenti che posso definire senza dubbio molto interessanti sono soltanto quelli in cui si mette a parlare di quello che ama e conosce. Questi momenti saranno tre o quattro in tutto il romanzo, occuperanno una decina di pagine, massimo quindici, nonostante questo sono riuscite a intrattenermi e a interessarmi più delle restanti trecentosettanta. Del resto, scrivi ciò che ti piace (e quindi conosci) è un principio implicito che penso tutti dovrebbero tenere a mente.

Date queste premesse, è probabile (anche se naturalmente dovrei leggere qualcosa per saperlo con certezza) che la fama di Regazzoni come saggista non sia immeritata, e che in effetti la sua scrittura in quel caso risulti efficace. Se sono scritti come i momenti che citavo prima di certo sono, per quanto riguarda lo stile, degli ottimi libri.

Altro che critica della ragion pura.
Voglio poi spendere qualche parola per lodare un pezzo del libro che a una prima lettura vi sembrerà stupido. Ve lo sembrerà anche a una seconda e una terza, e ve lo sembrerebbe anche a quarta, se una quarta esistesse e voi non foste già stati costretti a prenotare una seduta dallo psichiatra. Prima riporto la citazione, e poi spiego perché mi è piaciuta.

Siamo alla fine del romanzo, Michael e Trix stanno affrontando i capi del QR, e uno di loro si rivela la fidanzata di Michael, Alex (ma il suo vero nome è Chloe), che sembrava essere stata rapita a inizio del libro, e di cui Michael aveva sentito tantissimo la mancanza ma proprio in modo terribile, tanto che se ne ricorda un due o tre volte nel corso della storia e poi la fa cadere nel dimenticatoio, non è mai preoccupato per lei, non la pensa, niente. Dicevamo, Chloe/Alex spiega a Michael il piano del QR e lo invita a seguirli. Ecco come si conclude il suo discorso.

|  “«Lì riposano i gerarchi del Terzo Reich fuggiti da Berlino nel 1945, tra cui Hitler. Lì tra 
      un attimo andremo anche noi, in attesa dell’altro inizio. C’è un posto anche per te 
      Michael, vieni con noi» disse Chloe.
      Trix le si avvicinò.
      «Scordatelo, biondina nazista, lui adesso sta con me».
      Michael guardò Trix, sorpreso.
      «Non fare quella faccia tu, ne parliamo dopo. Pensa a non farti infinocchiare da Miss
      Norimberga e dai suoi discorsi da nazista new age» aggiunse Trix.  (pag.379)

Lo so, se guardato con occhio critico siamo all’apice dell’assurdo, ma contestualizziamo il tutto. In un romanzo con inseguimenti sulle macchine, Grandi Antichi, buchi neri, generali dell’esercito, Lara Croft e Platone quanto avrebbe stonato una bella brodaglia romantica e melensa da romanzo rosa? Invece questo è del tutto nello stile e nello spirito del libro, che lascia poco spazio ai sentimenti e cerca invece qualcosa di movimentato e dinamico per coinvolgere il lettore. Inoltre è uno dei pochi dialoghi vivaci della storia, e merita anche solo per questo una menzione.

IN CONCLUSIONE 


In sintesi si può dire che Abyss è di un autore che non aveva capacità affinate a sufficienza per cimentarsi nella scrittura di un romanzo, e quindi non solo non riesce a piacere ma spesso ottiene l’effetto contrario. Una lettura che non consiglio, se proprio ci tenete a conoscere qualcosa sulla pop-sofia dedicatevi ai saggi, che sono abbastanza sicuro riservino, almeno a livello stilistico, sorprese più piacevoli.