lunedì 22 ottobre 2018

Il distico elegiaco nella tarda antichità - Ausonio

Con lo scorso post mi sono occupato di un autore sostanzialmente sconosciuto. Se ricordate infatti il De ave Phoenice è attribuito a Lattanzio solo in via ipotetica, e comunque non è possibile collocarlo con certezza in un certo periodo della sua vita e quindi ricostruire il suo scopo e le ragioni della sua composizione. Questa volta invece voglio prendere in esame una situazione radicalmente opposta. Ausonio è infatti un autore di cui conosciamo moltissimo, e sulla cui biografia siamo informati dettagliatamente.

Forse non ho mai avuto modo di dirlo, comunque non amo le biografie degli scrittori. Tuttavia, non posso che riconoscere la loro indubbia utilità, e di certo può giovare osservare a grandi linee la vita di Ausonio. Innanzitutto, nasce all’inizio del quarto secolo d.c. e muore sulla fine dello stesso secolo. Sua città natale è Burdigala, in Francia, l’odierna Bordeaux, e suo padre è medico. Tuttavia, egli intraprende gli studi di retorica, prima a Burdigala e poi a Tolosa, nella scuola di suo zio. Terminati gli studi, esercita l’avvocatura per un periodo e poi fonda una propria scuola di retorica. Si colloca in questo periodo il suo momento di massimo splendore. Ausonio diventa talmente famoso da essere chiamato a ricoprire il ruolo di precettore di Graziano, figlio dell’imperatore Valentiniano I.

Durante il periodo alla corte imperiale la fama di Ausonio gli consente di non svolgere solo incarichi di tipo professionale. Egli ricopre anche diverse cariche pubbliche, come per esempio il consolato nel 379. Questo lasso di tempo di grandi trionfi per lui corrisponde al momento in cui Graziano è al potere. Alla sua morte Ausonio è costretto ad allontanarsi dalla corte, e a tornare nel suo paese di nascita, dove muore intorno al 395.

Che cosa è importante di questa biografia? Essenzialmente la parte centrale. Ciò che influenza in maniera decisiva la sua attività poetica è il suo ruolo di maestro e di retore. L’opera di Ausonio non si configura come caratterizzata da una particolare ideologica alla sua base, ma come un esercizio di stile di una persona che possiede e maneggia in maniera egregia gli strumenti della retorica. Ausonio è stato tacciato di essere uno sterile erudito, e sotto certi aspetti questa definizione non gli sta nemmeno troppo stretta. Personalmente, non è di certo uno degli autori che apprezzo di più. Tuttavia, non c’è dubbio che incarni in maniera efficace le tendenze retoriche e stilistiche dell’epoca in cui è vissuto, e quindi, almeno inserito nel contesto del quarto secolo, non risulta fuori luogo, anzi, così diventa persino chiaro perché era così apprezzato da diventare precettore di Graziano, figlio dell’imperatore.

Graziano
La componente retorica dell’opera di Ausonio è necessaria per spiegare l’uso che egli fa del distico elegiaco. Per capirlo vorrei esaminare parti di alcune opere, le Epistulae, i Parentalia e i Caesares. Mentre le prime sono una serie di lettere in versi e in prosa composte nel periodo dopo la morte di Graziano, i Parentalia sono costituiti da trenta componimenti dedicati ad altrettanti parenti di Ausonio, e i Caesares da una serie di brevi poesie ciascuna deputata alla descrizione di un imperatore. Vedete cosa intendevo? Se osservate i contenuti delle opere come li ho appena elencati, notate che in quasi nessuna (con la parziale esclusione forse delle Epistulae) è sottesa una qualche ideologia. Servono o per mostrare erudizione oppure per mettere in gioco l’abilità dell’autore nella composizione, o al massimo per mettere in scena quelli che sono alcuni topoi della poesia contemporanea o precedente, come l’invito di amici. Tuttavia, avremo modo di osservare, e questa è la caratteristica più importante di Ausonio, come l’impostazione retorica conduca Ausonio a esiti diversi rispetto allo pseudo Lattanzio.

Cominciamo con l’esaminare i Caesares.L’opera è divisa in due parti, una composta da monostici e l’altra da tetrastici. Ciò che ci interessa sono i tetrastici, ovvero poesie di quattro versi ciascuna, perché sono tutte in distici elegiaci, mentre i monostici sono in esametri. Vediamo il tetrastico numero 7, quello dedicato a Nerone.

Aeneadum generis qui sextus et ultimus heres,
polluit et clausit Iulia sacra Nero.
Nomina quot pietas, tot habet quoque crimina vitae.
Disce ex Tranquillo: set meminisse piget.

Della stirpe degli eneadi sesto e ultimo erede,
che infangò e concluse la sacra famiglia di Iulo, è Nerone.
Quanti i nomi che doveva rispettare, tanti i crimini della sua vita.
Imparalo da Tranquillo: ricordarlo mi addolora.

In questo caso nella traduzione ho preferito rimanere un po’ più sul difficile e sul meno bello a leggersi, mantenendo però il più possibile i costrutti e soprattutto la posizione delle parole del testo latino. La ragione è semplice, vorrei che si comprendesse facilmente l’alto livello di elaborazione della poesia. Come vedete il soggetto della prima frase, che occupa i primi due versi, si trova alla fine del secondo verso, e questa, anche per una lingua come il latino, non è di sicuro una posizione usuale. Lo stesso si può dire per il terzo verso, che, pur rifiutando una struttura interna che collochi le parole in un qualche ordine, costituisce comunque un’espressione molto brachilogica e sintetica. Insomma, già da questo si può capire come Ausonio, pur non presentando difficoltà a livello di contenuti, possa non essere agevole alla lettura per via del manierismo che caratterizza il suo stile.

Lo scopo dell’opera è come dicevo quello di mostrare l’erudizione dell’autore e la sua capacità di comporre versi. Ausonio vuole semplicemente evidenziare che è in grado di scrivere una poesia di quattro versi su ogni imperatore, e basta, non vuole andare oltre. Siamo di fronte a esibizioni di bravura e di erudizione, e questo lo vediamo sia dallo stile barocco che ho già evidenziato sia dai frequenti richiami alla tradizione letteraria. Il più evidente è quello dell’ultimo verso, in cui Ausonio invita il lettore a imparare la vita di Nerone non dalle sue poesie bensì dall’opera di Svetonio (chiamato nel testo con il cognomen Tranquillo), noto per uno scritto dedicato alla vita dei primi imperatori da Cesare fino a Domiziano. C’è un altro riferimento, molto evidente anche questo, nell’incipit della poesia. Le prime parole riprendono modificato il celeberrimo inizio del De rerum natura. Da “aeneadum genetrix” Ausonio deriva il suo “aeneadum generis”. Anche altri luoghi del componimento possono essere associati a passi di altri poeti, tuttavia questo è il più evidente e anche il più sicuro, visto che si tratta della evidente ripresa di un punto importante e quindi facilmente impresso nella memoria del poema di Lucrezio.

Svetonio Tranquillo
Tocca ora cercare di capire quale sia il ruolo del distico elegiaco in questo sfoggio di cultura e di stile. Potrebbe venire da pensare che ci troviamo in una situazione simile a quella di Lattanzio, in cui il metro non aveva una vera e propria relazione con il contenuto. In realtà io credo che qui Ausonio voglia rifarsi alla grande tradizione dell’elegia erudita che inizia con Callimaco e con Properzio arriva a Roma. Certo, della profondità di questa tradizione in Ausonio resta poco o niente: quello che in Properzio era una scusa per fare della grande poesia qui diventa lo scopo stesso della poesia, riducendone così lo statuto a puro mezzo per esibire questa conoscenza. Insomma, il vecchio ruolo del distico elegiaco è sì ripreso ma ridotto all’osso al punto da essere scarno e svilito.

Non credo serva soffermarsi ulteriormente sui Caesares. Voglio invece passare a leggere una delle Epistulae. Si tratta della prima lettera della raccolta, destinata ad Assio Paolo.

Tandem eluctati retinacula blanda morarum
Burdigalae molles linquimus illecebras
Santonicamque urbem vicino acessimus agro.
Quod tibi si gratum est, optime Paule, proba.
Cornipedes rapiant imposta pertorrita mulae,
vel cisio triiugi, si placet, insilias,
vel celerem mannum vel ruptum terga veredum
conscendas, propere dummodo iam venias,
inastantis revocant quia nos sollemnia paschae
libera nec nobis est mora desidiae.
Perfer in excursu vel teriuga milia epodon
vel falsas lites, quas schola vestra serit;
nobiscum invenies, multas quia linquimus istic
nugarum veteres cum sale reliquias.

Dopo avere finalmente superato I blandi vincoli dell’attesa
lascio i languidi piaceri di Burdigala
e giungo a Santonica, nel territorio vicino.
Valuta se questo ti è gradito, ottimo Paolo.
Le mule dagli zoccoli unghiati tirino le carrozze a loro imposte,
o, se preferisci, salta sul carro a tre cavalli,
o sali sul rapido manno, o sul veredo dalla schiena
ferita, purché tu mi raggiunga di fretta,
poiché ci chiamano le solennità della Pasqua
incombente, e non c’è spazio per il tempo libero.
Porta nella tua visita tre epodi
o le false liti che costruisce la vostra scuola;
troverai con me molti resti di vecchi
divertimenti che ho lasciato qui.

Il tema della poesia è un classico, ovvero l’invito rivolto dal poeta a un amico. Se lo confrontate con i carmi di Catullo che trattano lo stesso argomento, però, vi rendete conto di moltissime differenze. Non è mia intenzione soffermarmi su tutte, anche perché riguardano i fatti più svariati (dalla lingua ai singoli luoghi del testo), e sarei costretto ad andare fuori da quello che è il mio intento. Mi limiterò quindi soltanto a evidenziare la stranezza del metro elegiaco. I carmi di Catullo che costituiscono inviti agli amici sono infatti scritti in endecasillabi faleci. La scelta di Ausonio appare quindi non convenzionale. Si potrebbe provare anche ad accostare quest’epistola a un altro tipo di poesia, quella delle Silvae di Stazio. Ora, ammetto la mia ignoranza. Io non conosco questa raccolta così bene da stabilire se effettivamente contenga degli antecedenti significativi di questa epistola, tuttavia sono abbastanza sicuro che non ne abbia, e per un semplice motivo. Le Silvae di Stazio sono poesia d’occasione, mentre quella di Ausonio no. Non dico che Ausonio non potrebbe avere avuto presente una silva di Stazio, dico che vista la natura molto diversa delle due raccolte è difficile che la scelta del metro possa avere una motivazione comune.

Come spieghiamo quindi il distico elegiaco? A parer mio, qui ci troviamo in una situazione di uso del metro svuotato del suo significato. Non esiste una vera ragione per scegliere il distico elegiaco al posto dell’esametro, semplicemente il suo uso si può ricondurre alla volontà del poeta di ricorrere a vari metri della tradizione. Nell’Epistulae infatti troviamo anche esametri o anche abbinamenti originali, come nel caso dell’epistola 2. In buona sostanza, qui Ausonio si muove in modo diverso che con i Caesares, scegliendo di utilizzare il distico elegiaco senza una ragione precisa, e non per rifarsi a una tradizione.

Ausonio
Veniamo ora ai Parentalia. L’opera si configura, come dicevo, come una raccolta di poesia dedicata a una serie di parenti defunti di Ausonio. Ho deciso di riportare qui la prefazione, che ha com’è ovvio carattere programmatico.

nomina carorum, iam condita funere iusto
fleta prius lacrimis, nunc memorabo modis,
nuda, sine ornatu fandique carentia cultu:
sufficit inferiis exequialis honos.
Nenia, funereis satis officiosa querellis,
annua ne tacitus munera praetereas,
quae Numa cognatis sollemnia dedicat umbris,
ut gradus aut mortis postulat aut generis.
Hoc satis est tumulis, satist est telluris egenis:
voce ciere animas funeris instar habet.
Gaudent compositi cineres sua nomina dici:
frontibus hoc scriptis et monumenta iubent.
Ille etiam, maesti cui defuit urna sepulcri,
nomine ter dicto, paene sepultus erit.
At tu, quicumque es, lector, qui fata meorum
dignaris maestis commemorare elegis,
inconcussa tuae percurras tempora vitae
et praeter iustum funera nulla fleas.

I nomi dei miei cari, già sepolti secondo i riti.
che prima ho pianto in lacrime, ora ricorderò in versi,
nudi, senza ornamenti, che mancano di cura stilistica:
basta ai morti l’onore dei riti funebri.
Nenia, che si dà da fare per le lamentazioni mortuarie,
non trascurare in silenzio la festa annuale
che Numa ha dedicato alle ombre dei parenti,
come richiedere il tipo di morte e la parentela.
Questo basta alle tombe, basta anche a chi è non ha terra:
chiamare le anime ha l’aspetto di un funerale.
Gioiscono le cenere che sia pronunciato il loro nome:
lo ordinano anche le scritte sui sepolcri.
Anche a chi mancò l’urna della triste tomba,
chiamato tre volte sarà quasi sepolto.
E tu, lettore, chiunque tu sia, che il destino dei miei
ti degni di ricordare con queste infelici elegie,
percorri sicuro il tempo della tua vita
e non piangere nessuna morte più del giusto.

Qui la situazione è ben diversa dalle precedenti. Qui l’uso del distico elegiaco è motivato, e da più di una ragione. Innanzitutto, bisogna invocare il genere letterario dei Parentalia, riconducibile all’epigramma funebre, per quanto senza dubbio presenti tratti di grande originalità. Come ricorderete dall’articolo sulla storia dell’elegia, la funzione primaria e originale del distico elegiaco era proprio quella associata alla poesia dedicata ai morti. Quindi qui Ausonio si rivela assai tradizionale, riproponendo una elegia, potremmo dire, alla maniera antica. Tuttavia, questo richiamo non va inteso come una grande influenza sull’opera: la precedente poesia elegiaca è di certo richiamata dalla scelta del metro ma non costituisce in alcun modo un ipotesto. Il suo utilizzo è quindi da associare, ancora una volta, con la volontà di Ausonio di mostrare la sua erudizione.

Vediamo quindi di tirare le conclusioni. Con Ausonio ci troviamo di fronte a un autore colto e ben consapevole della tradizione letteraria che lo precede, al punto da rendere la sua ripresa e allusione un punto fondamentale della sua poesia. Alla volontà di mostrare cultura può essere in tutti i casi, in fondo in fondo, ricondotto l’uso del distico elegiaco, con il fatto che a volte la sua funzione originale appare svilita o ridotta del suo valore. Se quindi può apparire un utilizzo sterile e superficiale, è tuttavia da sottolineare che la poesia di Ausonio si mantiene su livelli alti, se non emotivamente almeno formalmente, e questo restituisce un minimo di dignità a un metro che, per esempio, lo pseudo Lattanzio uso solo a scopo di esercizio.

La carrellata su Ausonio può concludersi qui. Nel prossimo articolo voglio esaminare il poema di Rutilio Namaziano, il De reditu suo, che riserva sorprese ancora diverse da quelle che abbiamo trovato in Ausonio. Saremo di fronte a un distico elegiaco usato davvero in modo originale, in un poema che spesso è stato considerato solo un collage di versi di poeti precedenti.

domenica 7 ottobre 2018

Recensione - La storia futura di Robert Heinlein (terza parte)


Eccoci al terzo appuntamento insieme a Robert Heinlein e alla sua Storia Futura. Questa è formalmente l’ultima parte della serie dedicata a questa antologia, visto che penso che riuscirò a esaurire sia il terzo che il quarto volume, tuttavia il nostro viaggio nel mondo secondo Heinlein non è finito, visto che pubblicherò anche le recensioni dei due romanzi esclusi dall’edizione italiana cartacea, I figli di Matusalemme e Orfani del cielo. Presenterò questi articoli come recensioni autonome, ma inserite nel ciclo della Storia Futura. Non potrà mancare anche la recensione di Lazarus Long, l’immortale, che però verrà considerato come un romanzo indipendente, nonostante in teoria concluda la serie.

Fatte queste premesse tuffiamoci nel mondo del nostro futuro come lo vede Heinlein.


LA MIA OPINIONE



14) Mal di spazio 
Bill Cole ha un trauma. Durante una riparazione nello spazio ha rischiato di morire precipitando nello spazio, e questo ha generato in lui una grande paura del vuoto. Per questa ragione deve lasciare il suo mestiere in orbita, e tornare a vivere sulla Terra. Ancora non sa che le sue paure sono sempre con lui e basta un niente a risvegliarle.

Mal di spazio è un racconto semplice e per nulla ambizioso, specie se confrontato con altri che lo hanno preceduto. Tuttavia, questo è un bene, perché la narrazione si sviluppa in modo lineare ma, finalmente, interessante, e quando Bill Cole si trova a dover affrontare le proprie paure il lettore rimane coinvolto nella situazione e si emoziona con lui. Questo è quello che almeno mi aspettavo da tutti i racconti. Nulla di eccessivo, soltanto una trama raccontata bene e un minimo di coinvolgimento emotivo. Non c’è niente di trascendentale, l’idea di per sé non è molto originale e il protagonista ha una caratterizzazione accettabile, ma non di più. Ad ogni modo, con la faccenda ho creato una grande empatia, sarà che si parla di gatti e io mi sciolgo quando vedo un gatto. Dunque non mi posso lamentare, anzi, se la raccolta si mantenesse tutta su questo livello sarebbe senza dubbio discreta. Quindi iniziamo questa terza parte in modo più positivo rispetto a quella precedente, e non posso che dire meno male.

VOTO:  

15) Le verdi colline della Terra
Questo è un racconto atipico, molto diverso da tutti gli altri che compongono il ciclo della Storia Futura. È incentrato sulla figura di Rhysling il Fracassone, poeta cieco che viaggia tra i pianeti componendo canzoni. Nonostante le sue dimensioni contenute, Le verdi colline della Terra arriva fino alla morte di Rhysling, tralasciando gran parte degli eventi della sua vita e narrandone alcuni solo per sommi capi, e si concentra su di essa. E com’è ovvio un poeta stravagante come lui non poteva avere una morte uguale a quella di tutti gli altri.

La prima raccolta che ha contenuto questo racconto.

Dicevo che è diverso perché vuole essere poetico più che raccontare una storia. La trama c’è, ma è solo un collage di episodi raccontati in modo rapido, quello che interessa a Heinlein è concentrarsi sul personaggio di Rhysling, che verrà nominato anche in molti altri racconti. È evidente che Heinlein trova nel suo protagonista qualcosa di sé, e d’altra parte la biografia di quest’ultimo sembra la traduzione in chiave fantascientifica di alcuni eventi significativi della vita di Heinlein. Come infatti questi era ufficiale della Marina Rhysling viaggia su delle astronavi, e come Rhysling è cieco Heinlein aveva avuto problemi di salute che lo avevano costretto a ritirarsi dalla carriera militare. E naturalmente entrambi sono scrittori. Insomma, le analogie sono molte e riflettono la passione che Heinlein aveva verso questo personaggio, e questa passione si nota da com’è scritto il racconto. Ricordate che per «...portiamo anche a spasso i cani» mi ero lamentato che nemmeno l’autore sembrava molto coinvolto dal racconto? Ecco, qui la situazione è capovolta. Qui l’autore è molto coinvolto, si sente proprio che quello che scrive lo appassiona, e questa passione si trasferisce anche al lettore. Insomma, se la trama è quel che è, tutto il resto funziona molto bene.

VOTO: 

16) Logica dell'impero
Dopo L’uomo che vendette la Luna, che se ricordate era un romanzo breve, abbiamo trovato solo racconti molto corti, o comunque dalle dimensioni piuttosto contenute. Logica dell’impero rompe questo ritmo, in quanto si configura come un racconto di respiro ben più ampio rispetto ai suoi predecessori. Questo caratterizzerà anche i racconti che seguiranno, in quanto non ne troveremo di molto più corti, al massimo più lunghi (tranne Disadattato). Non ne conosco la ragione, visto e considerato che Heinlein ha scritto i racconti della Storia Futura in ordine sparso. Questa lunghezza quindi non può essere imputata né alla tendenza di un certo periodo né a un preciso disegno nel piano dell’opera.

L’idea alla base di Logica dell’impero, devo dire, non brilla per originalità, mentre è di certo più originale, almeno per l’epoca, il fatto che sia calata in veste fantascientifica. In sostanza la trama è la seguente. Humphrey Wingate è un terrestre benestante che può permettersi di parlare con superficialità e distacco di problemi gravi come la schiavitù. Un giorno, in seguito a una notte brava con un amico, si trova su una nave destinata a portare un carico di schiavi su Venere. Nonostante i suoi tentativi di andarsene verrà portato su Venere e sarà così costretto a vivere in prima persona quelle realtà difficili e di grande sofferenza che fino a quel momento aveva considerato con sufficienza e superiorità.

Capite cosa intendo quando dico che non è originale? Il finale potete immaginarlo anche voi, come lo avevo immaginato io appena ho cominciato a leggere il racconto. Il protagonista parla male di una realtà, ci si trova dentro, finisce che ne comprende le problematiche e cambia idea. La conclusione delle vicende lo vede maturato e consapevole. Quest’idea di base non viene mai abbandonata, anche se c’è da dire che il finale ha comunque dei tratti di originalità, in particolare nel modo in cui il protagonista Humphrey sviluppa la sua nuova consapevolezza. Come vedrete se leggerete il racconto, l’evoluzione del protagonista non è soltanto da “la schiavitù non mi riguarda” a “la schiavitù è una brutta cosa”, c’è la costruzione di un’idea più profonda che si riflette anche nei vari tentativi di Humphrey di esprimerla. Insomma, l’idea non originale viene sviluppata in modo non scontato e calata in un contesto nuovo, senza però uscire dal seminato.

Humphrey è un personaggio discreto, con una psicologia ben costruita e una caratterizzazione accettabile. È il tipico personaggio che ad Heinlein piace inserire nelle sue storie. È una persona che ha avuto tutto dalla vita ma che quando si trova a doversi mettere in gioco lo fa prendendosi carico delle sfide e dimostrando praticità e inventiva. Non è quindi un mollaccione imbranato, anzi, sa darsi da fare e mostrare grandi capacità di adattamento e di sapersi arrangiare e reinventare. Per questo alla fine è un protagonista con cui è semplice simpatizzare e che è piacevole seguire.

Una nota un po’ stonata è la lunghezza del racconto, che ho trovato un po’ eccessiva per quello che ha da dire. Si poteva senza problemi accorciare qua e là e la vicenda non ne avrebbe risentito. Questo, e il fatto che non ci siano grossi colpi di scena nel corso della storia, contribuisce un po’ ad abbassare il livello di quello che complessivamente resta un buon racconto.

VOTO: 

17) Minaccia dalla Terra
Il titolo fa presagire chissà cosa, in realtà è un’iperbole, e lo si comprende già dalle prime pagine. È un tratto di ironia che sarà comune a tutto il racconto. La minaccia di cui si parla non è chissà quale nemico, è solo una donna terrestre di nome Ariel, in visita alla colonia sulla Luna. Holly è una ragazza di 15 anni che ha il compito di fare da guida ai turisti nella colonia, e le viene assegnata Ariel. Quello che sembra solo l’ennesimo lavoro con l’ennesima terricola (così sulla Luna chiamano i terrestri) stupida diventa per Holly qualcosa di più, in quando Jeff, il suo migliore amico, comincia a dimostrare verso Ariel un’attenzione eccessiva, che porta Holly a provare una rabbia e un fastidio che non riesce neppure bene a comprendere. Eppure, come lei non finisce che ripetere a sé stessa, Jeff è solo un amico, e può fare quello che vuole...

Dal mio riassunto qui sopra si intuisce che la storia è leggera e divertente, raccontata in modo scanzonato e rilassato. È un racconto di discreta lunghezza, tuttavia questo non si sente molto, perché le pagine si voltano da sole. La trama così semplice ma fresca e genuina non fa che contribuire ad aumentare la scorrevolezza della lettura. Devo dire che trovare un racconto del genere non è scontato, se pensate a quello di cui mi lamentavo nella scorsa recensione. La trama è abbastanza prevedibile (sono sicuro che anche solo dalla mia sintesi avete intuito tutti come va a finire), ma questo non importa, la narrazione è così fluida e leggera che la prevedibilità passa in secondo piano.

Holly.

Il personaggio di Holly è molto ben caratterizzato, e fa molta simpatia al lettore, pur essendo antipatica e una gran testona. La prima volta che dice a sé stessa che Jeff è solo un suo amico, cosa cui non crede nemmeno lei, mi ha fatto molta tenerezza. Nella sua ingenuità da ragazzina, abbinata alla sua decisione, alla sua energia, e alla sua determinazione, Holly è senza dubbio uno dei personaggi migliori della raccolta, paragonabile ad Harriman. Osservarla crescere e maturare nella comprensione di sé è stato molto piacevole, e sono sicuro che senza di lei il racconto sarebbe stato di qualità molto inferiore.

Heinlein centra quindi in pieno il bersaglio una seconda volta. Do lo stesso voto a entrambi, ma Minaccia dalla Terra mi è piaciuto in realtà un po’ di più di Logica dell’impero.

Il quarto volume contiene i racconti «Se continua così...» e Disadattato. Tuttavia il racconto conclusivo del terzo volume, Confino, si colloca nella cronologia interna dopo «Se continua così...». Quindi siccome sono autistico ho deciso di recensire i racconti secondo l’ordine cronologico. È che l’ho seguito finora e mi urta smettere alla fine.

VOTO:  

18) «Se continua così...» 
Se non mi sbaglio questo è il racconto più lungo di tutta la Storia Futura (in effetti è un romanzo breve), e si svolge in tempi e luoghi diversi da quelli appena precedenti. Torniamo sulla Terra e ci troviamo nell’anno 2100, dopo che da molti decenni ormai si è instaurata la dittatura religiosa del profeta Nehemiah Scudder. È un salto di eventi discreto, ma pare che Heinlein avesse in mente di scrivere un racconto intitolato The sound of his wings (il suono delle sue ali, per i miei lettori diversamente anglofoni) che coprisse anche questo periodo, ma non ci è mai riuscito. Questo almeno stando a Wikipedia, ma decidiamo di fidarci e andiamo avanti.

John Lyle è un membro del corpo degli Angeli del Signore, la guardia ufficiale del Profeta Incarnato, ovvero la figura che ha seguito Nehemiah Scudder dopo la sua morte nel ruolo di governatore degli Stati Uniti nonché massima (e unica) autorità religiosa. John crede con fermezza nei principi della teocrazia e nel suo ruolo, e perciò quando si innamora di una delle Vergini del Profeta, Sorella Judith, all’inizio la cosa è per lui fonte di grande turbamento. Infatti l’unione con l’altro sesso è qualcosa non di disprezzato dalla società, ma sicuramente di visto come sconveniente e poco adatto a persone importanti, tant’è vero che per scalare le vette dell’esercito al soldo del Profeta è fondamentale mantenersi privi di pulsioni di alcun genere. Se si aggiunge poi che le Vergini, pur essendolo solo per modo di dire, sono riservate ai sollazzi del Profeta, che vergine, a differenza delle sue guardie, invece non lo è manco morto, si comprendono le difficoltà di John ad accettare la cosa. Questo è solo l’inizio di un percorso interiore che John compie attraverso le contraddizioni e le restrizioni della sua morale, con l’obiettivo di trovare un modo di comportarsi giusto ma privo di ostacoli o gabbie mentali. Questo percorso non è solo interno ma anche esterno, sulla strada della rivolta verso il regime.

Quando ho letto il racconto la prima volta mi è piaciuto molto. A ripensarci ora dopo mesi mi rendo conto che mi ero lasciato prendere dall’entusiasmo perché mi sembrava che Heinlein avesse finalmente scritto qualcosa di valido ed epico al tempo stesso. Ebbene, non è proprio così. La prima parte del racconto, quella ambientata a Nuova Gerusalemme, mi ricorda la sensazione che mi danno i vecchi film horror o drammatici ambientati in conventi pieni di gente repressa. Quei film con il bianco dei vestiti delle suore che ti acceca e le pareti delle stanze color azzurro-camera-del-bebè. Quei film che sanno di vecchio e opprimente ma non l’opprimente che vuole dire qualcosa, opprimente e basta. Dev’essere colpa dei nomi che hanno le cose (corpo degli Angeli del Signore, per esempio), non lo so, sta di fatto che mi trasmette un senso di nausea che non è voluto. O meglio, è chiaro che Heinlein voglia descrivere il palazzo del Profeta come la fiera dei repressi, ma il fatto è che il mio disgusto è diretto non ai contenuti del racconto ma al racconto in sé, che mostra la realtà della repressione in un brutto modo.

La copertina del quarto volume.

Proseguendo, con la fuga da Nuova Gerusalemme, si respira più libertà e il ricordo del racconto è molto più piacevole. Quello che accomuna le due parti e che è effettivamente è reso molto bene è il personaggio di John Lyle. Il suo cambiamento interiore è descritto in modo perfetto, e trattato anche in modo non banale. Non è che un minuto John è il chierichetto della chiesa di Santa Maria della Misericordia e il minuto dopo è Marilyn Manson. La sua evoluzione è trattata in modo tanto profondo quanto realistico, e infatti anche quando si stacca del tutto dalle sue credenze religiose continua a mantenere una forma di pudore. John Lyle è un personaggio a tutto tondo, con una psicologia approfondita e non scontata. Insomma, non è solo un mezzo che l’autore usa per mostrare che la repressione delle pulsioni umane secondo lui è male, è un personaggio con una sua autonomia.

Ultima nota interessante, la storia d’amore. Non si conclude come potremmo immaginare. Per niente. È anzi piuttosto imprevedibile, e, che uno apprezzi o meno, non si può dire che non sia una conclusione realistica.

Tirando le conclusioni, «Se continua così...» è un racconto con molti aspetti ben sviluppati ma un’atmosfera opprimente fine a sé stessa che non mi ha permesso di apprezzarlo del tutto. È comunque sopra la media degli altri racconti della raccolta, sia di quelli che ho recensito nella prima parte che nella seconda.

VOTO: 

19) Confino
II racconto successivo ci trasporta molto dopo il crollo della teocrazia del Profeta, in una società dove sussiste il cosiddetto Patto, che prevede che sia legale qualunque azione che non arrechi disturbo a un altro essere umano. Nel momento in cui si contravviene al patto le alternative sono due, o la terapia psichiatrica o l’esilio nella zona chiamata Confino. È questo che si trova a scegliere David MacKinnon, che decide di avventurarsi dentro Confino, luogo pericolo diviso in tre grandi aree, ciascuna dominata da una potenza che cerca di avere il potere sulle altre due e di espandersi anche nel resto dell’America.

Muri! America divisa! Che bello!

Confino è un racconto con molte potenzialità, di cui solo una piccolissima parte viene in effetti realizzata. L’esempio più lampante sono le tre aree di Confino, in ciascuna delle quali potrebbe essere senza problemi ambientato un ulteriore racconto. Tutte e tre sono davvero interessanti, eppure Heinlein ce ne fa vedere solo una, la più normale, e nemmeno per molto, a dirla tutta, è uno sguardo piuttosto selettivo e per nulla accurato. Non voglio dire che la trama non sia interessante o che MacKinnon non sia ben caratterizzato, o che la storia non si segua con piacere. Dico che L’ambientazione è molto ampia e variegata e non viene sfruttata. Che quindi il racconto poteva essere molto meglio e invece si mantiene sulla media, porta a termine il suo compito tirando le fila della sua trama e basta, senza osare oltre. Ecco, credo che sia questa la parola giusta. Confino non osa, rimane nel seminato in maniera fin troppo evidente perché io possa trascurarlo. Se Heinlein non si fosse inventato le tre zone e avesse detto che Confino era soltanto una zona selvaggia con villaggi sparsi alla trama non sarebbe quasi cambiato nulla.

Insomma, do lo stesso voto che ho dato a «Se continua così...» perché i voti sono quelli, ma non sono per nulla sullo stesso piano, e neppure paragonabili.

VOTO: 

20) Disadattato 
Siamo giunti all’ultimo racconto, che è di dimensioni molto ridotte, specie rispetto a quelli che ho appena recensito. Protagonista è Andrew Libby, che viene inserito in un gruppo di lavoro che raccoglie giovani disoccupati e li porta nello spazio per la colonizzazione di pianeti e asteroidi. Libby dimostrerà di avere capacità che nessuno poteva immaginare, e porterà aiuti insperati alla sua missione.

Cerco di essere stringato perché ho parlato davvero troppo questa volta. Inoltre non mi va di ripetere quello che ho già detto allo sfinimento nella scorsa recensione. Ebbene sì, con questo racconto si torna ai fasti del secondo volume. La trama potrebbe anche quasi essere interessante, ma tanto viene mandata a quel paese prima ancora che possa iniziare a suscitare tensione. Tutto si risolve in un attimo e il lettore rimane con l’amaro in bocca. È un peccato che la raccolta si concluda con questa nota che non funziona per niente, con gli ultimi racconti il livello si era decisamente sollevato.

VOTO: 


UNA RECENSIONE LUNGA UN SECOLO...



Pensavo che non ce l’avrei fatta e invece eccomi qua, alla fine di tutto. Tirare le conclusioni non è affatto semplice, ma ci proverò. La Storia Futura è un’antologia composta nel corso di moltissimi anni, e quindi risulta molto composita. La caratteristica dominante negativa è la scarsa gestione del ritmo, mentre di positivo presenta una cura non banale dei personaggi. Più si prosegue più le idee diventano originali e interessanti, e questo è di certo da riconoscere a Heinlein, il fatto che la sua fantasia non venga mai a mancare. L’ambientazione e altri aspetti che potrebbero risultare secondari, come la parte scientifica delle vicende, ricevono una grandissima attenzione, e vengono perciò presentati in modo interessante. Insomma, penso che il vero pregio della Storia Futura non consista nei singoli racconti, quanto nella loro totalità, nel fatto che insieme riescano a creare uno sviluppo coerente della stessa ambientazione, la nostra Terra, attraverso secoli di evoluzione. Se dovessi immaginare la Storia Futura come un grattacielo direi che la parte migliore non sono i singoli piani quanto la facciata esterna, la visione complessiva del palazzo. Se questo durante la lettura può non essere il massimo, perché ti porta a incocciare con racconti di scarsa qualità, tuttavia a libro terminato lascia un senso di epica completezza, come dopo la lettura di un poema, che di sicuro non è spiacevole né è qualcosa di così semplice da creare.

Non mi sento quindi né di bocciare né di consigliare la Storia Futura. Posso solo dire l’effetto che ha fatto su di me. Se pensate che possa farlo anche su di voi e ciò vi fa piacere non vi resta che leggerla voi stessi.