sabato 20 aprile 2019

Recensione - I figli di Matusalemme (la storia futura quarta parte)


Ho letto La storia futura di Robert Heinlein poco meno di un anno fa. Se la sto recensendo ora è perché sono pignolo e precisino e se inizio un ciclo di recensioni lo devo finire. Quindi, a ottobre ho recensito tutti i tre volumi di racconti che compongono il ciclo, ora mi dedico ai romanzi. Qui trovate quello che penso sul primo in ordine cronologico, I figli di Matusalemme, che si colloca dopo l’ultimo dei racconti brevi.
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Titolo: I figli di Matusalemme
Autore: Robert Heinlein
Anno: 1958 (la prima edizione divisa in tre parti è del 1941)                                        
Editore: Mondadori
Pagine: 238



TRAMA

Esistono uomini diversi dagli altri. Esistono ma vivono in incognito, di nascosto rispetto alle persone normali. Si tratta degli Howard, un gruppo di famiglie i cui membri, diversi anni prima, hanno preso parte a un esperimento genetico per allungare la durata della loro vita. Mary Sperling, il primo personaggio che ci presenta il romanzo, è una di queste persone, e, nonostante sembri intorno alla trentina, in realtà ha più di centottanta anni. Le famiglie Howard hanno da poco deciso di rivelare al mondo la propria esistenza, in quanto sulla Terra ormai la situazione politica è tranquilla e c’è stabilità, e quindi si pensa che gli uomini siano pronti a venire a conoscenza di questi segreti.

Questa decisione è stata presa dalla totalità dei membri delle famiglie riunita in consiglio. Tuttavia, non poteva rivelarsi più sbagliata. Nella gente comune si è insinuato il dubbio che le famiglie Howard tengano nascosto il segreto della longevità, e non vogliano condividerlo. Viene presto varato un piano governativo che prevede la detenzione di tutti i membri delle famiglie. È ormai il panico, e urgono soluzioni drastiche, ed è in questo clima che emerge Lazarus Long, strano membro delle famiglie che è sempre stato sulle sue...

LA MIA OPINIONE 


I figli di Matusalemme si può dividere in due grosse parti. La prima è quella che ho raccontato sopra e, devo dire la verità, non è granché. Si legge, per carità, e ha anche qualche scena d’azione più che discreta, ma non mi ha convinto. Sarà che Lazarus Long non risulta, almeno qui, un personaggio così incisivo, sarà che gli eventi, specie andando avanti, sfiorano il lettore senza coinvolgerlo troppo, non lo so. Sta di fatto che comunque non mi ha preso molto. La seconda parte, invece, è decisamente meglio. E mi tocca metterla sotto spoiler.


Sostanzialmente, l’unica soluzione che Lazarsu Long trova per salvare le famiglie Howard dai progetti del governo è quello di rubare un’astronave e portare via i geoidi dal geoide tutti insieme. La fuga dalla Terra ha successo e quindi il romanzo passa a raccontare le avventure delle famiglie Howard sui vari pianeti su cui atterrano e cercano di stabilirsi. Questi pianeti sono due, in pratica, quello dei Jockaira e quello del Piccolo Popolo. Ecco, non voglio rivelarvi troppo, ma entrambe le civiltà sono descritte e mostrate veramente bene. Sono originali, interessanti, e ben costruite. Si vede che Heinlein le ha pensate molto attentamente e in modo molto preciso, sono approfondite e credibili. Insomma, sono entrambe delle ottime idee e sono anche ben gestite.

Dove il romanzo cade ancora è nel finale. Non voglio rivelare nulla, ma l’ho trovato un po’ anticlimatico e di comodo. In buona sostanza, le famiglie Howard si trovano la pappa fatta e ogni problema viene risolto da sé. 

[FINE SPOILER]

Gli spiegoni scientifici costituiscono una parte importante del romanzo, e sono importanti per lo svolgersi della trama. Sono in buona sostanza solo due, ma sono di discreta lunghezza, in particolare il primo, e quindi rimangono impressi. Uno riguarda la possibilità di viaggiare a velocità maggiori di quella della luce, l’altro non lo rivelo per non fare altri spoiler. Ad ogni modo, devo dire che sono discreti, nel senso che si seguono e si fanno capire persino da chi come me è un profano dell’argomento. Tuttavia, la nota dolente è che sono senza dubbio troppo lunghi, e quindi non riescono a mantenere viva l’attenzione del lettore per tutto il tempo. Mi riferisco in particolare a quello sui viaggi oltre la velocità della luce, che in certi punti è davvero soporifero.

Comunque, ed è la cosa più importante, suonano credibili. Com’è ovvio se uno si mette a spulciare risultano scientificamente scorretti (lo sanno anche i sassi che non si può viaggiare oltre la velocità della luce), ma non lo sembrano. Credo che questo sia un grande merito per un autore di fantascienza (e di fantasy in generale), il travestire la sua falsità talmente bene da farla suonare vera. Certo, ci sono scrittori che non fanno così, vedi Asimov, ma c’è anche da dire che la sua fantascienza è molto meno hard di tante altre, e gli spiegoni sono ridotti al minimo, se non assenti. Non è questo il caso, ed è assodato che Heinlein non disdegna di piegare la verità scientifica per i suoi scopi. E se ancora questo non fosse chiaro, aspettate che recensisca Time enough for love.

I personaggi sono caratterizzati in modo discreto ma molto altalenante. Mary Sperling è accettabile e nulla più, ma va bene, tanto mano a mano che la storia prosegue continua a perdere di importanza. Un personaggio che trovo stereotipato e in ultima analisi piuttosto vuoto (anche un po’ antipatico) è Andrew Libby. Ve lo ricordate? È il protagonista di Disadattato, l’ultimo racconto che ho recensito nella scorsa puntata della storia futura. Ho l’impressione che Heinlein gli fosse molto affezionato, e onestamente faccio fatica a capire perché. È il classico Dexter ma senza laboratorio e senza sorella sflangia gioielli a carico. Non ha un tratto di personalità che sia uno se non l’essere un genio. E ok, d’accordo, mi può andare bene per introdurlo, ma poi mi aspetto anche qualcos’altro. Il fatto è che ricopre pure un ruolo importante nella storia, eppure è spesso quanto un foglio di carta. Avete presente Sleeping Beauties? Il romanzo che Stephen King ha scritto insieme al figlio Owen un paio di anni fa? L’ho letto poco tempo fa ma non lo recensirò perché non mi va di bacchettare lo zio Steve, vi basti sapere che ha ventordicimila personaggi e di questi solo una piccola parte è ben caratterizzata. Gli altri sono nomi scritti su carta, e mentre li leggevo non mi dicevano nulla perché non riuscivo a ricordarmi neanche chi fossero. Ecco, per Libby il discorso è esattamente identico.

Libby si prepara a partire sulla sua astronave che supera la velocità della luce.

Per quanto riguarda Lazarus, Long la cosa è particolare, nel senso che è in effetti un personaggio ben caratterizzato, e in Time enough for love, lungo romanzo interamente dedicato a lui, fa una gran figura. Voglio dire, non è per nulla semplice che un protagonista che non ha quasi evoluzione psicologica, e grazie alla sua esperienza di vita millenaria non ha più spunti di crescita o comunque cose da imparare, riesca a reggere da solo sulle proprie spalle qualcosa come novecento e passa pagine di libro senza diventare noioso, saccente o antipatico. O tutte e tre le cose insieme. Quindi quando ha il dovuto spazio Lazarus Long è un personaggio di tutto rispetto. Ne I figli di Matusalemme, però, non risulta né particolarmente interessante né particolarmente brillante, insomma colpisce molto meno il lettore di quanto accada dove invece è il protagonista assoluto. Perché sì, per quanto ricopra un ruolo molto importante e gli sia dedicato molto spazio, non si può dire che Lazarus Long sia il protagonista, così come in realtà non si può dire che lo sia Mary Sperling. In realtà, il vero protagonista del romanzo è la totalità delle famiglie Howard. Lazarus e Mary sono solo due membri che hanno un po’ più attenzione degli altri, ma di fatto non emergono come protagonisti in tutto e per tutto. Questo se da un lato è originale, dall’altro però impedisce al lettore di affezionarsi a un personaggio in particolare.

In buona sostanza, quanto vale I figli di Matusalemme? Bisogna porre questa domanda considerandolo però sotto due aspetti, di cui il primo è la sua appartenenza al ciclo della Storia Futura. Ricorderete che i voti che ho dato ai racconti erano molto altalenanti, e quindi alla fine ho concluso la terza parte della recensione dicendo che il fascino della Storia Futura sta più nella sua architettura d’insieme che nelle singole parti che la compongono. I figli di Matusalemme, in quest’ottica, rappresenta una tessera discreta del mosaico, che tutto sommato non aumenta né diminuisce la media della qualità dei racconti. C’è da dire, però, che è superiore in fatto di idee. Le due civiltà in cui i pellegrini spaziali incappano sono davvero interessanti, e anche abbastanza originali, come dicevo prima, e idee così buone è difficile trovarne all’interno dell’antologia.

E preso come romanzo a sé stante? Sotto questo aspetto, è un romanzo che consiglierei ma con riserve. Tanto per cominciare, trovo che letto da solo, senza conoscere la Storia Futura, renda molto meno. E più in generale si sente qua e là che ormai ha quasi settant’anni, e certe parti iniziano a puzzare di vecchio. Non è, per dire, come i romanzi di Asimov, che per quanto abbiano la loro età comunque appaiono freschi e genuini, o, ancora di più, come i romanzi di Dick. Oltre tutto dove le idee non sono eccelse l’attenzione del lettore non viene stuzzicata a dovere. Insomma, non è che sia brutto, alla sufficienza piena ci arriva senza dubbio. Ma di sicuro Heinlein ha dimostrato, anche nell’antologia stessa, di saper fare di meglio.

IN CONCLUSIONE



Pregi o difetti che abbia, I figli di Matusalemme è un romanzo fondamentale nella cronologia della Storia Futura, perché introduce il personaggio fondamentale di Lazarus Long e anticipa molti temi che saranno ripresi in modo ampio in Time enough for love. Nel bene e nel male, dunque, se uno vuole fare il precisino come me e leggersi tutta la serie, è una tappa imprescindibile.


VOTO: 
 

mercoledì 3 aprile 2019

Recensione - Hyperion di Dan Simmons

Dan Simmons è un grande nome della fantascienza, ma non solo. Ha spaziato attraverso vari generi, passando per l’horror e per il noir. Vanta una collezione di premi letterari notevole e, pensate un po’, come mi riferisce la mia personale rete di spie incaricata di pedinare gli scrittori che recensisco, – oppure come ho letto su Wikipedia, a voi la scelta – ha addirittura ricevuto un dottorato ad honorem. Insomma, sembrerebbe proprio trattarsi di un pezzo grosso della scrittura.

Quando ho comprato il romanzo di cui voglio parlare oggi, Hyperion, non sapevo nulla sul suo autore, e in realtà sapevo ben poco anche riguardo al libro. Ero a conoscenza del fatto che fosse l’inizio di un ciclo, i Canti di Hyperion, e che fosse di genere fantascientifico, e forse nient’altro. Sta di fatto che, se al momento mi ha attirato a tal punto da acquistarlo, l’ho lasciato perdere per alcuni mesi, perché ero impegnato a leggere la tappa finale della storia futura del nostro pianeta secondo Robert Heinlein, ovvero le scappatelle incestuose di Lazarus Long (scherzi a parte, avevo detto che avrei recensito Time enough for love e lo farò, prima o poi, perché è un libro che mi ha lasciato dall’inizio alla fine con due punti interrogativi al posto degli occhi). Quando ho deciso di prendere finalmente in mano Hyperion e leggerlo, dunque, ne sapevo tanto quanto nel momento in cui l’ho comprato. Ci è voluto molto poco però perché me ne facessi un’idea. E quest’idea non è proprio lusinghiera, diciamo, come invece potrebbe suggerire la sfilza di premi che Dan Simmons ha collezionato nel corso della sua carriera.
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Titolo: Hyperion
Autore: Dan Simmons
Anno: 1989                                       
Editore: Fanucci (precedentemente editato da Interno Giallo)
Pagine: 536. Sarebbero potute essere 500 in meno e non sarebbe cambiato nulla.



TRAMA

Il romanzo comincia con un certo Console che si trova da qualche parte a suonare il pianoforte, circondato da descrizioni inutili e pompose di stratocumuli, gimnosperme e tante altre cose di cui al lettore interessa poco. Il Console scopre di essere stato convocato per un pellegrinaggio sul pianeta Hyperion, insieme ad altri sei pellegrini. Le regole per i pellegrinaggi sono semplici: la Chiesa Shrike seleziona sette pellegrini tra coloro che fanno la richiesta e consente loro di visitare le Tombe del Tempo, dove potranno incontrare la misteriosa creatura denominata Shrike. Di questi pellegrini sei verranno uccisi, mentre uno vedrà realizzato un proprio desiderio. Il pellegrinaggio del Console è l’ultimo, poiché i barbari Ouster stanno per invadere Hyperion e le Tombe del Tempo, che viaggiano a indietro nel tempo dal futuro, stanno per aprirsi, ovvero riallinearsi con il presente.

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Descrizioni inutili di stratocumuli e gimnosperme, che felicità!

Tutto questo non è spiegato all’inizio, e infatti sulle prime è piuttosto difficile mettere insieme tutti i pezzi e capire che cosa sta succedendo. Comunque, l’azione si sposta sulla nave spaziale in viaggio verso Hyperion con i sette pellegrini a bordo. Dopo un’infinita descrizione dei sette pellegrini e dello spazio, della luce, dei pianeti e bla bla bla, l’allegra combriccola decide di ammazzare il tempo cercando di capire perché, tra tutte le persone che vogliono fare il pellegrinaggio, siano stati scelti proprio loro, che neppure aderiscono al culto Shrike. Uno dei membri, Sol Weintraub, suggerisce pure che debba esserci un qualche legame tra loro (perché? Non viene mai spiegato) e che quindi valga la pena che ciascuno racconti la sua storia. Il romanzo è quindi composto quasi interamente dalle storie raccontate dai pellegrini, intervallate dal viaggio verso le Tombe del Tempo.

LA MIA OPINIONE


Hyperion è un romanzo lungo. E non solo per il numero di pagine, che è comunque discreto, ma anche in relazione ai fatti raccontati. Hyperion è soltanto una enorme premessa a quella che è la trama principale, che sostanzialmente ha inizio alla fine del libro, quando i protagonisti arrivano finalmente alle Tombe del Tempo. Non serve che mi metta io a sottolineare perché questa non è una buona idea. Magari sono ingenuo io, ma mi verrebbe da pensare che uno scrittore dalla fama e dai riconoscimenti di Dan Simmons dovrebbe sapere che un romanzo fatto di flashback e spezzoni di viaggio dove non succede nulla di interessante, un romanzo dove sostanzialmente la trama non procede di una virgola dall’inizio alla fine, non è proprio il massimo.

Comunque, facciamo finta di niente. Facciamo finta che siccome lo scopo del romanzo è raccontare i passati dei protagonisti uno dovrebbe fregarsene della trama principale. D’altra parte, Stephen King ha scritto La sfera del buio e nessuno ce l’ha con lui per questo, a me è piaciuto e l’ho pure recensito positivamente qui su questi schermi. Il punto è che anche così il libro non ne esce bene per niente. Su sei racconti ne salvo in toto soltanto uno, il quarto, il racconto di Sol Weintraub, che ho trovato intenso e coinvolgente. Il tema non è originale, in pratica la figlia di Weintraub riceve una maledizione che la costringe a perdere ogni giorno un giorno della propria vita, fino a regredire allo stato di bebé e dunque, prima o poi, morire. Beniamina Button, praticamente. Qualche aspetto nel racconto non funziona, ma nel complesso è davvero ben scritto e ben strutturato. Tuttavia, è l’unico su cui posso esprimermi in toni così lusinghieri. Il primo racconto, quello del prete cattolico Lenar Hoyt è discreto, con qualche caduta di stile qua e là e un finale poco coerente e un filino di cattivo gusto, che controbilanciano uno sviluppo coinvolgente con un mistero che riesce a interessare il lettore e che viene svelato poco a poco. Il secondo racconto,  quello del colonnello Fedhman Kasssad, è una Waterloo. Parlarne male è sparare sulla croce rossa, vi basti sapere che inizia con Kassad che partecipa a una simulazione virtuale di guerra per allenamento, incontra una donna in una radura e senza nemmeno rivolgerle parola (!) inizia a copularci come un coniglio. E lei è consenziente. E questo succede più volte. Come dicevo, sparare sulla croce rossa.

"Cirano, amico mio, abbracciami, guascone!" 
Il terzo racconto è del poeta Martin Sileno (personaggio su cui avrò modo di tornare in seguito), ed è un enorme boh. Succedono le peggio cose, tra cui anche un bel genocidio degli abitanti di una città, tanto per gradire, gli eventi non hanno un legame logico e i personaggi si comportano come degli idioti. Un esempio su tutti, il re Billy, che quando rimane soltanto Martin Sileno nella città e tutti gli altri abitanti sono stati uccisi, invece che farlo arrestare si beve le sue idiozie su “lo Shrike non mi uccide perché è la mia musa” (cosa vuol dire? Simmons non lo spiega mai). Ora, Sileno non è davvero responsabile degli omicidi, ma quale persona sana di mente gli crederebbe? Invece re Billy lo ascolta e poi viene ucciso pure lui. Karma.

Il quarto racconto è quello di Weintraub, il quinto è quello di Brawne Lamia, e non è proprio al livello di quello di Kassad ma è sotto quello di Sileno. Che non è molto in alto. In poche parole, è una storia che vorrebbe essere thriller ma anche qui la gente ha il vizio di fare cose stupide a caso. Lamia viene incaricata di scoprire chi ha cercato di uccidere un suo cliente, ma presto la sua indagine inizierà a prendere pieghe random senza senso. Ah, so che è uno spoiler ma chissene, a un certo punto viene messa incinta da un cyborg.

"Il tuo padrone era un pignolo..."
L’ultimo racconto è quello del Console, ed è in tutta sincerità dimenticabile e poco interessante. Come potete vedere, dunque, il livello complessivo delle storie è molto basso. E oltre a questo nemmeno i personaggi che le raccontano sono caratterizzati in modo particolare. Alcuni hanno giusto quelle due o tre caratteristiche che lo distinguono dagli altri e basta, come per esempio Sol Weintraub, che è pacato e tranquillo, e Kassad, che è quello freddo e duro, e basta, altri invece sono anonimi del tutto, come Lamia o il Templare di cui non ricordo il nome, il settimo pellegrino che sparisce prima di poter raccontare la sua storia. L’unico che Simmons riesce a caratterizzare un filo meglio degli altri (rimanendo comunque sotto la soglia dell’accettabile) è Martin Sileno. C’è da dire però che Sileno mi ricorda molto lo stile di certi autori italiani, che rendono volgari i propri personaggi a caso e quindi più che caratterizzarli li fanno essere costantemente fuori luogo. Ecco, Sileno mi ha dato proprio quest’impressione. Ok, è un personaggio sopra le righe, ma la sua volgarità e i suoi eccessi stonano, perché sono senza senso. In altri casi l’avrei chiamata ipercaratterizzazione, a questo giro non me la sento e dirò soltanto che è l’ennesimo caso di caratterizzazione non riuscita.

Lo stile di Simmons non è nulla di particolare. Come ho già avuto modo di sottolineare, tende a essere prolisso e a soffermarsi per secoli su descrizioni di dettagli di poca importanza, che quindi potrebbe evitare e rendere così più agile la narrazione. In generale, anche quando non ci sono descrizioni, la storia procede in maniera lenta e coinvolgente solo a sprazzi, mentre per il resto l’interesse del lettore non viene per nulla stuzzicato.  

Simmons sembra avere una predilezione per le citazioni e i riferimenti ai classici della letteratura inglese. I titoli dei romanzi di tutta la saga si riferiscono alle opere del poeta John Keats, che appare come personaggio (in un modo che è complicato spiegare) nella storia di Brawne Lamia. Altre citazioni sono sparse qua e là in tutto il romanzo. Per quanto mi riguarda, tutto questo aggiunge poco al libro in sé, sia in positivo che in negativo. Non capisco bene il motivo per cui Simmons li abbia inseriti, ma sono abbastanza ininfluenti a livello di apprezzamento della storia.

IN CONCLUSIONE


Come romanzo a sé stante Hyperion è un totale buco nell’acqua, come inizio di una saga non è per nulla entusiasmante, visto che in pratica rimanda tutta la trama ai libri successivi. La coerenza interna è quasi del tutto inesistente e i personaggi non sono per nulla caratterizzati, e questa situazione diventa ancora più imbarazzante se considerata la supposta bravura del suo autore. Insomma, una lettura che sconsiglio sotto tutti i punti di vista. Io però avevo comprato anche il seguito quindi me lo sono letto e voi vi beccate la recensione. In realtà non l’ho finito perché non ce la facevo più, è ancora peggio di questo, quindi non so se lo recensirò. Altrimenti passerò a Lazarus Long, vediamo.

VOTO: