venerdì 24 maggio 2019

Fumetti americani e mangaka a scuola di coerenza da Brandon Sanderson


Il professor Sanderson sta scrivendo ai due computer che ha sulla scrivania. Per la precisione, con la mano destra scrive il nuovo romanzo della serie delle Cronache della Folgoluce (chiedendosi come i traduttori italiani abbiano potuto trovare un nome così orribile), mentre con la sinistra un racconto che sarà il prequel di una decalogia di pentalogie che inizierà dalla creazione del mondo e arriverà all’invenzione dei viaggi intergalattici con la magia. Nel frattempo sta ideando lo spin off del seguito della quarta era di Mistborn, e pensa al fatto che stamattina non ha preso il caffè e quindi non riesce a fare troppe cose contemporaneamente. Si trova così intento a pensare che quasi non si accorge che la campanella sta suonando e gli alunni stanno entrando in aula.

Batman si fionda nel banco davanti alla cattedra, Akira Toriyama ed Eichiro Oda in due banchi a metà aula e iniziano a lanciarsi palline di carta. Tite Kubo cammina con le mani in tasca e andatura fiera fino al banco nell’angolo in fondo, masticando un chewing gum. Si siede, si sistema gli occhiali da sole scuri e si mette a braccia conserte. Thanos arriva con in spalla la sua metà di zaino, che contiene solo metà dei libri, e chiede a Batman di fargli copiare i compiti, perché ne ha fatti solo metà. Batman rimane in silenzio. Thanos si va a sedere sconsolato, sperando che il prof gli dia solo metà nota sul registro.

Rocket sfreccia attraverso l’aula e si nasconde dietro Tite Kubo. Ha di nuovo sentito l’irrefrenabile desiderio di rubare la dentiera alla bidella. La bidella entra chiedendo se qualcuno ha visto Rocket. Tite Kubo continua imperterrito a masticare il chewing gum dietro i suoi occhiali neri. La bidella esce. Poco dopo entrano anche Groot, Iron Man, Capitan America e Hulk. Thor liquida la schiera di fan girl urlanti con cuori al posto degli occhi che lo segue tutte le mattine e si siede accanto a Thanos.

"Io sono Iron Man"
Un rumore di vetri rotti fa sussultare il professor Sanderson. È Superman, che anche oggi è entrato volando dalla finestra. Sanderson sospira, pensando a quando dovrà dire al preside che bisogna cambiare finestra per la quindicesima volta in tre settimane. Si alza abbandonando i suoi computer, non prima di avere pensato a sei ambientazioni per altrettanti cicli di romanzi, che dovrebbero essere soltanto la prima era della storia del mondo, in totale composta da sedici ere. Fa l’appello. Rocket si sta provando la dentiera della bidella, quindi risponde sputacchiando e facendo la doccia a Tite Kubo. Tite Kubo continua imperterrito a masticare il chewing gum dietro i suoi occhiali neri. Groot risponde felice «Io sono Groot» quando viene chiamato. Sanderson alza gli occhi al cielo. Groot è un bravo ragazzo, ma ha voti bassissimi, l’unica risposta giusta che dà è all’appello.
«Ora che ci siete tutti» esordisce Sanderson «Introdurrò l’argomento di oggi, ovvero la coerenza narrativa nella gestione dei poteri dei personaggi. Mi duole informarvi che alcuni di voi sono drasticamente overpowered...»

Il dottor Strange si guarda intorno fischiettando. Non ha mai ritenuto eccessivo il suo potere di riavvolgere il tempo. D’altra parte, è grazie a quello che ha il massimo dei voti in tutte le materie. «Ora» prosegue Sanderson «Il perché avete poteri troppo forti è semplice. Ma non lo spiegherò io, lo farà uno di voi. Toriyama, alla cattedra».

Toriyama smette di lanciarsi palline di carta con Oda e corre davanti alla lavagna. «Dunque» chiede Sanderson «Vuoi parlarci di Goku e di quanto diventa forte da super Sayan?»

«Bé, Goku super sayan è sicuramente in grado di distruggere un pianeta…»

«E Goku super sayan di secondo livello?»

Toriyama è in difficoltà. Si guarda intorno sperando che Oda gli suggerisca, ma sta tirando palline di carta contro Tite Kubo, che continua imperterrito a masticare il chewing gum. «Di sicuro è più forte di Cell» balbetta.

«E Goku super sayan di terzo livello?»

Toriyama suda freddo. «Tiene testa a Majin Bu» risponde, con un filo di voce.

«E Goku super sayan God?»

Toriyama crolla, e supplica Sanderson di mandarlo a posto perché aveva detto che quel giorno spiegava. Sanderson gli sorride e lo tranquillizza, per questa volta non gli metterà il voto. «Il problema» spiega poi «è che Goku diventa presto troppo forte, e quindi ben presto i suoi poteri sfuggono qualunque rapporto di proporzionalità con ciò che può fare una persona normale. All’inizio Goku è straordinario perché è più forte e più veloce di un uomo comune, poi perché è molto più forte e molto più veloce di un uomo comune, finché diventa così forte e così veloce che gli standard normali dei lettori non sono più in grado di misurarlo. L’unico modo per misurarlo è valutare la sua forza paragonandola a quella degli antagonisti, che però sono fuori proporzione pure loro. Avete presente come funziona Dragon Ball Super? Goku diventa sempre più forte ma sostanzialmente non si percepisce più nessun cambiamento di capacità da una trasformazione a un’altra, se non che riesce a battere il nemico di turno, cosa che prima non gli riusciva. Questo non è bene per una storia perché il lettore non si stupisce più. Quando i personaggi sanno fare cose che lui non sa fare allora è interessato, ma quando i poteri dei protagonisti escono dai suoi parametri non lo interessano più, lo annoiano e basta».

I libri che Sanderson ha scritto ieri mattina.
La classe è tutta intenta a prendere appunti. «Per i supereroi la questione è un po’ diversa, perché non riguarda tanto la qualità dei poteri, ma la loro quantità. Questo si nota in particolare nei film, più che nei fumetti, visto che gli sceneggiatori Marvel hanno la brutta abitudine di dare al pubblico esattamente quello che si aspetta. Non è che voi partiate fin da subito male, è che presto gli sceneggiatori vi riempiono di talmente tanti super poteri che poi viene da chiedersi come facciate ad avere difficoltà a battere il cattivo, specie quando lui è uno e voi una marea. I maldicenti suggeriscono che quando siete stati colpiti da quei raggi gamma o vi hanno iniettato quel siero del supersoldato vi sia spuntato qualche cromosoma in più. Ad ogni modo, è frustrante vedere come gruppi di personaggi che insieme possono fare praticamente tutto e il contrario di tutto non riescano a sconfiggere una persona, che ok, magari avrà pure lui dei gran superpoteri, ma resta pur sempre uno solo».

Sanderson prende fiato per lasciare che gli alunni finiscano di scrivere. Solo Tite Kubo continua imperterrito a masticare il chewing gum. «Un aspetto importante» continua «Che bisogna considerare è che è inutile e dispersivo inventare troppe cause per la nascita dei superpoteri. È fondamentale, quando si crea un sistema di poteri soprannaturali, che siano la magia, come faccio io nei miei romanzi, o qualunque altra cosa, partire da poche regole semplici, che stiano alla base di tutto, e che chiariscano fin dall’inizio che cosa si può o non si può fare». Si guarda intorno alla ricerca di Togashi. Vorrebbe chiamarlo per fargli i complimenti, visto che il suo sistema del Nen è perfetto sotto questo aspetto, ma anche oggi il suo banco è vuoto. Togashi sarebbe un allievo modello, se non avesse l’abitudine di frequentare le lezioni qualche settimana e poi prendersi pause di sei mesi. «Un esempio è quello dei frutti del diavolo di One Piece. Il loro punto debole è conosciuto fin dall’inizio, e poi Oda ne descrive le tipologie. I poteri derivabili dai frutti del diavolo sono praticamente infiniti, tuttavia esistono dei limiti prefissati che consentono in qualche modo di inquadrarli. Si poteva fare qualcosa di più rigoroso? Naturalmente sì, visto che le premesse delle tipologie non esauriscono tutti i poteri dei frutti, ma questo non è un problema. Invece, un sistema poco rigoroso ma anche privo di criteri logici alla base è quello dei fullbring di Bleach».

Tite Kubo, le emozioni fatte mangaka.
Tite Kubo non si muove di un millimetro quando sente pronunciare il suo nome. Per un secondo smette di masticare. «I fullbring non hanno dei criteri alla base per stabilire quali poteri possono conferire e quali no. Esiste una regola generalissima e molto astratta, che ha l’unico compito di giustificare la presenza di questi poteri, e poi basta, con il fullbring si può sostanzialmente fare quello che si vuole. Questo è poco interessante perché quando si può fare qualunque cosa non c’è problema che non possa essere superato, almeno in potenza. Prendete la mia trilogia di Mistborn. La cosa più interessante dei poteri del…ehm…Lord Reggente» Sanderson si ferma un istante, perché la brutta traduzione italiana gli provoca nausea e voltastomaco. Afferra un gaviscon che tiene in tasca per occasioni simili e lo ingoia sentendosi Kelsier che beve una fiala di Atium. «Dicevo» riprende «che la cosa più interessante dei suoi poteri e che non inseriscono nulla di nuovo rispetto a ciò che è stato detto di Feruchemia e Allomanzia. Si tratta di un loro uso che si poteva derivare dalle premesse di questi due tipi di magia, e la bravura dello scrittore, in questo caso mia, è quella di avere trovato un uso intelligente e non scontato delle regole che lui stesso ha creato. Questo è stimolante per i lettori, e onesto nei loro confronti. Quando qualcuno legge un mio romanzo e vede qualcosa che non capisce sa che c’è sicuramente una spiegazione e che essa è perfettamente inseribile nell’ambientazione, senza forzature. Inventarsi poteri senza regole priva la storia di mordente, perché il lettore sa che intanto può sempre spuntare fuori qualcuno che sa fare esattamente quello che serve. Quando invece ci sono dei limiti, allora si può davvero mettere i personaggi in difficoltà.

«I vostri poteri, amici supereroi, stancano per questo motivo. Perché possono venire fuori da qualunque cosa e non hanno limitazioni. Non esiste un criterio alla base, potenzialmente da qualunque evento accidentale potrebbe venire fuori qualunque genere di potere, che potrebbe essere sviluppato in qualunque modo. Per questo, nell’intero mondo Marvel c’è gente che più o meno sa fare qualunque cosa. Di suo non sarebbe un problema, posto che ogni supereroe viva in una sorta di universo parallelo dove gli altri non esistono, lo diventa quando si decide di riunirli. Perché la coerenza si immola sull’altare del commerciale.

«La magia e i poteri sono una cosa interessante. Per uno come me, sono tre quarti del divertimento quando creo una storia. Per la maggior parte dei miei lettori sono tre quarti del divertimento quando la leggono. Per questo chiedo coerenza e attenzione. Creare poteri a muzzo che sono spettacolari ma insensati non dà valore alla storia, il contrario. Potrebbe affollare di più un cinema e far guadagnare più soldi, ma a discapito della qualità. Ora, non è necessario essere rigorosi quanto lo sono io in Mistborn, dove a ogni metallo corrisponde uno e un solo potere e non si va oltre, e quindi il lettore sa fin dall’inizio tutto quello che possono fare i personaggi, basta mantenere una certa logica e una certa precisione».

Se non seguite le mie regole vi affetto!
Un braccio verde si alza in mezzo alla classe. «Dimmi pure, Junior» lo invita Sanderson.
Junior è visibilmente imbarazzato. È molto probabile che stia ancora pensando al ruolo penoso che gli viene riservato nel film di DB Super su Broly. «Se i poteri non sono coerenti» dice «poi si diventa come me. Trascurati. Dimenticati. Inutili. E a quel punto nemmeno lo psicologo ti salva. E non ti salva nemmeno una nuova serie non tratta dal manga, perché i nemici diventano sempre più forti. Rimani…solo».

Junior abbassa lo sguardo, soffocando un singhiozzo. Crilin e Yamcha si alzano dai loro posti e gli si avvicinano, dandogli delle pacche consolatorie sulla spalla. «Il problema del povero Junior» aggiunse Sanderson con un sorriso di compassione «è quello di moltissimi personaggi. La prima volta che appaiono sono fortissimi e danno molto filo da torcere ai protagonisti. Poi vengono sconfitti ma non uccisi, e rimangono relegati al ruolo di comprimari. Con il fatto che però i protagonisti diventano sempre più forti, questi personaggi passano sempre più in secondo piano e devono venire perciò definitivamente scartati, per necessità di coerenza. Questo è un tipico esempio di sciatteria di trama, perché un plot ben curato non casca in simili inghippi. Per citare di nuovo Mistborn, io ho fin dall’inizio chiaro quali siano i limiti dei poteri che i personaggi possono ottenere, quindi non c’è mai squilibrio. Quando un personaggio è forte lo è in assoluto, e non rapportato alla potenza dei personaggi in quel determinato momento. Per farvi capire, pensate a cosa sarebbe successo se Majin Bu fosse stato risvegliato negli anni di allenamento prima dell’arrivo degli androidi. Di sicuro Goku e gli altri sarebbero stati sconfitti in men che non si dica, e la storia si sarebbe conclusa lì. Sembra quasi che gli antagonisti arrivino secondo un grado di forza crescente per permettere ai protagonisti di essere abbastanza forti per batterli, e questo non succede solo in Dragon Ball, ma in moltissime altre opere. Quello di Dragon Ball è soltanto un esempio macroscopico».

In quel momento suona la campanella. Sanderson rimane in classe ancora qualche minuto a dare i compiti, poi inizia a mettere via tutte le sue cose, e per un attimo smette di pensare a dei libri da scrivere. Sta infilando uno dei suoi portatili nella borsa ma si ferma così, con il computer mezzo fuori e mezzo dentro, e osserva il cielo azzurro attraverso il vetro rotto da Super Man. Si dice che è bello essere un libro o fumetto, perché non muori mai e alla fine ogni cosa nella tua vita va al suo posto, ma è ancora più bello essere quello che è lui, ovvero chi i mondi immaginari li crea. Chi ha il duro e importantissimo compito di regalare un po’ di serenità e oblio agli altri uomini con il potere della sua immaginazione. Per questo per lui è importante svolgere al meglio il suo lavoro, e per questo si permette di insegnarlo agli altri.

Esce dalla classe forse un po’ più pensieroso di come ci è entrato, ma di sicuro un po’ più fiero di sé.

sabato 20 aprile 2019

Recensione - I figli di Matusalemme (la storia futura quarta parte)


Ho letto La storia futura di Robert Heinlein poco meno di un anno fa. Se la sto recensendo ora è perché sono pignolo e precisino e se inizio un ciclo di recensioni lo devo finire. Quindi, a ottobre ho recensito tutti i tre volumi di racconti che compongono il ciclo, ora mi dedico ai romanzi. Qui trovate quello che penso sul primo in ordine cronologico, I figli di Matusalemme, che si colloca dopo l’ultimo dei racconti brevi.
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Titolo: I figli di Matusalemme
Autore: Robert Heinlein
Anno: 1958 (la prima edizione divisa in tre parti è del 1941)                                        
Editore: Mondadori
Pagine: 238



TRAMA

Esistono uomini diversi dagli altri. Esistono ma vivono in incognito, di nascosto rispetto alle persone normali. Si tratta degli Howard, un gruppo di famiglie i cui membri, diversi anni prima, hanno preso parte a un esperimento genetico per allungare la durata della loro vita. Mary Sperling, il primo personaggio che ci presenta il romanzo, è una di queste persone, e, nonostante sembri intorno alla trentina, in realtà ha più di centottanta anni. Le famiglie Howard hanno da poco deciso di rivelare al mondo la propria esistenza, in quanto sulla Terra ormai la situazione politica è tranquilla e c’è stabilità, e quindi si pensa che gli uomini siano pronti a venire a conoscenza di questi segreti.

Questa decisione è stata presa dalla totalità dei membri delle famiglie riunita in consiglio. Tuttavia, non poteva rivelarsi più sbagliata. Nella gente comune si è insinuato il dubbio che le famiglie Howard tengano nascosto il segreto della longevità, e non vogliano condividerlo. Viene presto varato un piano governativo che prevede la detenzione di tutti i membri delle famiglie. È ormai il panico, e urgono soluzioni drastiche, ed è in questo clima che emerge Lazarus Long, strano membro delle famiglie che è sempre stato sulle sue...

LA MIA OPINIONE 


I figli di Matusalemme si può dividere in due grosse parti. La prima è quella che ho raccontato sopra e, devo dire la verità, non è granché. Si legge, per carità, e ha anche qualche scena d’azione più che discreta, ma non mi ha convinto. Sarà che Lazarus Long non risulta, almeno qui, un personaggio così incisivo, sarà che gli eventi, specie andando avanti, sfiorano il lettore senza coinvolgerlo troppo, non lo so. Sta di fatto che comunque non mi ha preso molto. La seconda parte, invece, è decisamente meglio. E mi tocca metterla sotto spoiler.


Sostanzialmente, l’unica soluzione che Lazarsu Long trova per salvare le famiglie Howard dai progetti del governo è quello di rubare un’astronave e portare via i geoidi dal geoide tutti insieme. La fuga dalla Terra ha successo e quindi il romanzo passa a raccontare le avventure delle famiglie Howard sui vari pianeti su cui atterrano e cercano di stabilirsi. Questi pianeti sono due, in pratica, quello dei Jockaira e quello del Piccolo Popolo. Ecco, non voglio rivelarvi troppo, ma entrambe le civiltà sono descritte e mostrate veramente bene. Sono originali, interessanti, e ben costruite. Si vede che Heinlein le ha pensate molto attentamente e in modo molto preciso, sono approfondite e credibili. Insomma, sono entrambe delle ottime idee e sono anche ben gestite.

Dove il romanzo cade ancora è nel finale. Non voglio rivelare nulla, ma l’ho trovato un po’ anticlimatico e di comodo. In buona sostanza, le famiglie Howard si trovano la pappa fatta e ogni problema viene risolto da sé. 

[FINE SPOILER]

Gli spiegoni scientifici costituiscono una parte importante del romanzo, e sono importanti per lo svolgersi della trama. Sono in buona sostanza solo due, ma sono di discreta lunghezza, in particolare il primo, e quindi rimangono impressi. Uno riguarda la possibilità di viaggiare a velocità maggiori di quella della luce, l’altro non lo rivelo per non fare altri spoiler. Ad ogni modo, devo dire che sono discreti, nel senso che si seguono e si fanno capire persino da chi come me è un profano dell’argomento. Tuttavia, la nota dolente è che sono senza dubbio troppo lunghi, e quindi non riescono a mantenere viva l’attenzione del lettore per tutto il tempo. Mi riferisco in particolare a quello sui viaggi oltre la velocità della luce, che in certi punti è davvero soporifero.

Comunque, ed è la cosa più importante, suonano credibili. Com’è ovvio se uno si mette a spulciare risultano scientificamente scorretti (lo sanno anche i sassi che non si può viaggiare oltre la velocità della luce), ma non lo sembrano. Credo che questo sia un grande merito per un autore di fantascienza (e di fantasy in generale), il travestire la sua falsità talmente bene da farla suonare vera. Certo, ci sono scrittori che non fanno così, vedi Asimov, ma c’è anche da dire che la sua fantascienza è molto meno hard di tante altre, e gli spiegoni sono ridotti al minimo, se non assenti. Non è questo il caso, ed è assodato che Heinlein non disdegna di piegare la verità scientifica per i suoi scopi. E se ancora questo non fosse chiaro, aspettate che recensisca Time enough for love.

I personaggi sono caratterizzati in modo discreto ma molto altalenante. Mary Sperling è accettabile e nulla più, ma va bene, tanto mano a mano che la storia prosegue continua a perdere di importanza. Un personaggio che trovo stereotipato e in ultima analisi piuttosto vuoto (anche un po’ antipatico) è Andrew Libby. Ve lo ricordate? È il protagonista di Disadattato, l’ultimo racconto che ho recensito nella scorsa puntata della storia futura. Ho l’impressione che Heinlein gli fosse molto affezionato, e onestamente faccio fatica a capire perché. È il classico Dexter ma senza laboratorio e senza sorella sflangia gioielli a carico. Non ha un tratto di personalità che sia uno se non l’essere un genio. E ok, d’accordo, mi può andare bene per introdurlo, ma poi mi aspetto anche qualcos’altro. Il fatto è che ricopre pure un ruolo importante nella storia, eppure è spesso quanto un foglio di carta. Avete presente Sleeping Beauties? Il romanzo che Stephen King ha scritto insieme al figlio Owen un paio di anni fa? L’ho letto poco tempo fa ma non lo recensirò perché non mi va di bacchettare lo zio Steve, vi basti sapere che ha ventordicimila personaggi e di questi solo una piccola parte è ben caratterizzata. Gli altri sono nomi scritti su carta, e mentre li leggevo non mi dicevano nulla perché non riuscivo a ricordarmi neanche chi fossero. Ecco, per Libby il discorso è esattamente identico.

Libby si prepara a partire sulla sua astronave che supera la velocità della luce.

Per quanto riguarda Lazarus, Long la cosa è particolare, nel senso che è in effetti un personaggio ben caratterizzato, e in Time enough for love, lungo romanzo interamente dedicato a lui, fa una gran figura. Voglio dire, non è per nulla semplice che un protagonista che non ha quasi evoluzione psicologica, e grazie alla sua esperienza di vita millenaria non ha più spunti di crescita o comunque cose da imparare, riesca a reggere da solo sulle proprie spalle qualcosa come novecento e passa pagine di libro senza diventare noioso, saccente o antipatico. O tutte e tre le cose insieme. Quindi quando ha il dovuto spazio Lazarus Long è un personaggio di tutto rispetto. Ne I figli di Matusalemme, però, non risulta né particolarmente interessante né particolarmente brillante, insomma colpisce molto meno il lettore di quanto accada dove invece è il protagonista assoluto. Perché sì, per quanto ricopra un ruolo molto importante e gli sia dedicato molto spazio, non si può dire che Lazarus Long sia il protagonista, così come in realtà non si può dire che lo sia Mary Sperling. In realtà, il vero protagonista del romanzo è la totalità delle famiglie Howard. Lazarus e Mary sono solo due membri che hanno un po’ più attenzione degli altri, ma di fatto non emergono come protagonisti in tutto e per tutto. Questo se da un lato è originale, dall’altro però impedisce al lettore di affezionarsi a un personaggio in particolare.

In buona sostanza, quanto vale I figli di Matusalemme? Bisogna porre questa domanda considerandolo però sotto due aspetti, di cui il primo è la sua appartenenza al ciclo della Storia Futura. Ricorderete che i voti che ho dato ai racconti erano molto altalenanti, e quindi alla fine ho concluso la terza parte della recensione dicendo che il fascino della Storia Futura sta più nella sua architettura d’insieme che nelle singole parti che la compongono. I figli di Matusalemme, in quest’ottica, rappresenta una tessera discreta del mosaico, che tutto sommato non aumenta né diminuisce la media della qualità dei racconti. C’è da dire, però, che è superiore in fatto di idee. Le due civiltà in cui i pellegrini spaziali incappano sono davvero interessanti, e anche abbastanza originali, come dicevo prima, e idee così buone è difficile trovarne all’interno dell’antologia.

E preso come romanzo a sé stante? Sotto questo aspetto, è un romanzo che consiglierei ma con riserve. Tanto per cominciare, trovo che letto da solo, senza conoscere la Storia Futura, renda molto meno. E più in generale si sente qua e là che ormai ha quasi settant’anni, e certe parti iniziano a puzzare di vecchio. Non è, per dire, come i romanzi di Asimov, che per quanto abbiano la loro età comunque appaiono freschi e genuini, o, ancora di più, come i romanzi di Dick. Oltre tutto dove le idee non sono eccelse l’attenzione del lettore non viene stuzzicata a dovere. Insomma, non è che sia brutto, alla sufficienza piena ci arriva senza dubbio. Ma di sicuro Heinlein ha dimostrato, anche nell’antologia stessa, di saper fare di meglio.

IN CONCLUSIONE



Pregi o difetti che abbia, I figli di Matusalemme è un romanzo fondamentale nella cronologia della Storia Futura, perché introduce il personaggio fondamentale di Lazarus Long e anticipa molti temi che saranno ripresi in modo ampio in Time enough for love. Nel bene e nel male, dunque, se uno vuole fare il precisino come me e leggersi tutta la serie, è una tappa imprescindibile.


VOTO: 
 

mercoledì 3 aprile 2019

Recensione - Hyperion di Dan Simmons

Dan Simmons è un grande nome della fantascienza, ma non solo. Ha spaziato attraverso vari generi, passando per l’horror e per il noir. Vanta una collezione di premi letterari notevole e, pensate un po’, come mi riferisce la mia personale rete di spie incaricata di pedinare gli scrittori che recensisco, – oppure come ho letto su Wikipedia, a voi la scelta – ha addirittura ricevuto un dottorato ad honorem. Insomma, sembrerebbe proprio trattarsi di un pezzo grosso della scrittura.

Quando ho comprato il romanzo di cui voglio parlare oggi, Hyperion, non sapevo nulla sul suo autore, e in realtà sapevo ben poco anche riguardo al libro. Ero a conoscenza del fatto che fosse l’inizio di un ciclo, i Canti di Hyperion, e che fosse di genere fantascientifico, e forse nient’altro. Sta di fatto che, se al momento mi ha attirato a tal punto da acquistarlo, l’ho lasciato perdere per alcuni mesi, perché ero impegnato a leggere la tappa finale della storia futura del nostro pianeta secondo Robert Heinlein, ovvero le scappatelle incestuose di Lazarus Long (scherzi a parte, avevo detto che avrei recensito Time enough for love e lo farò, prima o poi, perché è un libro che mi ha lasciato dall’inizio alla fine con due punti interrogativi al posto degli occhi). Quando ho deciso di prendere finalmente in mano Hyperion e leggerlo, dunque, ne sapevo tanto quanto nel momento in cui l’ho comprato. Ci è voluto molto poco però perché me ne facessi un’idea. E quest’idea non è proprio lusinghiera, diciamo, come invece potrebbe suggerire la sfilza di premi che Dan Simmons ha collezionato nel corso della sua carriera.
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Titolo: Hyperion
Autore: Dan Simmons
Anno: 1989                                       
Editore: Fanucci (precedentemente editato da Interno Giallo)
Pagine: 536. Sarebbero potute essere 500 in meno e non sarebbe cambiato nulla.



TRAMA

Il romanzo comincia con un certo Console che si trova da qualche parte a suonare il pianoforte, circondato da descrizioni inutili e pompose di stratocumuli, gimnosperme e tante altre cose di cui al lettore interessa poco. Il Console scopre di essere stato convocato per un pellegrinaggio sul pianeta Hyperion, insieme ad altri sei pellegrini. Le regole per i pellegrinaggi sono semplici: la Chiesa Shrike seleziona sette pellegrini tra coloro che fanno la richiesta e consente loro di visitare le Tombe del Tempo, dove potranno incontrare la misteriosa creatura denominata Shrike. Di questi pellegrini sei verranno uccisi, mentre uno vedrà realizzato un proprio desiderio. Il pellegrinaggio del Console è l’ultimo, poiché i barbari Ouster stanno per invadere Hyperion e le Tombe del Tempo, che viaggiano a indietro nel tempo dal futuro, stanno per aprirsi, ovvero riallinearsi con il presente.

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Descrizioni inutili di stratocumuli e gimnosperme, che felicità!

Tutto questo non è spiegato all’inizio, e infatti sulle prime è piuttosto difficile mettere insieme tutti i pezzi e capire che cosa sta succedendo. Comunque, l’azione si sposta sulla nave spaziale in viaggio verso Hyperion con i sette pellegrini a bordo. Dopo un’infinita descrizione dei sette pellegrini e dello spazio, della luce, dei pianeti e bla bla bla, l’allegra combriccola decide di ammazzare il tempo cercando di capire perché, tra tutte le persone che vogliono fare il pellegrinaggio, siano stati scelti proprio loro, che neppure aderiscono al culto Shrike. Uno dei membri, Sol Weintraub, suggerisce pure che debba esserci un qualche legame tra loro (perché? Non viene mai spiegato) e che quindi valga la pena che ciascuno racconti la sua storia. Il romanzo è quindi composto quasi interamente dalle storie raccontate dai pellegrini, intervallate dal viaggio verso le Tombe del Tempo.

LA MIA OPINIONE


Hyperion è un romanzo lungo. E non solo per il numero di pagine, che è comunque discreto, ma anche in relazione ai fatti raccontati. Hyperion è soltanto una enorme premessa a quella che è la trama principale, che sostanzialmente ha inizio alla fine del libro, quando i protagonisti arrivano finalmente alle Tombe del Tempo. Non serve che mi metta io a sottolineare perché questa non è una buona idea. Magari sono ingenuo io, ma mi verrebbe da pensare che uno scrittore dalla fama e dai riconoscimenti di Dan Simmons dovrebbe sapere che un romanzo fatto di flashback e spezzoni di viaggio dove non succede nulla di interessante, un romanzo dove sostanzialmente la trama non procede di una virgola dall’inizio alla fine, non è proprio il massimo.

Comunque, facciamo finta di niente. Facciamo finta che siccome lo scopo del romanzo è raccontare i passati dei protagonisti uno dovrebbe fregarsene della trama principale. D’altra parte, Stephen King ha scritto La sfera del buio e nessuno ce l’ha con lui per questo, a me è piaciuto e l’ho pure recensito positivamente qui su questi schermi. Il punto è che anche così il libro non ne esce bene per niente. Su sei racconti ne salvo in toto soltanto uno, il quarto, il racconto di Sol Weintraub, che ho trovato intenso e coinvolgente. Il tema non è originale, in pratica la figlia di Weintraub riceve una maledizione che la costringe a perdere ogni giorno un giorno della propria vita, fino a regredire allo stato di bebé e dunque, prima o poi, morire. Beniamina Button, praticamente. Qualche aspetto nel racconto non funziona, ma nel complesso è davvero ben scritto e ben strutturato. Tuttavia, è l’unico su cui posso esprimermi in toni così lusinghieri. Il primo racconto, quello del prete cattolico Lenar Hoyt è discreto, con qualche caduta di stile qua e là e un finale poco coerente e un filino di cattivo gusto, che controbilanciano uno sviluppo coinvolgente con un mistero che riesce a interessare il lettore e che viene svelato poco a poco. Il secondo racconto,  quello del colonnello Fedhman Kasssad, è una Waterloo. Parlarne male è sparare sulla croce rossa, vi basti sapere che inizia con Kassad che partecipa a una simulazione virtuale di guerra per allenamento, incontra una donna in una radura e senza nemmeno rivolgerle parola (!) inizia a copularci come un coniglio. E lei è consenziente. E questo succede più volte. Come dicevo, sparare sulla croce rossa.

"Cirano, amico mio, abbracciami, guascone!" 
Il terzo racconto è del poeta Martin Sileno (personaggio su cui avrò modo di tornare in seguito), ed è un enorme boh. Succedono le peggio cose, tra cui anche un bel genocidio degli abitanti di una città, tanto per gradire, gli eventi non hanno un legame logico e i personaggi si comportano come degli idioti. Un esempio su tutti, il re Billy, che quando rimane soltanto Martin Sileno nella città e tutti gli altri abitanti sono stati uccisi, invece che farlo arrestare si beve le sue idiozie su “lo Shrike non mi uccide perché è la mia musa” (cosa vuol dire? Simmons non lo spiega mai). Ora, Sileno non è davvero responsabile degli omicidi, ma quale persona sana di mente gli crederebbe? Invece re Billy lo ascolta e poi viene ucciso pure lui. Karma.

Il quarto racconto è quello di Weintraub, il quinto è quello di Brawne Lamia, e non è proprio al livello di quello di Kassad ma è sotto quello di Sileno. Che non è molto in alto. In poche parole, è una storia che vorrebbe essere thriller ma anche qui la gente ha il vizio di fare cose stupide a caso. Lamia viene incaricata di scoprire chi ha cercato di uccidere un suo cliente, ma presto la sua indagine inizierà a prendere pieghe random senza senso. Ah, so che è uno spoiler ma chissene, a un certo punto viene messa incinta da un cyborg.

"Il tuo padrone era un pignolo..."
L’ultimo racconto è quello del Console, ed è in tutta sincerità dimenticabile e poco interessante. Come potete vedere, dunque, il livello complessivo delle storie è molto basso. E oltre a questo nemmeno i personaggi che le raccontano sono caratterizzati in modo particolare. Alcuni hanno giusto quelle due o tre caratteristiche che lo distinguono dagli altri e basta, come per esempio Sol Weintraub, che è pacato e tranquillo, e Kassad, che è quello freddo e duro, e basta, altri invece sono anonimi del tutto, come Lamia o il Templare di cui non ricordo il nome, il settimo pellegrino che sparisce prima di poter raccontare la sua storia. L’unico che Simmons riesce a caratterizzare un filo meglio degli altri (rimanendo comunque sotto la soglia dell’accettabile) è Martin Sileno. C’è da dire però che Sileno mi ricorda molto lo stile di certi autori italiani, che rendono volgari i propri personaggi a caso e quindi più che caratterizzarli li fanno essere costantemente fuori luogo. Ecco, Sileno mi ha dato proprio quest’impressione. Ok, è un personaggio sopra le righe, ma la sua volgarità e i suoi eccessi stonano, perché sono senza senso. In altri casi l’avrei chiamata ipercaratterizzazione, a questo giro non me la sento e dirò soltanto che è l’ennesimo caso di caratterizzazione non riuscita.

Lo stile di Simmons non è nulla di particolare. Come ho già avuto modo di sottolineare, tende a essere prolisso e a soffermarsi per secoli su descrizioni di dettagli di poca importanza, che quindi potrebbe evitare e rendere così più agile la narrazione. In generale, anche quando non ci sono descrizioni, la storia procede in maniera lenta e coinvolgente solo a sprazzi, mentre per il resto l’interesse del lettore non viene per nulla stuzzicato.  

Simmons sembra avere una predilezione per le citazioni e i riferimenti ai classici della letteratura inglese. I titoli dei romanzi di tutta la saga si riferiscono alle opere del poeta John Keats, che appare come personaggio (in un modo che è complicato spiegare) nella storia di Brawne Lamia. Altre citazioni sono sparse qua e là in tutto il romanzo. Per quanto mi riguarda, tutto questo aggiunge poco al libro in sé, sia in positivo che in negativo. Non capisco bene il motivo per cui Simmons li abbia inseriti, ma sono abbastanza ininfluenti a livello di apprezzamento della storia.

IN CONCLUSIONE


Come romanzo a sé stante Hyperion è un totale buco nell’acqua, come inizio di una saga non è per nulla entusiasmante, visto che in pratica rimanda tutta la trama ai libri successivi. La coerenza interna è quasi del tutto inesistente e i personaggi non sono per nulla caratterizzati, e questa situazione diventa ancora più imbarazzante se considerata la supposta bravura del suo autore. Insomma, una lettura che sconsiglio sotto tutti i punti di vista. Io però avevo comprato anche il seguito quindi me lo sono letto e voi vi beccate la recensione. In realtà non l’ho finito perché non ce la facevo più, è ancora peggio di questo, quindi non so se lo recensirò. Altrimenti passerò a Lazarus Long, vediamo.

VOTO: 

domenica 10 marzo 2019

Cosa ne penso di Dragon Ball Super: Broly


Magari sono io, ma ho sempre pensato che quando una serie comincia a costruirsi sui reboot è perché non ha più molto di nuovo da dire. Che Dragon Ball avesse ormai finito il materiale interessante su cui costruire storie era evidente dalla fine dello Z, già il GT era fiacco e poco innovativo sotto certi aspetti, pur risultando accettabile in generale. Super ha cercato di portare un’operazione di rinnovamento della storia agendo su più fronti. Da un lato ha recuperato vecchi nemici come Freezer, dall’altro ha cercato di estendere il più possibile l’universo aggiungendo elementi di novità alla struttura delle divinità del mondo (con l’aggiunta degli dèi della distruzione e del concetto di universo, da non confondere con quello di linea temporale). Quest’operazione è di sicuro riuscita a livello pratico, ma non qualitativo, visto che Super non brilla né per trama né per personaggi, ed enfatizza tutti i possibili difetti che aveva Dragon Ball originale ma non ne riprende gli aspetti positivi. Come d’altra parte ho già evidenziato qui.

Quando ho scritto l’articolo linkato qui sopra non sapevo che lo sceneggiatore di DB Super fosse Toriyama stesso. Ora che lo so, posso ritrattare quello che ho scritto: non è che gli sceneggiatori di DB Super siano cani, è Toriyama che ha evidentemente finito le idee. Ho inoltre sentito che ha deciso di rendere DB Super più simile al primo Dragon Ball inserendo delle parti comiche consistenti nella storia, cosa che personalmente trovo piuttosto inappropriata. Dopo Freezer, Cell e Majin Bu è piuttosto complicato che una deriva comica della storia non stoni. Comunque sia, tutto questo per dire che sono andato a vedere il film di Broly. Che è un reboot, un reboot che appartiene a una serie che secondo me ha dato da tempo ciò che aveva da dare. Ottime premesse per qualcosa che era destinato a non piacermi.

Nonostante questo sono andato a vederlo con piacere, perché ero curioso. Può sembrare strano, ma siccome tutti ne parlavano bene ho deciso che valeva la pena guardarlo senza partire troppo negativo. Tra l’altro ero con amici, quindi se non ci fosse piaciuto alla peggio potevamo prenderlo in giro insieme. E, incredibile ma vero, non sono stato del tutto deluso.



Dico del tutto perché gli aspetti che non funzionano sono tanti e poco trascurabili. Quello che più mi ha dato fastidio è Freezer. Ora, Freezer è il cattivo di DB per eccellenza. È il primo vero antagonista della serie Z, è crudele, spietato, fortissimo ed esercita potere non solo su un pianeta ma su moltissime galassie. Mette paura solo a sentirne il nome. Perciò non ho apprezzato come sia stato trattato in questo film. Insomma, è diventato alla stregua del Team Rocket, quei cattivi che in teoria sono cattivi in pratica sai che prenderanno soltanto botte. Il cattivo che è cattivo perché sì e di cui tutti dicono di avere paura ma che poi lo si invita alle feste tutti insieme e con cui si ride e si scherza (magari mentre è in un angolo che tiene il broncio e borbotta che tutta questa allegria non fa per lui). Insomma, è ormai la caricatura di un antagonista, e questo mi fa abbastanza tristezza. Fate conto che vuole le sfere del drago (sì, per l’ennesima volta) ma non per ottenere l’eterna giovinezza, come un tempo, ma per diventare più alto di cinque centimetri. Avete capito bene. Diventare più alto.

Questo è l’aspetto macroscopico, ma non si può dire che il resto della trama fili liscio. I personaggi introdotti sono abbastanza piatti e mal caratterizzati. Broly vorrebbe essere ben caratterizzato ma nel concreto non riesce e suona più come un’occasione mancata che altro. E dire che l’idea di fondo non era male, alla fin fine, è sicuramente un’innovazione rispetto al Broly originale, che era figo quanto volete ma voleva pur sempre uccidere Goku perché piangeva nell’incubatrice. Con questo Broly gli sceneggiatori hanno cercato di spiegare come il suo passato lo abbia reso così com’è, rendendolo anche un minimo sfaccettato, ma il tempo dedicato a questo scopo è troppo poco per poter parlare di qualcosa di più che un tentativo. Come dicevo, un’occasione mancata.

Ora, non sto dicendo che negli altri film di DB le cose stessero diversamente. Senza dubbio però in questo tali problemi si fanno sentire in maniera molto marcata, forse perché io sono più grande rispetto a quando ho visto gli altri, o forse perché sono presenti in modo più frequente. Comunque, questa è la prova che, per quanto si provi a innovare, nessuno ha ancora tentato di dare una svolta decisiva DB, apportando un cambiamento davvero sostanziale, sia per quanto riguarda la trama che per quanto riguarda la sua struttura o il modo in cui è narrata. Che poi è quello di cui lamentavo alla fine dell’articolo che ho citato sopra. Non riesco a capacitarmi di come gli sceneggiatori e Toriyama stesso non si rendano conto che, più che dell’aggiunta di universi paralleli, dèi della distruzione o momenti comici di dubbia utilità e scarsa opportunità, DB ha bisogno “soltanto” di un grosso cambiamento a livello di trama, per tornare a essere interessante. Oppure ha bisogno soltanto di finire una volta per tutte.

CAMBIATE DRAGON BALL!!!
Ma a prescindere da questo, dicevo che il film non mi ha deluso. Questo perché c’è un aspetto che non ho ancora considerato qui, e che risulta fondamentale. Anzi, immagino che tutti voi lo stiate aspettando e vi stiate chiedendo perché non ne abbia ancora parlato. Quindi sì, parliamone. I combattimenti. Che come potete immaginare sono i nodi fondamentali del film. E a questo proposito ho da dire solo una cosa: sono stupendi. Sono i migliori combattimenti di tutti gli anime di Dragon Ball in generale (fatta eccezione per la parte di Super che non ho visto e quindi non posso giudicare). Hanno una resa grafica pazzesca innanzitutto, e poi sono coinvolgenti da morire. Sono raccontati da un punto di vista completamente diverso da quello cui DB ci ha abituati. Sono dinamici, filano davanti allo spettatore rapidissimi. Il punto di vista delle singole scene cambia in modo incalzante e spesso non è, molto banalmente, esterno, ma si avvicina ai combattenti nelle posizioni più disparate per rappresentare il nuovo attacco che sta venendo sferrato nel suo iniziare e svilupparsi. È qualcosa di davvero coinvolgente.

Devo dire che questo pregio consente di guardare il film godendoselo con piacere. Non è il massimo, ovvio, anche perché quando la trama non è ridicola (l’altezza di Freezer è il punto peggiore, ma ce ne sono altri) diventa già vista e quindi poco interessante, come per esempio per quanto riguarda l’apparizione di Gogeta. Non è uno spoiler, avanti, si vede in più scene nel trailer. Ovviamente la fusione è preceduta da simpatici (inserite qui finte risate da sitcom americana) siparietti di Vegeta che non vuole unirsi a Goku e di fusioni riuscite male, con prima il Gogeta grasso e poi quello rachitico. Originalità a palate, non c’è che dire. Le scene non sono copiaincollate dal film di Janemba ma poco ci manca. Ah, e d’altra parte un tempo per diventare super saiyan durante la fusione bisognava un minimo allenarsi. Magari non per il primo livello, ma sicuramente per il terzo sì. E invece Gogeta diventa super saiyan  blue nel giro di tre secondi. Tempi accorciati per necessità del film? Sceneggiatori che piegano la coerenza del mondo e della storia come pare a loro? Non lo sapremo mai.

Il film si può dividere grosso modo in due grandi parti. La prima ambientata nel passato prima della distruzione del pianeta Vegeta, la seconda nel presente. Il tempo dedicato alla parte nel passato è, a parer mio, troppo, visto e considerato quello che poi sarà effettivamente utile per la parte nel presente si poteva accorciare senza problemi. Tuttavia, è da dire che la parte nel passato funziona molto meglio di quella nel presente, appunto perché è assente la parte ridicola, e in generale la trama è più articolata, e non è soltanto un’enorme premessa per far combattere i personaggi. Forse avrei apprezzato di più un film totalmente ambientato nel passato, magari un reboot della storia di Bardak. Penso che innanzitutto potrebbe avere una trama più complessa, visto che le cose da mostrare sarebbero davvero molte, e poi risulterebbe più interessante rispetto alle vicende ambientate nel presente di Goku e Vegeta, visto che ormai lì loro sono fortissimi e le sfere del drago risolvono qualunque problema. La butto lì, visto che so che Toriyama legge tutti i miei post. Akira, se non hai idee per il prossimo film, pensaci! Per gli incassi facciamo a metà, non preoccuparti!

Non ho trovato immagini divertenti di Toriyama. Accontentatevi di questa in cui Togashi mi guarda rassegnato.


Una nota di merito va al doppiaggio italiano, che è diventato di colpo fedelissimo all’originale. Sentirete Kakaroth, Senzu, Fusion, Piccolo, e non le rivisitazioni di Mediaset. Non preoccupatevi, ho letto che è stato curato un secondo doppiaggio per la distribuzione in tv, più fedele invece al doppiaggio originale italiano. Tutto normale, quindi.

In definitiva, Dragon Ball Super: Broly funziona così bene dal punto di vista grafico e delle colonne sonore da essere solo per questi motivi una visione piacevole. Questo lo salva soltanto a livello di impatto sullo spettatore, ma la bassa qualità complessiva è innegabile. Non mi stancherò mai di ripeterlo, DB così com’è, sempre uguale da trent’anni, non ha più senso. Se non si trova un modo per limitare il potere delle sfere del drago e la superpotenza dei protagonisti, non si andrà mai da nessuna parte.

Questa non è una recensione perché io qua non recensisco anime, quindi niente voto. Tuttavia, penso vedrete molte recensioni nelle prossime settimane, quindi restate sintonizzati!