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martedì 24 marzo 2020

Una corona di letture #7 - Psyren di Toshiaki Iwashiro

Ciao mamma, sono riuscito a postare un articolo al giorno per una settimana!

Ehm. Dicevo. Oggi torniamo a parlare di fumetti, ma ritorniamo agli shonen di stampo classico, lasciando perdere gli svarioni di Togashi. Psyren è un manga scritto e disegnato da Toshiaki Iwashiro, che strizza l’occhio al genere fantascientifico ma anche e soprattutto al battle shonen. Ageha è un adolescente come tutti gli altri, che una sera sente una cabina telefonica che suona a vuoto, e lì trova una misteriosa tessera telefonica con su scritto psyren. Quando una sua compagnia di classe, Amamiya, sparisce nel nulla dopo aver parlato di psyren, Ageha decide di far funzionare la tessera telefonica. Sarà trasportato in un altro mondo da un’entità misteriosa chiamata Nemesis Q, le cui intenzioni non sono chiare, e diventerà pedina fondamentale negli eventi che coinvolgeranno il mondo dove si trova ora e forse anche altro...


Psyren parte come un mistery fantascientifico e introduce sempre più frequentemente elementi degli shonen stile Dragon Ball, armonizzandoli bene tra loro in modo tale che non sembri un ibrido senza senso. La trama procede svelando un mistero e aggiungendone altri nove, quindi riesce sempre a mantenere il lettore con il fiato sospeso. I poteri sono gestiti in modo intelligente, e soprattutto si evita (almeno fino a verso la fine) di incorrere nelle spiacevoli situazioni in cui i personaggi diventano troppo forti, o in cui personaggi che prima erano forti vengono accantonati perché sono diventati troppo deboli. Anzi, una delle cose più interessanti è che certi personaggi, quelli che normalmente sarebbero rimasti in secondo piano nel momento in cui si passa a combattere, ricevono comunque il loro spazio, e hanno anche opportunità di scontrarsi con i nemici. I personaggi sono ben caratterizzati e hanno un loro corso psicologico, una loro evoluzione che viene portata avanti dall’inizio alla fine.

Insomma, Psyren è un manga tipico e atipico al tempo stesso, che inserendosi sui binari canonici riesce comunque a essere innovativo su altri aspetti, come la trama o i poteri. Lo consiglio a chi è un appassionato dei vecchi shonen, perché troverà ciò che ama riproposto in chiave più moderna e appetibile.

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mercoledì 28 settembre 2016

C'è del marcio negli shonen?

Parlare di classici di un genere è come entrare in un campo minato presieduto da cecchini mentre si è inseguiti da kamikaze inferociti e sotto un bombardamento aereo.  Il mondo è pieno di fan boy dal cervello ammaccato pronti a tutto per difendere la Loro Sacra Opera Preferita dalle grinfie degli ignoranti infedeli. E ci sono poche opere che possono vantare la popolarità e l’autorevolezza in quanto pilastro di un genere che ha Dragon Ball nel panorama dei manga in generale e degli shonen in particolare. Io, naturalmente, ho intenzione di parlare proprio di Dragon Ball, il che significa praticamente che mi voglio scavare la fossa da solo.

"NON TOCCATEMI DRAGONBALL!"
Mi è capitato recentemente di rileggere alcuni shonen, e questo mi ha fatto pensare.Tutti in un modo nell’altro si rifacevano a Dragon Ball, che lo avevano come modello, per seguirlo o per prenderne le distanze. E così ho cominciato a riflettere su come Dragon Ball abbia trasformato e canonizzato lo shonen moderno, e quanto valore ancora adesso possa avere questo canone. Del resto, quanti blogger sentite su internet berciare contro il fantasy di stampo tolkieniano perché ormai ha detto tutto quello che ha da dire e gli elfi hanno stufato? Ecco, qui mi voglio porre in un’ottica simile. Quanto di buono c’è ancora nel modello di Dragon Ball e quanto invece è diventato stantio?

 Tra l’altro, piccola nota a margine, gli shonen di cui parlavo prima sono stati tutti scritti in periodi diversi, che vanno dai primi anni ’90 al 2010, quindi mi hanno permesso di osservare bene come in momenti diversi Dragon Ball fosse utilizzato in modo diverso. Ah, naturalmente prima di mettermi a scrivere mi sono riletto anche Dragon Ball, quindi posso parlare con la mente fresca e il ricordo ancora ben chiaro.

Partiamo con il dire che Dragon Ball non è l’unico manga ad aver avuto una grande influenza su una fetta non indifferente delle storie che lo hanno seguito. Può fregiarsi di questo merito anche, ad esempio, Le bizzarre avventure di Jojo (che a sua volta, almeno nelle prime serie, si rifà ad altri pilastri come Ken il guerriero). L’influenza di Dragon Ball è a parer mio decisamente maggiore e decisamente più evidente, perché Jojo è stato un’ispirazione per molti aspetti “tecnici”, per usare il termine più adatto che mi viene in mente. Per esempio, molti dei poteri speciali che appaiono negli shonen di oggi prendono spunto in maniera più o meno evidente e più o meno massiccia proprio da Jojo, e lo stesso discorso si può fare per il modo in cui sono strutturate le battaglie. Jojo conserva però molti elementi unici che non sono stati imitati o comunque non in maniera massiccia, come lo stile di disegno dei personaggi, le situazioni assurde o surreali, il trash che permea la trama, e quant’altro. Dragon Ball invece non può vantare un’individualità di questo tipo, perché è stato modello per molti più elementi, che vanno dalle situazioni alle scelte narrative, dalla lunghezza dei manga alla struttura stessa delle trame.

Le bizzarre avventure di Jojo: la sobrietà fatta manga.
Ad esempio, è ormai un dato di fatto che un gran numero di shonen, in particolari quelli dedicati in vario modo ai combattimenti, hanno una durata molto ampia. Quante volte gli autori vengono accusati di allungare il brodo, oppure di continuare a parlare quando non hanno nulla da dire? A me è successo spesso di pensare che l’autore poteva risolvere velocemente una determinata situazione e invece la allunga con problemi inutili per tirare avanti per più volumetti (in questo momento sto pensando a Toriko, in cui a un certo punto la trama principale viene tralasciata in favore di vari filler perché boh, evidentemente Shimabukuro voleva arrivare oltre i 30 volumi a tutti i costi). Questo fatto, io credo, è dovuto (anche se naturalmente non del tutto, ci sono fattori anche economici o relativi alla volontà degli editori) a una volontà di somiglianza con Dragon Ball, che prosegue per più di 40 volumi. Lo shonen di combattimento è automaticamente lungo, non può concludersi in poco tempo. Un po’ come per i libri fantasy (faccio di nuovo il paragone con Tolkien perché viene comodo) spopolano e hanno spopolato le trilogie, e se non scrivi almeno una trilogia non sei nessuno. Questo formato per quanto mi riguarda provoca diversi problemi, e il principale lo citavo prima, ovvero l’allungamento del brodo in modo spropositato. Così come nelle trilogie che sono trilogie non perché c’è molto da raccontare ma perché un fantasy o è una trilogia o niente spesso il secondo libro è più un raccordo tra gli eventi importanti del primo e quelli del terzo, così anche negli shonen lunghi perché se no non è uno shonen i volumi centrali di frequente sono i meno densi di eventi e i più noiosi da leggere. Se devo prendere un esempio di manga esteso a dismisura a causa dell’equazione shonen = lungherrimo posso citare Fairy Tail, anche se è un caso particolare perché fin dall’inizio aveva poco da dire, quindi a parlare del nulla ci sarebbe arrivato comunque, con o senza brodo allungato.

La trama di Fairy Tail.
Come dicevo prima però l’influenza di Dragon Ball ha riguardato molti elementi. Ci sono alcune scene che compaiono in Dragon Ball e che sono state riproposte in maniera massiccia negli shonen successivi, magari con cambiamenti anche ampi, ma conservando una struttura di base simile. Ho deciso di esaminarne qualcuna.

C’è sempre un momento in cui i protagonisti arrivano allo scontro finale con il cattivo. Qui accade non dico ogni volta ma molto spesso che il combattimento sia uno contro uno. Che è una cosa idiota. La posta in palio è altissima e basta una scusa qualsiasi come “è il suo combattimento” che tutti i protagonisti si fanno da parte per lasciare che a combattere sia una persona sola. Della serie, se combattessimo tutti insieme vincere sarebbe decisamente più semplice, ma ne va soltanto della salvezza della Terra, che sarà mai, lasciamolo fare tranquillamente. Verrebbe quasi da rimpiangere che il nostro pianeta sia protetto da gente così! Bleach è l’esempio più palese di questo, non c’è una volta in cui tutti si alleino contro il nemico, bisogna sempre lasciare che sia Ichigo da solo a salvare la giornata. Del resto è il protagonista, deve avere qualche privilegio!

Ora, in Dragon Ball questo succede a ogni combattimento. Non riesco a ricordare una battaglia in cui si combatta due o più contro uno, a parte forse due o tre. Lì però ha un senso: i personaggi hanno tutti un orgoglio e un’etica molto forti. Per un sayan combattere con un alleato contro un avversario solo è un disonore perché porta a una vittoria semplice. Preferirebbe perdere piuttosto che vincere senza che il suo avversario abbia potuto mostrare le proprie capacità. Non posso dire che sia una cosa intelligente ma è coerente quindi la rispetto e sono disposto a simpatizzare con personaggi del genere e a seguire le loro vicende. Ma negli altri manga è difficile trovare delle motivazioni così valide per questa scelta, molto spesso si fa semplicemente perché appunto è uno shonen e da che mondo è mondo negli shonen si combatte uno contro uno. Va bé, contenti gli autori e chi li legge contenti tutti, verrebbe da dire.

L’altra scena ormai canonica è l’incontro con il maestro. Ci sarà sempre un momento in cui i protagonisti andranno ad allenarsi e diventeranno allievi di un maestro, oppure conosceranno un vecchio molto più forte di loro che ha una missione per loro o roba simile, e il più delle volte costui ama le forme delle ragazze molto più giovani di lui. A fare scuola qui è il maestro Muten, seguito a ruota da Kaioshin il Sommo, che è la più grande autorità della galassia ma capitola di fronte alla promessa della foto di una donna nuda.

Il mondo è sotto la custodia di costui.
A proposito di questo gli esempi si sprecano, mi limiterò a citare Jiraya di Naruto e, per fare un esempio di qualcuno meno conosciuto, Kagetora Hyodo di Psyren. Ora, questo è un cliché che io trovo particolarmente fastidioso (è un modo idiota di caratterizzare un personaggio) e in effetti pare che anche i mangaka se ne stiano stufando. Infatti, ci sono molti esempi di maestro che però presenta una caratteristica che lo identifica subito che non sia l’essere un pervertito. È una variazione del tema che fa piacere. Potrei citare Kakashi, che ha sempre dietro il suo libro, oppure Biscuit di Hunter x Hunter, che invece è avida e capricciosa. Insomma, la figura del maestro resta sempre caratterizzata con una qualità strana o non piacevole ma sempre diversa e che non riguarda le sue pulsioni sessuali. Invece, se volete l’esempio di una ripresa dell’incontro con il maestro talmente pedissequa da essere fastidiosa potete leggere 666 satan, in cui la scena dell’arrivo a casa di Kirin è identica all’arrivo sul pianeta di Re Kaio (con tanto di scena in cui l’animaletto di Kirin viene scambiato per lui stesso, come succede a Goku, che scambia Bubbles per Re Kaioh).

L’influenza di Dragon Ball è stata grande anche nell’’ambito della creazione dei personaggi, in primo luogo per quanto riguarda i protagonisti. Goku è estroverso, scatenato, simpatico, ha una grossa fiducia nelle altre persone, è abbastanza testardo e mangia per venti persone. Ecco, in quasi tutti gli shonen più famosi sono state riprese queste caratteristiche per l’ideazione del protagonista. In molti casi gli autori hanno fatto un discreto lavoro sul modello proponendo delle variazioni di rilevante efficacia, ma comunque la partenza è la stessa per quasi tutti. Si possono fare moltissimi nomi famosi, Toriko e Rufy, per esempio, e anche qualche nome un po’ meno famoso, come Ageha di Psyren. Perfino Hunter x Hunter, che tende di solito a distaccarsi dagli stereotipi più comuni, ha un protagonista che rispecchia in maniera molto fedele questo modello.

Anche Vegeta costituisce un paradigma di personaggio, anche se in modo più velato e meno evidente di Goku. Rappresenta il personaggio freddo, scontroso e affatto incline a qualunque manifestazione di affetto, orgoglioso e solitario. È innegabile che l’ispirazione di Kishimoto per Sauke derivi proprio da qui. In Yu degli spettri il modello di Vegeta è seguito in modo fin troppo preciso nella creazione del personaggio di Hiei, che gli somiglia non solo nel carattere ma anche nell’aspetto fisico, e questo rende particolarmente difficile prenderlo sul serio, visto che il primo pensiero che viene è di stare leggendo della brutta copia di Vegeta.

A destra Vegeta, a sinistra di nuovo Vegeta Hiei.
La stessa idea di onda energetica, da intendere come nel manga e non come nell’anime, quindi come “raggio di luce che viene emesso dal corpo”, che è centrale in moltissimi shonen, viene da Dragon Ball. Senza questo concetto la maggior parte delle serie che conosciamo sarebbero diverse in maniera radicale. Certo, poi nel corso degli anni sono stati trovati altri modi più complicati per creare i poteri dei personaggi (basti pensare agli o-part di 666 satan, per esempio), e ci si è distaccati dalla semplice onda energetica. Tuttavia il modello rimane presente e riappare con costanza: Hunter x Hunter, che ha un sistema di poteri elaborato e complesso, fonda tutto su dell’energia emessa dal corpo sotto forma di luce. In sostanza, il paradigma dell’onda energetica è stato ormai modificato e migliorato fino a diventare qualcosa di molto diverso e più versatile e fantasioso di quello che era all’inizio.

Da quello che ho elencato finora emerge che il modello di Dragon Ball, dove è stato seguito in modo pedissequo, risulta stantio e già visto, e anzi, ha peggiorato molto spesso certi aspetti che potevano non essere malvagi. La logica conseguenza è che quindi di per sé Dragon Ball abbia ben poco ormai da offrire che possa risultare piacevole o originale. La realtà è a parer mio un po’ diversa, e una rilettura completa di Dragon Ball me lo ha confermato.

È vero che ormai l’originalità non la fa da padrona, e che la trama molto spesso tira avanti in virtù di coincidenze o deus ex machina, è vero che i combattimenti sono semplici (la strategia quasi è assente) ed è vero che i personaggi pervertiti stufano presto. Ma è vero anche che Dragon Ball presenta una sua freschezza. È una lettura agile, che scorre senza neanche accorgersene e tiene lontana la noia. La sceneggiatura è molto spesso buona (nella saga di Majin Bu cambia radicalmente e perde molto a mio avviso) e quindi riesce a dare la giusta dose di coinvolgimento, specie nei combattimenti, che, pur non essendo nulla di che molto spesso da un punto di vista oggettivo, conquistano facilmente e sono dei page-turner pazzeschi. Inoltre mi sono convinto che il vero talento di Toriyama sia scrivere manga comici, perché i momenti di questo genere in Dragon Ball sono quasi sempre molto divertenti. Insomma, se Dragon Ball ha molti aspetti che rientrano a pieno titolo nel già visto, ha una propria linfa vitale, alimentata da una ventata di fresca genuinità, un forte coinvolgimento, un umorismo da spanciarsi anche nelle situazioni più serie e una trama che caccia i personaggi sempre nella situazione peggiore possibile (ok, molto spesso intervengono deus ex machina e cose simili a tirarli fuori dai guai, ma va bé). Insomma, Dragon Ball è la prova che è il talento del mangaka che rende ottimo un fumetto, e non le qualità intrinseche che questo possiede: ci sono storie con molti più pregi e molta più originalità che però non riescono a conquistare allo stesso modo.

Akira Toriyama minaccia i suoi fan con una penna.
Quindi, per tirare le fila del tutto, il modello di Dragon Ball è ancora valido? Sì, se non viene riproposto pari pari, altrimenti rischia davvero di rovinare una storia. Se viene modificato, migliorato o reimpostato in base alle necessità, ai gusti e a quello che sente l’autore (e del resto è in parte già successo, come mostravo prima) allora può offrire nuovi spunti per creare qualcosa di interessante. Che poi quello che sto dicendo non è nulla di nuovo sotto il sole, visto che da che mondo e mondo qualunque modello per risultare efficace deve essere interpretato e non seguito in modo preciso. La pensavano così già gli antichi (chiedete a Quintiliano che cosa sia l’aemulatio), e direi che probabilmente avevano ragione.