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giovedì 29 dicembre 2016

Recensione - Seconda Fondazione di Isaac Asimov

È una vita che non scrivevo nulla su Asimov. La ragione è la stessa per la quale ho ancora a metà la recensione della saga della Torre Nera, e cioè che non c’è tempo per fare tutto e mi sono saltati fuori romanzi che avevo più fretta di recensire. Ma adesso rimedio a tutto, promesso, prima di parlare de Il richiamo del cuculo o della Trilogia dei fulmini o di qualunque altro libro io abbia letto in questi mesi chiudo le saghe che ho a metà.

La trilogia della Fondazione aveva cominciato con un romanzo mediocre e continuato con uno eccellente. Resta da vedere se Seconda Fondazione ne sia una degna conclusione oppure sia un flop come Prima Fondazione.
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Titolo: Seconda Fondazione
Autore: Isaac Asimov
Anno: 1953                                                          
Editore: Mondadori
Pagine: 210




TRAMA

Come gli altri due volumi della serie anche Seconda Fondazione é suddiviso in parti, e come nel caso di Fondazione e Impero queste parti sono due. Ricompare un personaggio che chi ha letto la mia recensione dello scorso volume ricorderà sicuramente, ovvero il Mule. Sapete, quello che era un antagonista ma era ben caratterizzato, quello che alla fine ti stava simpatico quanto i protagonisti se non di più. Ecco, il Mule é protagonista della prima parte, che lo vede alla ricerca della misteriosa (e potenzialmente pericolosa) Seconda Fondazione, creata da Hari Seldon in concomitanza con la prima ma in segreto, con scopi sconosciuti. Lo scopo del Mule é semplice: trovare la Seconda Fondazione prima che possa diventare una minaccia per l'impero che sta costruendo.

La seconda parte racconta la ricerca della Seconda Fondazione da parte della Prima Fondazione. La protagonista di questa storia é un personaggio all'apparenza marginale, cioè Arcadia, la figlia del dottor Darell, incaricato della ricerca insieme a una commissione di membri della Prima Fondazione. Arcadia, sveglia e arguta, riuscirà a inserirsi in modo clandestino in questa missione, rivelando la propria intelligenza nel tentativo di rispondere all'interrogativo che esiste dall'inizio del romanzo: dove si trova la Seconda Fondazione?

Il Mule.

LA MIA OPINIONE


Il mistero della Seconda Fondazione è un po’ la domanda cardine su cui ruota tutta la trilogia, perché è stata accennata nel primo romanzo, è diventata importante nel secondo e nel terzo è il motore di tutti gli eventi e, una volta soddisfatta, pone fine alla storia. È anche ciò che consente di conoscere del tutto il Piano Seldon, che è ciò che sta dietro a tutti gli eventi della trama e che viene spiegato poco per volta. Insomma, ha un ruolo davvero importante nel plot, e proprio per questo deve essere gestito molto bene, altrimenti tutto il romanzo crolla. C’è bisogno di un’abilità narrativa notevole per fare questo e allo stesso tempo dare al tutto un finale che sia degno sia del romanzo che dell’intera trilogia.

Asimov ha già dimostrato grandi capacità di narrazione nei due libri precedenti, anche nel primo che pure non era granché, e bisogna dire che non si smentisce. Il segreto della Seconda Fondazione non viene svelato fino proprio alla fine, e riesce a stuzzicare e accendere la curiosità del lettore in modo molto efficace. Questo è dovuto alla particolare struttura che assume il finale del romanzo, dove per finale intendo le ultime più o meno trenta pagine, in cui, senza fare spoiler, in sostanza viene messa una dietro l’altra una serie incalzante di colpi di scena. Vengono proposte tutte le teorie che sono state elaborate dai personaggi sull’ubicazione della Seconda Fondazione e tutte vengono prima date per vere e poi smontate. La tensione nel lettore è in un costante crescendo che aumenta e lo stringe mano a mano che le teorie vengono presentate e poi inevitabilmente demolite, e alla fine quando una viene rivelata come vera si ha la stessa sensazione di quando in un giallo il detective accusa l’assassino e la soluzione, prima nebulosa, diventa chiara ed evidente. Queste ultime trenta pagine conquistano, trattengono il lettore nella lettura e scorrono tutte d’un fiato, quasi non si sentono e giunti alla fine si ha una sensazione di tranquillità, di serenità. Si ha l’impressione che tutto sia al suo posto, che la storia non poteva né doveva continuare, che tutto è stato sistemato, che quella non poteva che essere la fine. Visto che capita spesso di terminare un libro e avere la sensazione che un po’ di pagine in più avrebbero migliorato la trama, oppure che certi punti avrebbero potuto essere trattati in modo più approfondito, questa sostanziale completezza è davvero apprezzabile.

"Ma se io mi nutro e tu ti nutri, Frank Sinatra?"
Nella recensione di Fondazione e Impero avevo decantato le lodi del Mule, e bisogna dire che non posso fare altrettanto parlando di Seconda Fondazione, ma questo non avviene per negligenza dell’autore, quanto perché l’approfondimento psicologico del Mule non è più importante, essendo già stato portato a compimento. Quello che fa ora la trama è mostrarcelo alle prese con altre vicende, e quindi su di esse vanno a concentrarsi le attenzioni sia dello scrittore che del lettore. È anche per questo che altri personaggi coprotagonisti hanno uno spazio non indifferente nella storia, personaggi che risultano caratterizzati in modo accettabile. Non sono nulla di straordinario ma fanno il loro sporco lavoro senza essere piatti come sagome di cartone oppure banali o stereotipati. 

Il personaggio rivelazione del romanzo appare nella seconda parte, ed è la protagonista Arcadia. Arcadia è una ragazzina intraprendente, energica e intelligente, una che sa il fatto suo, che sa cosa vuole e fa di tutto per ottenerlo. È davvero piacevole leggere le parti dedicate a lei, anche perché comportano un cambiamento affatto sgradito nello stile. Infatti, la scrittura di Asimov per tutti e tre i libri è sempre composta e posata, mentre dall’apparizione di Arcadia in poi diventa vivace e brillante, scivola che è un piacere (non che prima fosse noiosa, anzi, ma così va via che uno neanche se ne accorge) e riesce a incalzare il lettore e a divertirlo senza diventare mai stupida o frivola. Non che sia una novità che Asimov è posato per scelta, ma quando vuole riesce a scrivere in modo divertente, basta leggere Rompicapo in quattro giornate, che fa dello stile delle parti di Arcadia uno dei propri punti di forza, ma è di certo un fatto inusuale e davvero ben azzeccato all’interno della Trilogia.

In diversi punti ritorna quella caratteristica che avevo lodato nella scorsa recensione, quei punti così ben scritti, così intensi e lirici che fanno a volte quasi tremare. I ricordi che mi sono rimasti più impressi sono nel finale, ma il romanzo intero è costellato di questi momenti che sanno davvero trasportare, costituiscono quel qualcosa che aggiunge un tocco in più alla lettura, quell’elemento che solleva il lettore e gli fa sembrare di volare leggero come una piuma. Sono più frequenti che in Fondazione e Impero, ma sono altrettanto intensi e coinvolgenti.

La protagonista Arcadia ritratta durante una gita al lago.
La trama è davvero ben congegnata, come del resto dopo aver letto due suoi romanzi è lecito aspettarsi da Asimov. La tecnica dei colpi di scena in serie non è utilizzata solo nel finale della seconda parte ma anche in quello della prima, seppure in modo meno incalzante, e anche in quel caso riesce a generare sufficiente tensione. In generale si nota appunto una maggiore volontà da parte dell’autore di tenere i lettori sulle spine, e il gusto di sottoporre loro delle situazioni che sembrano essere in un certo modo e poi si scopre che non era così. La volontà di sorprendere e interessare è la cifra dominante del romanzo, e questo non solo non dispiace, ma risulta affascinante. Sono arrivato ad attendere con piacere i momenti in cui l’autore ribalta le carte in tavola, perché non vedevo l’ora di poter verificare le teorie che avevo pensato durante la lettura, e poi perché l’abilità di Asimov è tale che è bello leggere i suoi colpi di scena.

La scrittura è scorrevole e interessante, contribuisce a tenere il lettore incollato alla pagina e a non staccarsi mai dalla lettura. A tratti diventa un po’ noiosa, in particolare quando si sofferma su dettagli tecnici non di secondaria importanza ma che non sono certamente il massimo delle emozioni, ma sono pochi momenti e isolati, che quindi non vanno a intaccare la grandezza del libro.

Siamo di fronte perciò a una lettura di tutto rispetto, un libro che riesce a concludere in modo degno la Trilogia. Non posso trovare difetti, a pensarci bene non ce ne sono di particolarmente evidenti o fastidiosi, c’è solo qualche sbavatura ogni tanto che mi impedisce di dargli il voto massimo.   

Isaac felice che sente l'odore degli Cthulhu che si avvicina.

IN CONCLUSIONE


Oggi ho avuto meno da dire del solito. Nelle recensioni normali scrivo almeno cinque o seicento parole in più. Il fatto è che Seconda Fondazione è sì un ottimo romanzo, ma presenta di fatto gli stessi pregi del libro che lo precede, e vi aggiunge quel qualcosa che lo rende un filino migliore, ovvero la tanto decantata tensione generata dai colpi di scena. Inoltre, a differenza di Fondazione e Impero, la prima parte non è mediocre, anzi, tutto il contrario, e questo va a influenzare ancora di più la già ottima godibilità della lettura. In sostanza, questa recensione è più breve perché cerca di non ripetere quello che è già stato detto a proposito di Fondazione e Impero.

Vediamo di tirare le conclusioni. Di certo non ho esitazione nel consigliare Seconda Fondazione. E per quel che riguarda la Trilogia in generale?

Le mie considerazioni non possono che essere positive anche al riguardo. A parte la lettura un po’ così del primo libro gli altri due sono splendidi, e valgono ogni secondo che spenderete a leggerli. Recuperateli se potete, comprateli, fateveli prestare, come volete, ma affidate ad Asimov e alla Fondazione qualche ora del vostro tempo. Non sarete delusi, tutto l’opposto, vi piacerà talmente tanto che sfogliare l’ultima pagina e abbandonare il mondo della nostra Terra nel futuro sarà quasi come abbandonare un vecchio amico. Non perdete quest’occasione.

VOTO:

lunedì 19 settembre 2016

Recensione - Fondazione e Impero di Isaac Asimov

Ho concluso la recensione di Prima Fondazione dicendo in buona sostanza che il libro era molto meh ma valeva la pena leggerlo per capire i successivi. In realtà a pensarci bene non è neppure vero questo, perché, essendo che la Trilogia della Fondazione ricopre un arco di centinaia di anni le storie che raccontano i primi due libri sono abbastanza indipendenti. Sì, certo, c’è la figura di Hari Seldon che le attraversa tutte ed è fondamentale, ma a parte quello non c’è molto altro che le leghi, tranne ovviamente l’ambientazione. Quindi la conclusione è che secondo me Prima Fondazione va letto più che altro per completezza, perché se si chiama trilogia un motivo c’è e ha poco senso saltare un libro. Se invece della completezza e della coerenza (e anche della volontà dell’autore, visto che se lui ha deciso che quello fosse il primo libro lo ha fatto con una ragione precisa) ve ne fregate e vi interessa soltanto la bella letteratura potete cominciare dal secondo. Scelta che personalmente non consiglio. Ma insomma, a decidere siete voi, io sono qua soltanto per dirvi se secondo me il libro valga o non valga la pena essere letto.

Sul primo libro della trilogia ho espresso dei dubbi. Ora siamo qui a parlare del secondo. Immergiamoci quindi di nuovo nel nostro universo tra migliaia di anni a seguire ancora le vicende della Prima Fondazione creata da Hari Seldon.
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Titolo: Fondazione e Impero
Autore Isaac Asimov
Anno: 1952                                                       
Editore: Mondadori
Pagine: 204




TRAMA 

Lo scorso volume era suddiviso in cinque parti, nelle quali seguivamo cinque trame diverse. Questa volta le parti sono solo due, e come l’altra volta hanno due protagonisti diversi. Come dice il titolo, le vicende si concentrano sugli incontri e gli scontri tra la Fondazione e l’Impero Galattico ormai in decadenza.

La prima parte segue le mire del generale dell’Impero Bel Riose, il quale vuole estendere il potere dell’Impero. È un giovane potente che ancora coltiva il sogno di rendere l’impero forte e imponente. Dopo aver sentito parlare dell’esistenza di alcuni maghi, si reca sul pianeta Siwenna dove prende contatti con un nobile decaduto, dal quale viene a conoscenza dell’esistenza della Fondazione. Cercherà dunque di conquistarla, per allargare il potere dell’Impero, e impedire che la Fondazione acquisisca potere a sua volta.

La seconda parte si svolge ottant’anni dopo, e ha come protagonista due giovani sposi, Bayta e Toran, i quali si trovano nel mezzo di un grande sconvolgimento: una figura misteriosa dal passato sconosciuto, soprannominato il Mule, ha preso il potere per mano dell’Impero su Kalgan. Toran e Bayta cercheranno, per conto dei Mercanti, che ormai hanno assunto un ruolo indipendente dalla Fondazione, di scoprire l’identità del Mule. Questo obiettivo li porterà a viaggiare fino a Kalgan e anche oltre, fino a tentare di indagare sulla misteriosa Seconda Fondazione, nominata da Hari Seldon durante una delle sue apparizioni nella Volta del Tempo.

La Bayta del nonno di Heidi.

LA MIA OPINIONE


Non avevo nascosto quello che penso su questo libro già nella recensione del precedente romanzo. Qui però serve sicuramente un approfondimento maggiore. Soffermiamoci dunque a stabilire perché Fondazione e Impero sia un romanzo migliore di Prima Fondazione e anche di per sé un ottimo libro.

Ricordate che la prima obiezione che muovevo a Prima Fondazione era che la trama era troppo episodica? Ecco, non posso certo lamentarmi in questo caso. Come dicevo prima, le sottotrame sviluppate qui sono due, ovvero meno della metà di quelle dell’altro romanzo, e questo non può che giovare alla fruizione del plot da parte del lettore. Finalmente diventa possibile simpatizzare con le vicende e con i protagonisti, e finalmente Asimov ha tempo di caratterizzarli a dovere, e quindi anche di differenziarli un po’.

Nella prima parte a dominare la scena è il generale Bel Riose. Anche se poi per una buona fetta della narrazione sparisce, è sicuramente la personalità dominante. E anche l’unica riuscita veramente bene, in realtà, visto che gli altri due protagonisti, Onum Barr e Lathan Devers, non hanno né lo stesso carisma né lo stesso approfondimento psicologico, mentre Bel Riose appare caratterizzato in modo accurato fin dall’inizio. Non solo, i punti a lui dedicati si leggono molto meglio di quelli dedicati Barr e Devers. Perché appunto, Riose è davvero in grado di attirare l’attenzione su di sé, di reggere il peso di una storia. Non è uno dei miei personaggi preferiti a dir la verità, ma non posso negare che sia meglio costruito degli altri due. E appunto per questo le parti che lo vedono protagonista sono piacevoli da leggere.

Ma la vera botta di vita in fatto di personaggi arriva nella seconda parte. Per Bayta e Toran si può fare un discorso simile a quello che riguarda Bel Riose: bei personaggi, ben strutturati, non banali né asettici, sono in grado di portare il lettore a simpatizzare con loro e di sostenere il peso di una storia. Il personaggio che però riesce a dare una svolta alla storia è il Mule.

L'ultimo ruolo del Mule al cinema.
Il Mule appare relativamente tardi (in realtà non è proprio così, ma preferisco non dire altro per non fare spoiler), eppure riesce a rimanere impresso come se lo si conoscesse dalla prima pagina. È un personaggio che non ci si aspetta, non perché sia particolarmente originale, ma perché riesce a portare la trama su binari che non avrei mai detto che avrebbe preso. È ben caratterizzato, davvero bene, ben costruito e ben approfondito. Il suo passato non è nulla di nuovo sotto il sole, ma contribuisce in modo coerente a renderlo quello che è quando appare nel romanzo. È un personaggio astuto e calcolatore, ma in grado di svelare un lato umano di sé particolarmente sensibile e toccante, e soffermarsi su questo è inusuale per Asimov, di solito impegnato a badare alle strategie e agli aspetti per così dire tattici della trama, e per questo non posso negare di averlo apprezzato davvero molto. Alla fine del romanzo provavo un moto di simpatia e tenerezza verso il Mule, desideravo sinceramente per lui una vita diversa, una vita che potesse offrirgli dolcezza e serenità, amore e comprensione. Anche ora che ho concluso la lettura diverso tempo fa il Mule resta ancora vivo nella mia mente e nel mio immaginario. E non ne uscirà tanto facilmente! Quindi sì, il Mule è stato eletto all’unanimità miglior personaggio della Trilogia.

Se il Mule è questo gran personaggio, anche i personaggi secondari si difendono davvero bene. Ebling Miss è caratterizzato a sufficienza, e ancora di più lo è Han Pritcher, e il nuovo sindaco della Fondazione Indbur. Insomma, non ci si può lamentare, anzi, Asimov merita i complimenti per il lavoro che ha fatto in questo libro nella cura dei personaggi! È sicuramente migliore di quello del libro precedente ed è ottimo anche considerato in sé stesso.

A un miglioramento della costruzione dei personaggi si accompagna una migliore costruzione della trama. Come dicevo all’inizio, è finalmente possibile simpatizzare con i personaggi perché le sottotrame che compongono il romanzo non sono brevi ed episodiche ma ampie e ben svolte. L’abilità di Asimov che ho lodato nella precedente recensione qui rimane invariata e si esprime finalmente al meglio, come non avveniva in Prima Fondazione. Seguire gli snodi del plot è un piacere, suscita davvero interesse in chi legge. Tra le altre cose, Asimov è particolarmente diretto e va dritto al punto, non si perde mai in dettagli inutili e non spende quasi mai più parole di quante ne servano, quindi la trama scorre serrata e incalzante.

"Compari, drago Shenron!"

Con il fatto che le due parti del libro sono sviluppate e non trascurate o scritte affrettatamente Asimov trova anche il tempo di inserire diverse sottotrame, che vanno poi a intrecciarsi con la trama principale. L’ho trovata una scelta azzeccata: oltre ad arricchire la storia raccontata con ulteriori dettagli, permette di approfondire dei personaggi che altrimenti sarebbero rimasti in secondo piano, come il generale Han Pritcher. Inoltre non annoiano per nulla, né sono utilizzate come modo becero per sospendere la narrazione della trama principale e quindi generare tensione facile.

La seconda parte inserisce, come dicevo all’inizio, il mistero della Seconda Fondazione, che risulta davvero interessante per chi legge. Le ultime pagine, che sono basate principalmente sulle indagini su questa fantomatica Fondazione, sono una sequela di eventi inaspettati che cambiano le carte in tavola. Si seguono con foga e trepidazione, in attesa che venga svelato il segreto principale del romanzo e della saga, il segreto che ha stupito i personaggi che ne sono venuti a conoscenza. Quindi il fatto che non si sappia dove si trovi la Seconda Fondazione e quale sia la sua natura è un’ottima idea e molto ben gestita, che fornisce al lettore quella dose di mistero che non viene del tutto rivelata e che quindi mantiene vivo l’interesse per il romanzo successivo e contemporaneamente mette carne al fuoco per il climax finale.

Isaac Asimov e Paolo Villaggio in un noto locale per scrittori di fantascienza. 
Nella precedente recensione dicevo che la fantascienza di Asimov si distacca dall’idea comune di fantascienza in quanto si tiene distante dagli stereotipi del genere (tipo gli alieni), che per altro all’epoca in cui è stata scritta ancora tali non erano, e quindi Asimov non avrebbe avuto motivo di allontanarsene se non per una scelta di gusti suoi personali. Fermo restando questo, in questa secondo romanzo qualche elemento fuori dalla norma comincia a comparire. Non faccio spoiler, ma comunque lo spirito generale della trilogia non viene rotto: partiva per essere qualcosa che si basasse su elementi fondamentalmente realistici stando lontano dagli aspetti più fantasiosi della fantascienza e continua così, e anche quando si mette a parlare di creature che non sono umani, o almeno non del tutto, li tratta con cautela, distacco, e comunque li inserisce solo quando è strettamente necessario. Perciò questo tocco di fantasia risulta ancora più apprezzabile, proprio perché centellinato con attenzione.

La scrittura è sempre buona, e in diversi punti diventa eccellente. Un esempio su tutti, la scena in cui il buffone del Mule, Magnifico, suona il visisonor, uno strumento particolare che in pratica genera immagini in base ai suoni che produce. In questo passo Asimov descrive in maniera precisa, efficace e anche lirica il susseguirsi delle immagini, il loro trasformarsi ciascuna in un’altra. Il lettore si trova di fronte a una parata di colori, linee e forme che brillano ai suoi occhi come fuochi d’artificio. Questo è già notevole di per sé, visto che una sequenza di questa intensità è qualcosa per cui molti scrittori venderebbero la mamma, ma diventa ancora più interessante se si pensa che lo stile di Asimov è di solito essenziale, asciutto e abbastanza asettico, riesce a conquistare con il fatto che alterna un ritmo pacato con uno più incalzante ma sicuramente si tiene lontano dal cercare di essere poetico o emotivo. Sicuramente queste caratteristiche non sono nelle corde di Asimov, e perciò stupisce che quando le inserisce non stonano ma anzi, appunto risultano molto efficaci. Tanto di cappello ad Asimov!

IN CONCLUSIONE


Le due parti di cui è composto Fondazione e Impero si compensano abbastanza tra di loro: la prima è così così, non al livello della quarta parte di Prima Fondazione ma comunque sospesa nel limbo della mediocrità, la seconda parte è straordinaria, complice una scrittura efficace e in certi punti anche molto ispirata e un cast di personaggi davvero ben costruiti, realistici e psicologicamente approfonditi. Il romanzo coinvolge chi legge grazie alla trama e ai misteri che mette in campo senza rivelare, con una sapiente gestione delle informazioni da fornire al lettore e dei ritmi narrativi. Consiglio vivamente la lettura, vi troverete catapultati in un mondo affascinante di intrighi e personaggi che diventeranno vostri compagni, un mondo che vi si dipanerà davanti agli occhi con la spettacolarità di un immenso cielo stellato.

VOTO:

lunedì 29 agosto 2016

Recensione - Prima Fondazione di Isaac Asimov

Come potete intuire dal titolo, mi sono dato alla fantascienza. In realtà è per ora una semplice parentesi, volta perlopiù a colmare la mia enorme lacuna nelle letture di questo genere. Perciò, per riparare almeno un poco a questa mia ignoranza ho deciso di leggere quello che costituisce praticamente la base di tutta la fantascienza moderna, ovvero la Trilogia della Fondazione di Asimov.

E a questo punto sorge spontanea una domanda. La stessa che mi sono posto anche io. La stessa che mi rendeva dubbioso riguardo al recensire Asimov oppure no. Ha senso parlare di grandi della letteratura, di pilastri di genere, di libri su cui persone migliori di me hanno già versato fiumi di inchiostro sflangiando le gonadi a tutti?

In realtà sì. Nel senso che quando scrivo qui sopra non è che mi aspetto di cambiare la storia della critica moderna, né semplicemente di dire la mia opinione. Come se pensassi che la mia opinione interessi a qualcuno. Il mio obiettivo quando scrivo è sì dire la mia su un argomento che mi interessa ma anche sperare di indirizzare le future letture di chi capita qui. Magari arriva l’utente indeciso se comprare un libro o no, legge me e si decide a farlo. Oppure se ne allontana manco fosse la peste bubbonica, è uguale. Il punto è che spero che in qualche modo le mie recensioni non siano un mio parlare al vento ma anche uno strumento per indirizzare i miei utenti. In quest’ottica diventa sensato anche recensire un libro che ha fatto storia nel genere cui appartiene.

Dopo questa premessa possiamo cominciare con Prima Fondazione. Che, se è un pilastro del suo genere, verrebbe da chiedersi se qualcuno ha per caso sentito la fantascienza scricchiolare.
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Titolo: Prima Fondazione
Autore: Isaac Asimov
Anno: 1951                                                          
Editore: Mondadori
Pagine: 210




TRAMA

Tutto l’universo è ormai sotto il controllo dell’impero galattico, che si estende per miliardi e miliardi di pianeti e mantiene il comando da qualcosa come diecimila anni. La situazione non è però così rose e fiori. È nata da tempo una nuova scienza, la psicostoriografia (o psicostoria a seconda delle traduzioni italiane), che studia il comportamento delle masse in rapporto alla probabilità di un’azione, valuta cioè le possibilità che una massa di persone faccia o non faccia qualcosa. Il fondatore della psicostoriografia è lo psicologo Hari Seldon che, grazie alla sua invenzione, ha anche fatto un’altra scoperta: nel giro di poco tempo l’impero galattico crollerà, e seguiranno al crollo trentamila anni di barbarie. Seldon decide così di ideare un piano non per impedire la barbarie, ritenuta ormai inevitabile, ma per ridurne sensibilmente la lunghezza: soltanto mille anni. Nasce così il piano Seldon, che prevede la creazione di una Fondazione all’estremità dell’universo, che cataloghi in un’enciclopedia tutto lo scibile umano e lo mantenga intatto in vista della barbarie. Il libro si propone di seguire le vicende della Fondazione per i primi duecento anni dalla sua creazione.

LA MIA OPINIONE


La Trilogia della Fondazione è un’opera dal respiro epico che si estende per centinaia di anni. O meglio, sicuramente mira ad essere un’opera epica. In realtà, in questo primo romanzo quest’obiettivo a mio parere è molto mal realizzato. Forse dirò un’eresia nei confronti degli appassionati, ma a me Prima Fondazione non ha fatto per nulla impazzire. Anzi.
"Ma veramente..."
Le premesse da cui nasce la storia, che sono quelle che ho esposto prima e che fondamentalmente vengono spiegate all’interno della prima parte (l’intero libro è suddiviso in cinque parti), sono interessanti. Il problema è quello che viene dopo.

Ciascuna delle cinque parti ha un protagonista diverso. E, escluso il protagonista della prima, Gall Dornik, tutti gli altri sono uguali. Cambiano i nomi, cambiano i loro ruoli, e basta, sono la stessa macchietta riproposta ogni volta. Tutti personaggi intelligenti, tutti in grado di risolvere le situazioni in cui si trovano, tutti che non amano agire in modo diretto ma per la maggior parte restano dietro le quinte mentre i loro piani si sviluppano. Il peggiore è il protagonista della quarta parte, Limmar Ponyets. Gaal invece, che è un povero provinciale che abita un pianeta all’estremità della galassia, è ingenuo, semplice e ignorante, e come tale si comporta per le quaranta pagine scarse a lui dedicate. È simpatico, nonostante non faccia altro che lasciarsi controllare da Hari Seldon, e leggere di lui è comunque meglio che leggere di quei fantocci tutti uguali. Voglio dire, Salvor Hardin (il protagonista della seconda e della terza parte) ancora si salva ma solo perché è il primo personaggio con quel carattere. Gli altri, che sono soltanto delle sue copie, stufano dopo poco, e infatti neppure me ne ricordo i nomi.

Limmar Ponyets in tutto il suo spessore.
La storia è troppo episodica per appassionare. Molti aspetti sono trattati in modo frettoloso o sciapo, e in generale non viene dedicato loro tempo e spazio a sufficienza perché il lettore possa farsene conquistare. Le situazioni vengono sciolte in modo spesso troppo rapido. L’unica parte che si salva sotto questo aspetto è la terza, quella in cui Salvor Hardin si reca su Anacreon, perché gli eventi non sono tanti e sono narrati in modo disteso e non frettoloso. Inoltre vengono presentati personaggi decisamente ben caratterizzati (il principe Leopoldo e il reggente Wienis) che contribuiscono a colorare la storia e a renderla più interessante. A parte questo (e in realtà anche la prima parte perché, non finirò di ripeterlo, Gaal mi sta simpatico), il resto scorre in modo non dico noioso ma sicuramente meno coinvolgente e piacevole.

Spesso Asimov ha la pessima abitudine di raccontare i fatti. In pratica, invece che mostrare al lettore gli eventi si limita a farli raccontare dai personaggi, e questo, io credo, abbatte molto l'interesse. Per una buona fetta del romanzo assistiamo a personaggi che raccontano i risultati del loro piano, piuttosto che essere noi a guardarli attraverso i loro occhi. Per esempio, la seconda parte, la prima con protagonista Salvor Hardin, se la cava bene fino alla fine (a parte la erre moscia di Lord Dorwin, che rovina un personaggio altrimenti ben congegnato) e poi alla rivelazione finale crolla. In quattro righe Salvor Hardin dice “in realtà ho vinto”. E vince lui. Fine. Un anticlimax pazzesco, che distrugge il picco di tensione che si era creato fino a quel momento.


Asimov prima e dopo essersi tagliato i basettoni.
Se dovessi quindi fare una classifica delle cinque parti metterei la prima (c’è Gaal, quello simpatico, ricordate?) e la terza allo stesso livello, poi la seconda e la quinta a pari merito e infine la quarta. La quarta parte è proprio brutta, gente. Personaggi inconsistenti o fotocopia di altri, trama raffazzonata e anche un po’ confusionaria e personaggi che raccontano cose che andrebbero mostrate come se non ci fosse un domani. Meno male che almeno è corta, appena una quindicina di pagine.

Ora, so che l’episodicità non è indice dell’incapacità di Asimov, ma ha una precisa ragione: le varie parti sono state all’inizio pubblicate separatamente e poi sono diventate un unico romanzo. Questo però non toglie che il risultato che ne esce fuori non sia il massimo. Del resto, anche gli altri due romanzi (che recensirò a breve) sono stati inizialmente pubblicati in parti, eppure sono libri di grande qualità.

E fin qua una carrellata di cose negative. Non c’è però soltanto del marcio in Prima Fondazione, anzi. La trama, per quanto non coinvolgente, è davvero ben congegnata. Non ci sono personaggi che fanno cose stupide, o che agiscono perché la trama dice così, ma ogni evento ha una precisa causa logica e meditata. Inoltre è articolata ed elaborata, ricca di colpi di scena e di situazioni inaspettate, che complicano la situazione fino alla risoluzione finale. Se fosse più coinvolgente sarebbe il massimo, perché è davvero ben costruita. Seguire certi snodi diventa un piacere, perché dalle situazioni più gravi i personaggi riescono a inventare idee per uscirne che non suonino tirate ma coerenti e sensate. Inoltre quando mette da parte la fretta e dà agli argomenti lo spazio dovuto Asimov riesce a creare tensione in modo molto efficace. Il fatto è che, almeno in questo romanzo, quest’abilità di Asimov non viene più di tanto alla luce.

C’è da lodare l’accuratezza con cui ogni evento è costruito. Pare che di recente mi capiti di lodare spesso questa caratteristica negli autori che leggo (l’ho fatto anche recensendo Miyazaki), ma forse questo è l’aspetto più peculiare di Asimov. Ogni cosa viene trattata con una grandissima cura. Gli elementi scientifici sono precisi e approfonditi, ma l’autore non si perde in lunghi spiegoni, anzi, ai lettori non viene praticamente spiegato niente. Quando scrivo approfonditi intendo che Asimov conosceva bene quello di cui parla, e infatti la narrazione non risulta mai incredibile o assurda.

Quello che tentano di spacciare
oggi per fantascienza.
La fantascienza di Asimov è in realtà una fantascienza particolare, almeno rapportata alla nozione comune di fantascienza. Magari sono strano io, ma quando mi dicevano fantascienza io pensavo ad alieni bizzarri e a pianeti sconosciuti. E almeno per quanto riguarda gli alieni, Asimov mi ha fregato. Non c’è un alieno in tutto il libro. Inoltre, per quanto le persone abbiano alte tecnologie e astronavi che permettono loro di viaggiare da un capo all’altro della galassia, ci sono comunque elementi terra terra che potrebbero a prima vista stonare con il contesto. Per esempio, c’è un punto in cui un personaggio si accende un sigaro con un accendi sigari. Che è un aggeggio ben poco futuristico, e che appunto potrebbe sembrare non adatto al contesto ipertecnologico. In realtà io credo che questa forma di fantascienza un po’ se vogliamo ingenua (del resto è stata anche scritta quasi settant’anni fa, quando alcune cose che ora sono realtà allora erano pura fantasia) e sicuramente poco fantasiosa e libera si adatti perfettamente alla storia e allo stile di Asimov. Infatti ho apprezzato l’assenza di alieni, la loro presenza avrebbe rovinato l’atmosfera.

La scrittura di Asimov è buona. È scarna ed essenziale, a volte è un po’ asettica, e quindi può rendere difficile al lettore capire e simpatizzare con i personaggi. Mi è capitato un po’ di volte di far fatica a comprendere gli stati d’animo dei personaggi, perché appunto sono spiegati in modo fin troppo distaccato. Ma del resto abbiamo visto che con alcuni personaggi si riesce a simpatizzare comunque (chi ha detto Gaal? O anche i governanti di Anacreon), mentre i personaggi che risultano più freddi sono anche quelli che valgono di meno, come tutte le fotocopie di Salvor Hardin. Quindi non posso lamentarmi, anzi, a volte, specialmente nelle descrizioni, lo stile diventa poetico e lirico, dando alle scene efficacia e leggerezza.

Infine, merita una menzione il fatto che le situazioni politiche, militari e storiche presenti nel romanzo sono credibili e create con intelligenza. Questo non solo grazie alla precisione di cui parlavo prima, ma anche al fatto che Asimov, per la scrittura della trilogia, si sia ispirato a un libro di Gibbon, La caduta dell’impero romano. Questo ha ispirato l’idea di un impero in decadenza e di una barbarie imminente. E l’appassionato di storia romana del tardo impero che è in me non ha potuto fare a meno di andare in brodo di giuggiole quando lo ha scoperto.


Il Gibbon che ha ispirato Asimov.

IN CONCLUSIONE


Prima Fondazione non è un gran romanzo. Ha alcuni lati positivi, come l’accuratezza dei dettagli, l’abilità con cui è costruito l’intreccio e alcuni personaggi che non sono da buttare via, e altri negativi, come l’episodicità e lo scarso coinvolgimento della trama e la scarsa riuscita di un buon numero di personaggi. È un libro che consiglio, ma soltanto perché è indispensabile per leggere i successivi. Quelli che valgono la pena.

VOTO: