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mercoledì 8 marzo 2017

Recensione - La Torre Nera di Stephen King (Torre Nera #7)

Siamo giunti al gran finale. Chi se lo aspettava, eh? Io no di sicuro, a un certo punto mi ero convinto che le recensioni della Torre Nera sarebbero rimaste ferme a metà. Fortunatamente non è così, e quindi potete avere anche voi lo stesso onore di Eddie, Susannah, Jake e Oy, lo stesso onore che ho avuto io e che hanno avuto tanti altri Fedeli Lettori in tutto il mondo. Seguire Roland fino alla fine, fino in cima alla Torre per scoprire che cosa essa ha in serbo per il pistolero.

Parlare non serve. Immergiamoci nella storia.
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Titolo: La Torre Nera
Autore Stephen King
Anno: 2004                                                         
Editore: Sperling & Kupfer
Pagine: 803




TRAMA 

Siamo alle battute finali della storia. Padre Callahan, Jake e Oy si infiltrano nel Dixie Pig per salvare Susannah e impedire la nascita di Mordred, figlio di due padri (Roland e il Re Rosso) e di due madri (Mia e Susannah). Ancora separato da Roland ed Eddie, e presto diviso anche da padre Callahan, che si ferma a combattere i vampiri per coprirgli le spalle, Jake si trova a introdursi solo con Oy nella tana del nemico, dovendo affrontare il ka-tet dei suoi scagnozzi.

Nel frattempo Roland ed Eddie si trovano ancora nel Maine, nel quando in cui hanno incontrato Stephen King. e devono ritornare al più presto a dare man forte al resto del ka-tet. Non prima, naturalmente, di essersi assicurati che il terreno con la rosa, il terreno che ospita uno degli ultimi Vettori ancora in piedi, possa ricevere protezione e difesa dagli uomini del Re Rosso e dall’associazione che questi controlla e attraverso la quale agisce nel mondo che noi tutti conosciamo. 


LA MIA OPINIONE


Leggete La Torre Nera. Qualunque giudizio io possa esprimere qui in questa recensione sarà sempre e comunque riduttivo rispetto a quello che è il libro. Leggetelo perché è un’esperienza che non vi capiterà più nella vita. Questo è il vero Stephen King, lo stesso di It, lo stesso di Misery, quello che sconvolge, che fa amare i personaggi come amici di vecchia data, che si fa odiare per quello che succede nella storia, quello che conquista e non lascia andare, che apre mondi dai quali non vorresti andare mai via, che fa compiere viaggi verso confini che mai nessuno avrebbe immaginato, che ti porta in cima alla Torre Nera solo per farti scoprire che c’è ancora una porta da attraversare.

Ho adorato questo libro. L’ho adorato pur detestando quello che succedeva in certi punti, pur avanzando a stento in certi altri che proprio non volevo leggere, pur trovandomi avvolto da cappe di malinconica solitudine mano a mano che proseguivo con la storia.

Qui non c’è un racconto, c’è la vita gente, i personaggi sono così vivi che ti sembra di averli vicino. Ti sembra di essere davvero a Fine-Mondo, a Fedic, nel Maine, davanti alla Torre Nera. Non c’è nulla di più vero di quello che prende prepotentemente vita dalle pagine di questo romanzo.

La lettura è qualcosa di strano, che ha fatto nascere in me emozioni contrastanti e che non ho molto cercato di conciliare. Da un lato avevo una voglia pazzesca di continuare, di non staccarmi mai dalla pagina per non spezzare l’incantesimo, di interrompere all’improvviso quell’assurdo viaggio a Contezza accanto a Roland che stavo conducendo attraverso le parole di Stephen King. Dall’altro però leggere diventava sempre più difficile mano a mano che la trama proseguiva, ogni evento era come un pugno in faccia. Non aspettatevi lieti fine gratuiti o risoluzioni facili, tutto ciò che può andare male va male e quel senso di vuoto che ti rimane nello stomaco quando dici addio agli amici più cari non vi lascerà mai dall’inizio alla fine.


Molto spesso emergono nella storia all’improvviso momenti malinconici che danno un sapore dolce alla lettura. Come quando tornano alla mente ricordi di tanti anni fa, e ci si culla nella loro serenità, così succede in certi punti del libro. L’esempio più lampante e più genuino, più evocativo e intenso, è proprio all’inizio, quando la tartarughina d’avorio di Padre Callahan viene paragonata alla barchetta di George Denbrough, che esce per sempre dalla storia alla fine del primo capitolo di It.

La trama è davvero ben realizzata. All’inizio pensavo che King avesse deciso di concentrare troppe cose nel volume finale, mentre avrebbe fatto meglio a dilazionare anche all’interno del sesto la risoluzione di qualche nodo principale. In realtà mi sbagliavo, le vicende si seguono in modo magnifico in un crescendo di tensione sempre maggiore e a ciascun evento è dedicato lo spazio necessario. Nonostante siamo al volume finale viene introdotta ulteriore carne al fuoco, e questo è bene, perché rende ancora più palpabile la tensione. Smettere di leggere diventa impossibile, le pagine sono un vortice di eventi che intrappola e trascina fino alla fine. I dolori di Roland e del ka-tet sono i dolori del lettore, e lo stesso vale per le gioie.

Viene introdotto un discreto numero di nuovi personaggi. Poi visto che stiamo leggendo un libro di Stephen King e non Bleach tutti questi personaggi sono ben caratterizzati. Una menzione va a parer mio a Pimli, il capataz di Algul Siento (il luogo dove sono tenuti prigionieri i Frangitori), che non è semplicemente un cattivone versione 2.0 ma ha una personalità precisa e anche con le sue particolarità. È un umano in mezzo ai mostri e a persone con poteri paranormali e si vede, si vede eccome!

Volete sapere di un personaggio che invece è particolarmente insignificante? Il Re Rosso. Appare venti pagine scarse e non fa niente se non attaccare Roland. Di solito l’antagonista finale si suppone che abbia una personalità un po’ più sfaccettata, ma bisogna anche considerare un fatto di importanza non trascurabile. Il Re Rosso è sì l’antagonista principale, ma diciamoci la verità: a chi fregava, mentre leggeva, sapere se sarebbe stato sconfitto, e a chi invece fregava arrivare finalmente in cima alla Torre Nera? La Torre batte decisamente il Re per quanto riguarda interesse e importanza, e questo lo riconosceva anche Stephen King. Per questo motivo a mio avviso non ha speso troppo tempo per caratterizzarlo in qualche modo particolare, perché alla fine della fiera quello che importava era ben altro.


Questa è senza ombra di dubbio la degna conclusione che la serie meritava. Un romanzo in cui vengono risolte tutte le questioni aperte (compresa quella con Randall Flagg, ancora in ballo da L’ultimo cavaliere) ma che contemporaneamente offre nuovi dubbi e nuove domande, che aggiunge molti elementi nuovi al mondo di Roland e che allo stesso tempo riesce a creare forti collegamenti con romanzi di Stephen King che lo hanno preceduto. È il punto di incontro di tutto l’universo che King ha creato nel corso del suo lavoro di scrittore, il centro attorno al quale vortica la sua fantasia.

Un senso di smarrimento vi accompagnerà per la lettura aumentando sempre di più mano a mano che proseguite, e quando arriverete al finale sentirete sulle spalle anche voi il peso del lungo viaggio, rimarrete desolati davanti a ciò che sta succedendo e alla fine non potrete che convenire che, come dice Stephen King stesso, che sia bello o brutto, originale o banale, quello non poteva che essere l’unico finale della serie.

A dirla tutta esistono due finali, uno dedicato ad alcuni personaggi, un altro ad altri. Entrambi sono intensi, inaspettati (specialmente il secondo!) e coerenti con tutto il resto. Non credo che qualcuno al mondo abbia ascoltato l’invito di Stephen King scritto tra il primo e il secondo finale, per quanto fosse molto sentito. Insomma, dopo sette volumi non si può non volere arrivare in fondo!

Volevo infine approfittare di questo spazio per dire due parole sulla serie in generale, ora che siamo giunti all’ultima recensione. La saga della Torre Nera ha alti e bassi, questo lo sapete. Il primo libro detiene la medaglia d’argento come peggior libro recensito finora su questo blog, l’ultimo al contrario è tra i migliori. Ma questo non importa, perché gli alti non soltanto controbilanciano i bassi ma anzi, ne avanza per i beati. La Torre Nera non è una saga epica nel senso che segue vicende che hanno luogo per centinaia di migliaia di anni in una terra fantastica, né perché ha come protagonisti un gruppo di eroi votati al bene per principio. È assai distante, almeno sotto questo punto di vista, dal fantasy in stile Tolkien, nonostante questo resti un modello dichiarato e imprescindibile. Tuttavia è epico perché racconta la storia di cinque figure grandiose, cinque persone che si imprimeranno nel cuore del lettore come se questi li conoscesse da una vita, che sono molto più vive di tanti che si credono vivi e che invece si limitano ad occupare spazio. Il più grande punto di forza della serie è proprio il ka-tet, l’amicizia (anche se parlare di amicizia è riduttivo, il ka-tet è molto di più!) tra Roland, Jake, Oy, Susannah ed Eddie. Dopo viene tutto il resto.

La trama prosegue in modo discontinuo e affatto calcolato, ma non è importante. La scrittura è straordinaria. Leggetela, fidatevi, leggetela, e non ne resterete delusi. Viaggerete nei mondi più disparati, vivrete vite che mai avete immaginato al fianco dei vostri compagni più fedeli, che non vi lasceranno mai. Siete ka-tet, siete uno di molti. Questa è la vostra forza.

Zio Steve dopo aver visto il voto in fondo all'articolo.

IN CONCLUSIONE


Dico la verità, mi dispiace concludere questo gruppo di recensioni, mi ha permesso di trascorrere ancora un po’ di tempo insieme al mio Dihn Roland e agli altri. Mi ha anche permesso di riscoprire che cosa ho amato di questa serie e di cercare di trasmetterne un po’ anche a chi mi legge. So di non esserci riuscito, ma perché l’unico modo per capire davvero che cosa sia la saga della Torre Nera è leggerla.

Voglio infine ringraziare Stephen King per aver scritto questi libri. Non lo faccio perché spero che mi legga, è ovvio che non mi leggerà mai, ma lo ringrazio lo stesso, perché se ho potuto sognare per un po’ è tutto merito suo.

A Stephen King io dico grazie.

Lunghi giorni e piacevoli notti.

VOTO:

domenica 5 marzo 2017

Recensione - La canzone di Susannah di Stephen King (Torre Nera #6)

Alla fine de I lupi del Calla la situazione era precipitata in modo rapidissimo. Susannah è fuggita attraverso la porta e ha viaggiato tra i mondi controllata da Mia, un demone nato dentro di lei che ha il compito di partorire. Soltanto due vettori ormai reggono i mondi, e nel covo dei lupi i Frangitori sono in continuazione al lavoro per distruggerli. Il Re Rosso ha quasi completato il suo progetto di gettare i mondi nel caos. Roland e il suo ka-tet, affiancati da padre Callahan, hanno poco tempo per tentare di risolvere la situazione. Seguiamoli dunque in questa penultimo volume delle loro avventure, che riserva per i lettori davvero delle sorprese inaspettate.
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Titolo: La canzone di Susannah
Autore Stephen King
Anno: 2004                                                        
Editore: Sperling & Kupfer
Pagine: 400




TRAMA

Il ka-tet di Roland si divide in due gruppi. Entrambi viaggiano attraverso i mondi per giungere a New York in momenti differenti. Oy, Jake e Padre Callahan arrivano nel 1999 all’inseguimento di Susannah e Mia, per impedirle di recarsi dai servi del Re Rosso che sono stati incaricati di farla partorire. Mia ha stipulato un patto con l’uomo in nero, Walter O’Dim, o Randall Flagg, come gli piace farsi chiamare, che prevede che una volta partorito il bambino sarà consegnato a lei insieme al difficile e onorevole compito di crescerlo.

Roland ed Eddie sono nel Maine nel 1977, con lo scopo di verificare l’acquisto da parte di Calvin Torre del pezzo di terra che contiene la rosa, probabilmente manifestazione di uno dei vettori ancora in piedi. Qui, in seguito a una serie di eventi, trovano rifugio presso un uomo, John Cullum, e dopo essere stati con lui decidono di fare visita a una persona che hanno sentito nominare spesso e che sono certi abbia un ruolo molto importante nella loro vicenda. Una persona che, casualmente, abita proprio nel Maine...

Il peggior nemico dell'uomo in nero.

LA MIA OPINIONE


La canzone di Susannah è diverso dai romanzi che lo precedono. Avevo accennato a questo cambiamento già nella recensione de I lupi del Calla, e ora è il momento di parlarne con precisione. Se I lupi del Calla aveva una sua vicenda autoconclusiva ma poi lasciava aperte alcune vicende molto importanti perché fossero svolte e risolte nei libri successivi, La canzone di Susannah abbandona completamente lo stile autoconclusivo per diventare il tassello centrale di un puzzle composto dagli ultimi tre libri. Le vicende narrate in questi tre romanzi sono uniche, La canzone di Susannah non ha senso se non dopo I lupi del Calla e prima de La Torre Nera. Infatti non abbiamo qui un inizio uno svolgimento e una fine, abbiamo soltanto lo svolgimento, che riprende e sviluppa quanto era stato lasciato in sospeso ne I lupi del Calla e lo proietta poi verso la sua conclusione nel volume successivo.

Questa trasformazione, almeno su di me, ha avuto un effetto positivo. Ha innanzitutto rinnovato lo spirito della saga e le sue modalità di sviluppo. Non che ce ne fosse bisogno, ma è stata comunque benvenuta. Inoltre ha reso ancora più grande la tensione verso gli sviluppi dell’ultimo volume. Se anche questo fosse stato autoconclusivo come potevano esserlo il primo o il secondo sono certo che lo stacco con La Torre Nera sarebbe stato meno incisivo e meno efficace. Così invece ha funzionato alla perfezione.

La carne messa al fuoco in questo libro è davvero molta. Cominciamo con l’imminente nascita del figlio di Susannah/Mia, che si chiamerà Mordred, e del quale si scopre l’identità del padre. Siamo di fronte al primo grande colpo di scena del romanzo, e anche a uno dei momenti meglio arrangiati di tutta la saga. Stephen King, quando ancora scriveva senza sapere che cosa sarebbe successo la pagina dopo, aveva fatto succedere determinate cose, e ora che invece ha dei piani più precisi si esibisce in un esempio di continuità retroattiva che fa quadrare le sue nuove idee con quello che era già accaduto. Inutile dire che le cose funzionano a meraviglia, non dico che sembra che lo zio Steve avesse tutto in mente fin dall’inizio ma quasi. Volete un indizio su chi sia il padre di Mordred? Non è lui.

Mordred, io sono tuo...ah, no.

Entrano poi in scena i cosiddetti uomini bassi, che erano stati nominati nel romanzo precedente da Callahan, e viene portato avanti il progetto di acquisto del terreno con la rosa-vettore. Ed è in mezzo a questi sviluppi, di per sé molto interessanti, che avviene il secondo grande colpo di scena del libro, quello che si poteva già subodorare dal volume precedente ma che nessuno avrebbe mai creduto si sarebbe realizzato fino a quando non lo ha letto con i propri occhi. Lo metto sotto spoiler perché è bello grosso.

[SPOILER]In sostanza, a un certo punto della storia Eddie e Roland si trovano a parlare con Stephen King stesso, lo Stephen King del 1977, quello alcolista tanto per capirci. King si rappresenta in modo divertito, autoironico e sincero, mostrando quali fossero i suoi punti deboli all’epoca, i suoi lati fragili, e si rimprovera attraverso i suoi personaggi. Non che sia quello lo scopo della sua apparizione, ma quando Eddie osservandolo commenta con un po’ di distacco e un po’ di apprensione che beve un po’ troppo bé, non si può non notare uno sguardo rassegnato e quasi di scusa dell’autore verso il proprio passato. Oltre a essere geniale di suo, l’inserimento dell’autore stesso come personaggio (non è originale, va detto, ma sicuramente fa il suo effetto e risulta senz’altro inaspettato) costituisce anche uno svolgimento non banale di un nodo della trama che risulterà fondamentale negli eventi del libro successivo. Stephen King è la voce di Gan, il mezzo attraverso il quale viene narrata la storia di Roland, tant’è vero che alla fine della sua visita il pistolero lo esorta a continuare a scrivere, a non lasciare la serie in sospeso, altrimenti la sua ricerca della Torre Nera non avrà mai una fine. La cosa interessante è che questo prende spunto da una storia vera: c’è stato un momento in cui Stephen King ha sognato che i suoi personaggi venissero a fargli visita e lo esortassero a continuare! [SPOILER]

In questo volume non vengono introdotti molti personaggi nuovi, non importanti almeno, a parte Mia, che viene approfondita e dotata di una personalità interessante e sfaccettata. Quello che fa King a questo giro è concentrarsi (come del resto aveva già fatto ne I lupi del Calla con Jake) sullo sviluppo dei personaggi che ha già, e qui siamo al turno di Susannah. Susannah, come dicevo nelle recensioni precedenti, era il membro del ka-tet che si faceva sentire di meno, quello che non è che attirasse meno le simpatie del lettore ma che sicuramente era non era presente quanto gli altri, non restava altrettanto impresso. Quel genere di personaggio che resta sullo sfondo della storia e dopo due giorni che hai chiuso il libro già lo hai dimenticato. Ecco, non so se Stephen King si sia accorto di questo in corso d’opera, se fosse tutto già programmato, se sono io che penso troppo o se è colpa del Chupacabra, comunque in questo romanzo il punto di vista di Susannah viene assunto in modo stabile (per ovvie ragioni, visto che rimane separata dagli altri quattro dall’inizio alla fine), e questo permette al lettore di conoscerla bene, di imparare ad apprezzarla non solo come soprammobile di contorno tanto bello e simpatico ma di avere con lei un rapporto profondo e diretto come quello che ha con gli altri personaggi. Insomma, se siamo arrivati a leggere al sesto libro non è soltanto perché vogliamo sapere se Roland troverà la Torre Nera. Certo, quello è importante, ma quello che conta sul serio non come finirà la storia, ma come finiranno i personaggi. Perlomeno, questo vale per me, non so per gli altri. Io sono arrivato al punto che quello che mi importava era trascorrere del tempo con i protagonisti, più che la trama in sé. Ed è bello finalmente avere occasione di legare anche con Susannah, oltre che con gli altri quattro.

Padre Donald Callahan contro Barlow il vampiro.

Il ritmo del romanzo procede in modo incalzante e imprevedibile. Un po’ grazie ai colpi di scena, un po’ grazie alla sequela di eventi che si verificano uno dietro l’altro, ho trovato difficile staccarmi dalla lettura. Lo stile coinvolgente di King unito alla sua capacità di interessare e generare tensione trascina il lettore in una spirale dalla quale è impossibile uscire finché non ha concluso il libro. Parlo per me, ma io avevo una curiosità pazzesca di sapere che cosa sarebbe successo, che altra idea inaspettata Stephen King avrebbe tirato fuori dal suo cappello a cilindro. A tutto questo va aggiunto l’effetto che fa il finale, un brano tratto dal diario di un personaggio che non svelo per non fare spoiler, che visto quello che è stato detto nel libro pare annunciare che gli eventi precipiteranno in modo incontrollabile se non verrà fatto qualcosa. C’è un altro fattore che sconvolge il lettore nella lettura del finale, ma non posso rivelarlo per questioni di spoiler.

Non che vada proprio tutto bene, qualche critica da muovere la ho. Per esempio, l’inizio è più lento del resto del romanzo, e a volte si perde un po’. Esempio. Chiunque abbia letto un libro di Stephen King sa che questi conosce tutti i suoi personaggi, dal primo all’ultimo, come le sue tasche. Ed è un’ottima cosa, è il motivo per il quale sono così ben caratterizzati. Ecco, però non è necessario che anche il lettore li conosca uno per uno come se li conoscesse da quando andavano all’asilo insieme. Con i personaggi importanti è buono e giusto e importante che sia così, con quelli che appaiono per tre pagine no. Anzi, è da evitare. Ne La canzone di Susannah ci sono qualcosa come una quindicina di pagine dedicate a un personaggio che nella vicenda ha un ruolo marginale, sparisce subito dopo e non apparirà mai più. Ma a che sono servite? Dai, è un errore da dilettanti, lo fa Regazzoni per dirne una, non posso trovarlo in un romanzo di Stephen King, romanzo che per quanto riguarda tutti gli altri aspetti si mantiene su ottimi livelli. Mi rendo conto che sia un peccato veniale, ma mi ha comunque lasciato l’amaro in bocca. Non doveva esserci, bastava così poco per evitarlo!

IN CONCLUSIONE


A parte quello che ho appena scritto ciò di cui posso lamentarmi è davvero poco e insignificante. La canzone di Susannah è un ottimo romanzo, coinvolgente ed efficace, che, pur essendo in modo scoperto un ponte tra il quinto e il settimo volume, raggiunge livelli eccellenti di caratterizzazione personaggi, colpi di scena e tensione. È un tipico esempio in cui il libro-ponte verso il volume finale non funziona da semplice connettivo in cui il brodo viene allungato. La canzone di Susannah ha molto da dire, davvero davvero molto, e questo si sente.

Siamo quasi alla fine ormai. La Torre Nera è sempre più vicina. Stringiamoci al nostro Din e prepariamoci all’ultima parte viaggio.


VOTO:

venerdì 24 febbraio 2017

Recensione - I lupi del Calla di Stephen King (Torre Nera #5)

Accennavo sulla pagina fb che sto avendo miliardi di cose da fare in questo periodo e poco tempo per dedicarmi ad altro. Voglio però riprendere a postare con regolarità. Questo è quindi l’inizio di una nuova serie di post che (si spera) non avranno più un mese tra uno e l’altro.

Tengo fede alla promessa che facevo tempo fa. Dopo mesi che siamo lontani torniamo perciò nel Medio Mondo, a trovare Roland e i suoi compagni dove li avevamo lasciati, oltre la città degli smeraldi in stile Mago di Oz, dopo la morte di Tick Tock (con somma gioia di tutti i lettori che come me lo avevano odiato), di nuovo in cammino lungo il sentiero del Vettore. Sono certo che anche a voi è mancata la compagnia di Jake, Susannah, Eddie, Oy e Roland, sono certo che anche voi come me non vedete l’ora di incontrarli di nuovo.
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Titolo: I lupi del Calla
Autore: Stephen King
Anno: 2003                                                     
Editore: Sperling &Kupfer
Pagine: 643




TRAMA

Dopo il mega flashback di La sfera del buio torniamo alla carica con una bella carrellata di eventi. Eddie e Jake viaggiano a Contezza e tornano da Calvin Torre, l’uomo che in Terre desolate aveva venduto a Jake il libro di Charlie Ciù-Ciù, qualcosa di pericoloso e sconosciuto comincia ad albergare dentro Susannah, qualcosa di cui Roland ha ben presto consapevolezza, e il gruppo giunge a Calla Bryn Sturgis, un paese che da tempo ormai è vessato da una dannosissima piaga. Ogni 23 anni dei banditi chiamati lupi giungono a Calla e rapiscono un bambino dalle coppie di gemelli. I piccoli vengono restituiti tempo dopo danneggiati nella mente in modo irrimediabile, ridotti a uno stadio di stupidità, destinati a crescere molto e in modo rapido e a morire molto giovani. Il ka-tet di Roland decide di aiutare il paese a difendersi dall’arrivo dei Lupi, che ormai è solo questione di settimane. Sembra solo un momento di stacco dal viaggio, ma in realtà a Calla Bryn Sturgis c’è molto che a Roland e compagni potrebbe interessare conoscere e che potrebbe diventare di fondamentale importanza per la loro missione.

LA MIA OPINIONE


Stiamo parlando di Stpehen King. Quando Stephen King scrive qualcosa che non mi piace lo si capisce da come ne parlo anche dalla prima parola. Lo stesso per quando scrive qualcosa che mi piace. Quindi immagino che ci siano pochi dubbi a proposito, penso che nessuno di voi sia stato anche solo sfiorato dall’idea che io non abbia apprezzato I Lupi del Calla.

"Cameriere! Due aramostre, subito!"

Siamo al quinto volume della serie, potrebbe essere legittimo aspettarsi che la narrazione cali un po’, che comincino a essere date delle risposte agli interrogativi posti nei libri precedenti e che queste non soddisfino le aspettative, potrebbe essere legittimo aspettarsi di tutto di negativo. Voglio dire, il numero 5 porta male. Il quinto volume di Tokyo Ghoul è quello che mi è piaciuto di meno. Il quinto libro di Harry Potter è un mattonazzo gigantesco. Il quinto volume di Hunter x Hunter è una deviazione dalla trama, bella quanto volete ma pur sempre una deviazione. Più in generale, capita che i libri centrali di una serie siano più deboli rispetto a quelli iniziali e a quelli finali, perché la trama risulta allungata un po’ troppo e molti eventi suonano solo come dei riempitivi in attesa del gran finale. Bé, a onor del vero sulle prime I Lupi del Calla sembra davvero tanto un filler in stile episodi di Garlick Jr. in Dragon Ball tra la saga di Freezer e la saga di Cell. Mentre leggevo il primo capitolo nella testa avevo un solo pensiero, che può sintetizzarsi in “tutto bello, ma che c’entra?”. Non è nemmeno da dire che mi sbagliavo, e basta arrivare al punto del viaggio a Contezza per rendersi conto che di carne al fuoco ne viene messa parecchia. Altro che filler. Una delle cose più interessanti è sicuramente la faccenda del numero diciannove, che è davvero la cosa che più attira chi legge, forse anche grazie alle battute che Eddie ci costruisce sopra, come «andare a diciannove» per dire andare in fumo. In breve, comunque, la cosa è questa: capita che in quasi ogni cosa sia possibile trovare questo numero. Il robot Andy usa la Direttiva Diciannove, i personaggi hanno nomi di diciannove lettere, eccetera. Davvero davvero coinvolgente, io non vedevo l’ora di sapere dove avrebbero portato tutte queste coincidenze!

L’apparizione nella storia di alcuni libri scritti dall’autore stesso è un altro fatto che mi è piaciuto molto, aggiunge sale alla trama, ed è un’altra caratteristica che invita molto la lettura. Direi che una delle qualità principali del libro è questa, offrire tutta una serie di fatti curiosi che verranno spiegati successivamente e che lì per lì mettono moltissima voglia di continuare. E rendono il romanzo particolare, avvincente e stimolante.

Il diciannove avrà a che fare con i templari?

Da questo libro comincia a vedersi un filo conduttore preciso e lineare, molto più che nei romanzi precedenti. Diciamoci la verità, i primi quattro libri possono essere considerati degli stand-alone. Almeno nella misura in cui possono esserlo considerati anche i libri di Harry Potter, non so se mi spiego. Le vicende della storia principale si sviluppano in tutta la serie, ma in ogni libro c’è una trama che comincia e si conclude. Non che questo sia un male, anzi, né significa che l’autore si comporti così perché ancora non conosce come evolverà la storia (la carissima Rowling lo sapeva mentre zio Steve non ne aveva la minima idea, eppure nessuno si lamenta). Dicevo, dunque, che da questo libro non c’è più nulla di episodico, ma il plot va a distendersi in maniera uniforme nei vari romanzi. È vero che c’è una vicenda che ha un inizio e una fine, ma le cose lasciate a metà sono talmente tante e importanti che ha davvero poco senso pensare che possa essere considerato autoconclusivo, anche in senso lato.

Questo è sicuramente un punto di miglioramento per la storia. Non nascondo che quando Stephen King si inventava le cose più strane senza sapere come le avrebbe spiegate questa sua ignoranza di fondo non si notava per niente, anzi, dissimulava proprio bene. Era un mago a cui riesce il trucco ma neppure lui sa come fa. Devo però anche aggiungere che ora che sa quello che fa e che ha in mente tutto lo svolgersi della vicenda fino alla fine la narrazione acquista forza ed energia in più. Non so bene spiegare come né perché, sta di fatto che la penna pare scrivere in modo più sicuro, più energico. Forse è semplicemente una mia impressione, dovuta al fatto che so che ora King non improvvisa più, non lo so, sta di fatto che l’ho sentita. E mi ha fatto molto apprezzare la lettura.

La saga della Torre Nera si configura ne I lupi del Calla, anche se già indizi di ciò si potevano trovare ne La sfera del buio, come centro della produzione kinghiana, come fulcro attorno al quale ruotano tutte le storie che ha scritto. In senso letterale: è mostrata la via attraverso la quale si giunge ai vari presenti alternativi in cui sono ambientate. Non stupisce dunque che appaiano delle vecchie conoscenze per i Fedeli Lettori. Prima di dire a che cosa mi riferisco, andiamo con ordine.

Non so se avrò mai l’occasione di parlarne in modo puntuale qui, comunque Le notti di Salem, il secondo romanzo di Stephen King, quello che lo ha etichettato in modo definitivo come scrittore di horror, a me non è piaciuto. Non è Abyss naturalmente, ma siamo lontani da quello che può definirsi un libro anche solo accettabile. Comunque, tra le poche cose che salvo ci sono il personaggio di padre Donald Callahan e la scena del suo confronto con il vampiro, che è un piccolo capolavoro di tensione in mezzo a eventi che la tensione non sanno fare altro che ammazzarla. Ecco, ne I lupi del Calla il prete fa la sua comparsa (e anche come un personaggio importante!), e la scena con il vampiro viene riproposta in modo praticamente identico. Tra l’altro, ne Le notti di Salem la storia di padre Callahan viene narrata fino a un certo punto e poi basta, viene abbandonato, così di punto in bianco, senza che nulla fosse concluso. Zio Steve ha poi dichiarato che all’epoca non sapeva perché aveva sentito di dover lasciare a metà le vicende del prete, e quando ha cominciato a scrivere la Torre Nera si è reso conto che doveva riprenderlo, che lo aveva abbandonato in attesa di riprendere a raccontare la sua storia insieme a Roland e compagni. Sappiamo tutti che Stephen King dice che le sue storie si costruiscono da sole e che lui si limita soltanto a raccontare quello che i personaggi fanno di propria spontanea volontà, quindi in quest’ottica il suo discorso ha senso. Comunque sia, padre Callahan è un personaggio che se non è né simpatico né piacevole è comunque ben caratterizzato e perciò è se non altro interessante sentire raccontare di lui, perciò non può che essere positiva la sua apparizione.


Padre Callahan si prepara ad affrontare i vampiri.

Il romanzo tiene il ritmo abbastanza bene, va detto. In pratica, il grosso del libro si focalizza sul periodo in cui Roland, Eddie, Jake, Susannah e Oy attendono i lupi a Calla Bryn Sturgis, preparando nel frattempo un piano per sconfiggerli insieme agli abitanti. Si intersecano a questo varie altre sottotrame, alcune che poi andranno a rivelare eventi molto importanti per quanto succederà nei volumi successivi. Il tutto non annoia, anche se bisogna dire che la parte in mezzo è più sotto tono rispetto all’inizio e alla fine. Non dico che sia inutile o che si trascini implorando il lettore di mettere fine alla sua lenta agonia, non dico che sia un palese cumulo di vuoto come le pagine tra 70 e 510 de Il richiamo del cuculo (a me la Rowling giallista non piace, dite quello che volete ma mi ha annoiato a morte), ma non è neppure un focolaio di eventi che si susseguono uno dietro l’altro senza lasciare un attimo di respiro. Del resto, questo è un fatto che ho notato in molti romanzi di Stpehen King, anche quelli più acclamati. Un solo esempio, 22/11/63. Non ditemi che la parte a metà del libro non l’avete trovata molto meno scorrevole del resto, perché allora abbiamo letto due cose diverse.

Ad ogni modo questo non significa che il libro non si legga bene, anzi. Riesce a suscitare la quantità di interesse sufficiente per permettere di continuare senza stancarsi. La trama è ben costruita e ben articolata, e per questo il colpo di scena finale, per quanto intuibile, comunque riesce a creare nel lettore quella giusta quantità di stupore. Insomma, parte un po’ sotto tono o meno, si lascia seguire in modo piacevole e a tratti appassionante.

Non serve, credo, che spenda altre parole sulla scrittura di Stephen King. King scrive da dio e lo sappiamo, e questo libro non fa eccezione. Una scena in particolare verso la fine è scritta in modo fantastico, ma non aggiungo altro per non fare spoiler, e poi, come dicevo prima, anche il confronto tra Callahan e Barlow è un fantastico picco di stile. Ma tutto il libro si mantiene su livelli invidiabili.

Un vecchio di Calla Bryn Sturgis contro uno dei lupi.

Non mi dilungherò nemmeno sui personaggi principali, ormai li conosciamo da quattro libri e sappiamo che sono caratterizzati in modo ottimo. L’unico aspetto notevole a questo proposito è la crescita di Jake, che comincia a svilupparsi durante la storia e si conclude alla fine del libro, con la sua prima sigaretta a significare il suo definitivo passaggio a un’età maggiore. È un momento abbastanza delicato e toccante, reso molto bene, e questo non può che essere buono, visto che parliamo di uno dei personaggi migliori della storia. Sarà da questo libro in poi che il legame tra Jake e Roland diverrà sempre più stretto.

I personaggi nuovi, invece, a parte padre Callahan, ovvero gli abitanti del Calla, sono caratterizzati in modo vario, chi meglio e chi peggio a seconda di quanta importanza hanno poi nella storia. Di conseguenza in certi casi si poteva fare di meglio in certi di peggio, ad ogni modo che personaggi minori siano caratterizzati peggio non costituisce certo un problema.

IN CONCLUSIONE


I lupi del Calla è un signor romanzo, che unisce bene lo stile autoconclusivo dei precedenti con quello scopertamente continuativo del successivo. Un ottimo libro, dunque, che proietta la saga della Torre Nera verso un penultimo volume che, visti gli eventi del finale, aprirà porte (in senso anche letterale!) per nuove possibilità e nuovi sviluppi imprevisti.

VOTO:
 

giovedì 28 luglio 2016

Recensione - La sfera del buio di Stephen King (Torre Nera #4)

Abbiamo attraversato il deserto e le montagne, lasciato precipitare Jake e affrontato l’Uomo in Nero. Siamo scampati alle Aramostre nel mare occidentale, abbiamo oltrepassato le tre porte, siamo giunti in altri mondi e in altri tempi e abbiamo portato via da lì delle persone che potessero fare squadra con noi. Ci siamo incamminati lungo il sentiero del vettore, abbiamo salvato un Jake redivivo, abbiamo attraversato il paese di Crocefiume e la città di Lud. Ora siamo sul treno Blaine il Mono, che, impazzito, vuole porre fine alla sua vita. Con noi nel vagone. L’unico modo per salvarci è seguire il nostro dinh, Roland, e la sua decisione di affrontare il treno in una gara di indovinelli contro il tempo.

Come andrà a finire? Scopriamolo con La sfera del buio, il quarto romanzo della saga della Torre Nera.
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Titolo: La sfera del buio
Autore Stephen King
Anno: 1997                                                          
Editore: Sperling &Kupfer
Pagine: 654





TRAMA

È tempo di flashback, in quel del Medio-Mondo. Dopo aver sconfitto Blaine nella gara di indovinelli grazie a un'intuizione di Eddie, Roland si ferma a discutere con il suo ka-tet. Comincerà dunque il racconto del suo passato e delle ragioni che lo spingono alla ricerca della Torre Nera.

Assistiamo a un giovane Roland, in compagnia dei suoi compagni Cuthbert e Alain, in missione nella città di Mejis. La sera prima di arrivare a Mejis Roland rimane conosce Susan Delgado, giovane destinata a diventare concubina del podestà Thorin, appena tornata da un'esame per controllare che sia idonea proprio per questo scopo, e da lei rimane colpito e affascinato. La ragazza é ancora scossa, poiché ad averla esaminata é la vecchia strega Rhea del Coӧs, che l'ha violata in più modi quella sera. Roland riaccompagna Susan in paese e torna all'accampamento.

Questo é il primo contatto con Mejis. Nel corso del tempo trascorso là, Roland e i suoi compagni conosceranno Jonas e i sorveglianti del paese,il podestà Thorin e altri personaggi, e si troveranno di fronte all'amore, a una cospirazione nella quale pare essere coinvolto anche il ribelle John Farson e a una misteriosa e malvagia sfera magica, destinata ad avere nel futuro di Roland un ruolo molto maggiore di quanto questi potrebbe pensare.

Stephen King col suo compagno di banco al primo giorno delle scuole medie

LA MIA OPINIONE


La sfera del buio é uno stacco narrativo mica da poco con il resto dei libri. A parte le prime ottanta pagine e le ultime quaranta, tutte le altre sono occupate dal flashback sul passato di Roland. Che non dico che non ci volesse, anzi, era necessario, visto che la ricerca della Torre Nera é lo scopo principale dei personaggi. Poteva essere inserito in modo narrativamente più elegante, questo é indubbio. Per esempio, poteva non bloccare la trama per cinquecento pagine. A onor del vero, poteva essere inserito in modo molto peggiore. Poteva per esempio interrompere la trama in un momento cruciale, invece si trova più o meno in un punto morto. Proprio per questo, perché mette carne al fuoco in un momento in cui il plot pare essersi un po' arenato, a me non ha dato particolarmente fastidio il fatto che la storia principale venga interrotta da pagina cento circa a pagina seicento. Ho sentito chi si lamenta di questo, io l'ho sopportato tranquillamente.

Lasciando perdere questo discorso, La sfera del buio è davvero un gran libro. Riesce a mischiare divertimento, romanticismo e azione. È un romanzo che riunisce moltissimi personaggi con scopi e ideali diversi, segue gli obiettivi di tutti fino alla loro conclusione. É un romanzo dove le parti in causa sono molte, ma ci sono spesso cambi di partito, alleanze e mutamenti di posizione. Personaggi che all'inizio paiono avere un obiettivo poi si scopre che ne hanno un altro, oppure che all'inizio hanno un determinato schieramento poi passano a quello opposto. È un romanzo che sicuramente non si risparmia nei colpi di scena, e che presenta momenti di grande tensione tanto quanto momenti divertenti e scoppiettanti. Un esempio ne è la scena del primo scontro, di notte alla locanda, tra Roland e i suoi e Jonas e i suoi uomini (ovvero i mercenari al servizio del podestà con il compito di controllare la città), che è rocambolesca e quasi da film, con i sei pistoleri che si trovano in fila uno dietro l’altro ciascuno a puntare la pistola contro la schiena di quello davanti.

"Sto qui per occupare spazio"
Come accennavo prima, appare qui una delle caratteristiche peculiari di Stephen King, che negli altri tre romanzi della Torre Nera non era emersa, e cioè l’uso di molti punti di vista diversi. Qui i personaggi sono appunto davvero molti, non tanti come per esempio ne Le notti di Salem ma sicuramente un numero più che discreto. Ma naturalmente, trattandosi di un romanzo di Stephen King, tanti personaggi significa, almeno in linea generale, eccellenti caratterizzazioni. Dico in linea generale perché, come del resto è anche lecito aspettarsi, le personalità non sono tutte curate con la stessa perizia e la stessa precisione. Ci sono personaggi ottimamente caratterizzati, come Susan Delgado, che non è affatto la damsel in distress che invece facilmente la situazione potrebbe generare. Voglio dire, la trama de La sfera del buio potrebbe facilmente indurre uno scrittore alle prime armi a cadere descrivere Susan come lo stereotipo della donna indifesa. Invece, King le attribuisce una personalità che vada oltre il semplice stravedere per Roland e quindi il contare su di lui per essere aiutata. Susan è anche una persona forte, con i propri valori, la propria indipendenza e la propria voglia di libertà, una persona che spesso si mostra tutta d’un pezzo anche in circostanze non esattamente piacevoli.

Questo per fare un esempio di buon personaggio. Tra i personaggi che invece sono riusciti un po’ peggio c’è senza dubbio, per dirne uno, Jonas, che è in pratica l’antagonista principale del romanzo, e che, nonostante abbia un suo abbozzo di personalità che viene fuori abbastanza spesso, rimane nel complesso abbastanza cliché. È meglio riuscito l’altro antagonista, la capricciosa e vendicativa  Rhea del Coӧs, che riesce davvero a mettere in difficoltà i personaggi senza però compiere gesti da stereotipo o macchietta.

L'attuale occupazione di Jonas dopo la pensione da mercenario
Le situazioni che il libro racconta sono intense e coinvolgenti, spesso ci si lascia trasportare al punto che pare di viverle in prima persona. Questo é merito dei personaggi realistici e ben caratterizzati di cui parlavo prima ma anche della scrittura che é davvero precisa ed efficace. Per quanto mi riguarda, è da La sfera del buio che si raggiunge l’apice dello stile di King nella saga Torre Nera, e su questo livello resteranno, a volte con qualche caduta, i tre libri successivi.

Molto resi bene sono anche i rapporti tra i personaggi. Ok, direte voi, questa è una diretta conseguenza del fatto che siano ben caratterizzati. E io vi rispondo vero, ma fino a un certo punto. Nel senso che caratterizzare bene i personaggi è un buon presupposto per creare relazioni sensate e ben descritte, ma sicuramente non basta. King si dimostra quindi particolarmente abile nel delineare il contrasto tra Susan e la zia o tra Roland e Cuthbert. Sono litigi veri, momenti in cui i legami presenti sul serio tra i personaggi rischiano di spezzarsi veramente. Non esiste artificiosità, non ci sono momenti forzati o in cui si vede che gli eventi vanno in una certa direzione soltanto perché l’autore vuole creare conflitto per far proseguire la trama. Gli eventi scivolano in modo naturale, ed è inevitabile che chi legge ne resti conquistato ed emozionato.

Abbiamo, tra gli intrighi e il mistero, anche, come dicevo, una storia d’amore. Suppongo che sia impossibile vero intuire chi ne siano i protagonisti, vero? Immagino che la suspense vi stia divorando. Comunque, la storia d’amore è gestita decentemente. Non è come quella tra Odetta ed Eddie, che dopo essersi parlati venti minuti decidono di amarsi alla follia. Si ha comunque la sensazione che certi aspetti potessero essere trattati in modo meno frettoloso, perché appena dopo la prima volta che si incontrano già Susan si trova a baciare Roland. Ma fortunatamente non è che questo bacio significhi già amore per la vita, e quindi dopo questo la storia d’amore viene sviluppata in modo più misurato e approfondito.

Susan come rappresentata nel fumetto della Torre Nera
Vanno sicuramente spese un paio di parole per il finale, o meglio, per le ultime cinquanta pagine. Avevo già detto che termine del flashback non significa termine del libro, e infatti, prima della fine, viene introdotta una nuova piccola avventura di Roland, Eddie, Susannah, Jake e Oy, che in questo momento si trovano ad attraversare un mondo che non conoscono, che pare una versione modificata della loro realtà (e che è il quando in cui è ambientato un altro romanzo di King, L’ombra dello scorpione). Qui si trovano ad attraversare un luogo molto particolare, chiaramente ispirato al Mago di Oz. Ora, anche riguardo a questa scelta ho sentito molti lamentarsi, e di nuovo mi sono ritrovato a pensare che la scelta non mi sembrava così malvagia. Bizzarra quanto si vuole, ma interessante, e in grado di spezzare il ritmo piatto che le vicende di Roland avevano assunto una volta sconfitto Blaine il Mono. Inoltre, e qui risiede la genialità di tutta la faccenda (anche se avrò modo di parlarne meglio in seguito nelle prossime recensioni), la cosa pare sul momento non avere il minimo senso. In effetti, che ci fa lì una città di smeraldo? Ecco, la sensazione che pervade la scena è che ci sia una ragione per la sua presenza lì, anche se per ora i personaggi non la conoscono. In realtà questa sensazione è sbagliata, perché nel momento in cui ha scritto La sfera del buio King non aveva la minima idea (come da lui stesso dichiarato) di quello che sarebbe successo in seguito. Tuttavia, con buone scelte narrative e idee se non del tutto originali perlomeno inaspettate, che approfondirò nella recensione de La canzone di Susannah, King riesce a salvare capra e cavoli dando una spiegazione indiretta ma del tutto esauriente della presenza della città di smeraldo. Quindi, a tutti coloro che si trovino a pensare che quando ha scritto questa parte King beveva, tranquilli: il King alcolista è quello degli anni ’80. Qui sa (più o meno, anzi, più meno che più) che cosa sta facendo. Abbiate pazienza, comportatevi da Fedeli lettori e nel sesto volume avrete i dovuti chiarimenti.

E poi quello che tutti aspettavamo appena abbiamo preso in mano il libro. Le motivazioni di Roland. Che vediamo sotto spoiler.


[SPOILER] Dunque, perché Roland cerca la Torre Nera? In sostanza, perché viene spinto dalla sfera di Rhea ad abbandonare Susan alla morte in cambio della ricerca della Torre. Che sulle prime mi era sembrata una motivazione un po’ debole, ma tutto sommato è accettabile, è coerente con il carattere di Roland e non è banale. Si poteva inventare di meglio, è vero, ma va bene anche così alla fin fine. Non mi lamento, ecco. Quindi, se per caso vi foste chiesti “ma questa caspita di ricerca della Torre Nera, è fuffa o ha un senso?”, domanda tra le altre cose legittima, visto che per tre libri non si era detto nulla al riguardo, sappiate che sì, ha un senso che alla fine della fiera soddisfa abbastanza. [SPOILER]

IN CONCLUSIONE


La sfera del buio è un romanzo con i fiocchi. Non ai livelli de La chiamata dei tre, che era più agile ed elettrizzante, ma comunque un ottimo libro, che riporta ad alti livelli la saga della Torre Nera, che il precedente Terre desolate aveva un po’ affossato. Il mio consiglio quindi è di cimentarvi nella lettura, perché da qui in poi non ci saranno più scivoloni: la serie andrà sempre più in crescendo.

VOTO:

lunedì 27 giugno 2016

Recensione - Terre desolate di Stephen King (Torre Nera #3)

Abbiamo conosciuto Roland ne L’ultimo cavaliere. Abbiamo conosciuto i personaggi comprimari suoi ne La chiamata dei tre. Ora è finalmente il momento di metterci davvero alla ricerca della Torre Nera. Cominciamo insieme a Roland, Eddie e Susannah il viaggio verso il luogo che sostiene tutti i mondi. Del resto, l’esperienza del libro precedente era stata molto positiva. Sicuramente Stephen King, il paroliere (come ama definirsi lui stesso), non deluderà la fiducia di noi Fedeli Lettori (anche qui per usare le sue parole).

Bando alle ciance, cominciamo!
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Titolo: Terre desolate
Autore Stephen King
Anno: 1991
Editore: Sperling & Kupfer
Pagine: 438




TRAMA

Il libro riprende alcuni mesi dopo la fine de La chiamata dei tre. In questo lasso di tempo Roland ha insegnato a Susannah e a Eddie a sparare, con l’obiettivo di trasformarli in pistoleri, ruolo che non consiste semplicemente nel maneggiare delle pistole ma nell’assimilare una serie di valori che nello sparare trovano la loro completa realizzazione (ricordo a proposito ciò che devono ripetere prima di sparare, quella litania dove sbagliare comporta il “dimenticare il volto del proprio padre”, che significa aver perso quei valori guida attraverso cui orientare la vita). Sarà a questo punto che i tre decideranno di partire lungo il sentiero che congiunge due Vettori (ovvero due colonne portanti dei mondi). La Torre Nera si trova proprio nel punto di incrocio di tutti i sentieri che collegano i vettori.

Ma le cose non sono così semplici. Roland comincia ad essere in crisi, e la causa dei suoi problemi è da cercare in Jake, la sagoma di cartone il ragazzino morto alla fine del primo libro. Infatti, dopo la morte di Jack Mort (provocata da Roland nel libro precedente) l’omicidio di Jake perpetrato da quest’ultimo, omicidio che aveva permesso a Jake di finire nel mondo di Roland, è annullato (Roland ha ucciso Mort prima che ammazzasse Jake) e quindi il ragazzino è ancora vivo e soffre di crisi di identità: una parte di lui è più che convinta di aver trascorso del tempo nel deserto e ha ricordi vividi di quel periodo, l’altra parte ritiene queste idee un cumulo di idiozie. Jake seguirà segnali misteriosi mandatigli da chissà chi, troverà la rosa, e infine dovrà confrontarsi con la realtà, e capire se i ricordi del deserto sono realtà oppure finzione.
"Se non leggete i miei libri vi farò un'offerta che non potrete rifiutare"

LA MIA OPINIONE


Quando ci si mette Stephen King riesce a tirare fuori dei capolavori. Quando non ci si mette gli escono delle ciofeche. Terre desolate non è né l’uno né l’altro.

In realtà definire questo romanzo è difficile. La prima impressione che resta è di totale indifferenza. Che cosa ho appena letto? Un libro che aveva passi molto incisivi e altri da mettersi le mani nei capelli. E che quindi nel complesso vanno a bilanciarsi e ad annullarsi. E alla fine al lettore rimane ben poco.

Non posso definirlo un brutto romanzo, perché non posso dire che non mi è piaciuto, non come non mi è piaciuto L’ultimo cavaliere, non come non mi è piaciuto Le notti di Salem (sul quale scriverò qualche riga prima o poi). Ma alla fin fine i libri che mi sono piaciuti sono altri.

Che cosa posso dire di positivo? La scrittura sale decisamente di livello. Ricordate quello che dicevo a proposito de La chiamata dei tre, che la scrittura tutto sommato nella media era in realtà l’anello un po’ più debole di tutta la per gli altri aspetti eccellente architettura del romanzo? Ecco, sicuramente questo non si può dire riguardo a Terre desolate. Qui troviamo uno Stephen King davvero in forma sotto questo punto di vista, in grado di regalare momenti di vera tensione (come nell’avventura di Jake nella casa stregata) e altri di pace e serenità (come la scena a Crocefiume). La penna di King si destreggia con maestria tra le situazioni che vuole creare e le emozioni che vuole suscitare. Mi è capitato spesso di fermarmi a riflettere su quanto fosse scritta bene la scena che stavo leggendo, con i dettagli giusti segnalati al punto giusto in modo da caratterizzare la situazione e renderla di impatto sul lettore. Dal punto di vista puramente tecnico, quindi, trovo ben poco da contestare. Anzi, se La chiamata dei tre fosse stato scritto con questo stile sarebbe stato un romanzo ancora migliore!
La casa stregata menzionata sopra
Ma lo stile è forse l’unica caratteristica che promuovo in toto. Lo stile e la caratterizzazione di Jake. Se vi ricordate (e se non lo ricordavate dovrebbe magari ve lo ha fatto tornare in mente il mio commento di poche righe fa), nella recensione de L’ultimo cavaliere lamentavo l’inconsistenza del personaggio di Jake. Ecco, in Terre desolate King sopperisce con abilità a questa mancanza, dando a Jake quella caratterizzazione che durante la sua precedente apparizione mancava. Il Jake che va a scuola, che vede il deserto dietro ogni porta che apre, che ha amnesie, che ha paura di essere pazzo, che legge con sgomento un tema che era certo di non aver scritto e che contiene frasi incomprensibili (e qui tra l’altro c’è una gustosa frecciatina abbastanza scoperta al modo intellettualoide di ragionare di certe persone), che gira disorientato per la città, senza capire neppure lui che cosa sta facendo, è una persona reale. È un ragazzino con emozioni, sentimenti, con un modo di pensare. Non quella figurina spessa come un foglio di carta del primo libro. Tra l’altro Jake è pure simpatico. Non quanto Eddie, ma le sue avventure si seguono volentieri anche grazie alla sua personalità.

E fin qui ho elencato cose buone. Ma, come accennavo prima, sono le uniche. Il resto aleggia in un’atmosfera di mediocrità che a volte riesce a elevarsi sopra il livello medio altre volte ne va molto sotto.
Susannah resta ancora il personaggio un po’ anonimo de La chiamata dei tre. Come avevo detto in quella recensione, bisognerà aspettare il sesto libro per avere una buona e precisa caratterizzazione di Susannah. Giova invece al team dei protagonisti l’aggiunta del bimbolo Oy, che con la sua simpatia rende davvero piacevole la lettura in certi punti. Poi io sono sensibilissimo a cuccioli e quant’altro (lo so, è una cosa estremamente maschia, ma che ci volete fare, su certi punti proprio casco come una pera cotta) e quindi la sua presenza già di per sé era un bel tocco che corona ben bene la squadra dei viaggiatori della Torre Nera. È un po’ la ciliegina sulla torta.

Siamo invece messi peggio dal punto di vista degli antagonisti. In questo romanzo ne troviamo principalmente due, ovvero Gasher e il suo capo Tick-Tock (la banda conta anche altri membri, ma non vengono particolarmente approfonditi). Gasher non è un personaggio brillantissimo, ma alla fine della fiera risulta accettabile è un pazzo assassino, ma è un pazzo assassino tutto sommato con un po’ di personalità, ed è cattivo senza risultare ridicolo. Ripeto, non è il massimo, ma va bene, specialmente per un personaggio che nella trama ha un ruolo relativamente importante.

Tick-Tock invece  è il principale antagonista del libro, e ha un ruolo più ampio, tant’è vero che farà anche una piccola apparizione nel romanzo successivo. Ecco, Tick-Tock è in poche parole imbarazzante. È pure lui un pazzo, ma va bene, in città sono più o meno tutti i pazzi. Il fatto è che Tick-Tock è cattivo e ridicolo. Basti sapere che…ma che ve lo dico a fare? Leggete qui e fatevi la vostra idea.

La donna bruna mandò un altro grido stridulo. Tick-Tock si girò per metà verso di lei con un sorriso pigro negli angoli della bocca e prima che Jake potesse rendersi conto di che cosa stava succedendo, di che cosa in realtà era già successo, la donna indietreggiava barcollando, con gli occhi strabuzzati per la sorpresa e il dolore, mentre con le mani annaspava su uno strano tumore che le era apparso al centro del petto. [Jake capisce che Tick-Tock le ha tirato un pugnale, la donna muore dopo mezz’ora di movimenti inconsulti] <<Gliel’avevo detto che mi dava fastidio quella risata>> commentò Tick-Tock.
La mia reazione quando leggo certe cose
Ma Stephen King, seriamente? Ci mancava solo che Tick-Tock si esibisse in un latrato gutturale con le braccia allargate e gli occhi rossi, dicendo:<<Ma quanto sono cattivo!>>

Capite bene che è un po’ tanto chiedere al lettore di prendere sul serio un antagonista del genere. In una parodia o comunque in un romanzo che non voglia essere preso sul serio andrebbe bene, ma qui proprio no.

Inoltre, e secondo me è questo il problema principale, la trama spesso non conquista. Le prime duecento pagine più o meno raccontano di Jake e del suo tentativo di entrare nel mondo di Roland e di Roland, Dean e Susannah che tentano di aiutare Jake dalla loro parte. Ecco, la parte nel mondo di Jake, ovvero nel nostro mondo, si legge bene ed è interessante, mentre la parte nel mondo di Roland è più noiosa, perché succedono meno cose e offre meno spunti. Anche quando il gruppo si unisce, la narrazione procede in maniera piana e poco coinvolgente. Per esempio, la parte del viaggio a Crocefiume trasferisce sì perfettamente il senso di serenità e pace che provano i personaggi, ma poi risulta anche decisamente poco coinvolgente. Quando invece il gruppo arriva alla città di Lud ed è costretto a dividersi, la parte di Jake e Roland è interessante, quella di Susannah ed Eddie molto meno. La trama si riprende poi nel finale.

Come si può notare, ci sono sì i punti interessanti ma sono intervallati da altri molto più piatti, che rallentano la narrazione e spengono la voglia di proseguire. E questo è male, sia perché il libro precedente era una sorpresa a ogni pagina sfogliata sia perché questo ha dei passi che davvero ti impediscono di staccarti dalla lettura (nomino di nuovo l’avventura di Jake nella casa stregata perché sul serio mi è rimasto impresso). Se fosse scritto tutto a quei livelli sarebbe davvero un gran libro, anche superiore a La chiamata dei tre.

Ci sono poi alcuni pezzi che non risultano senza arte né parte e neppure risultano coinvolgenti, e altri che sono semplicemente trash, tipo la lotta tra Susannah (per l’occasione tramutata di nuovo in Detta Stinti-cazzuti-vi-mangerò-le-palle Walker) e il demone. Che di per sé è ben scritto, se non fosse che più che un romanzo di Stephen King sembra la sceneggiatura di un film porno di bassa lega. Ora, nessuno vieta a Stephen King di far sì che il sesso sia l’unico modo per combattere i demoni, ma sinceramente io i dialoghi di Odetta li ho trovati ridicoli. Non fosse per i dialoghi trash, come dicevo prima, non avrei nulla da dire, perché la scrittura per il resto è davvero efficace. Ma proprio per questo mi lamento: perché questa differenza crea uno stridore che dà fastidio.

E se non vi vanno gli indovinelli,
una partita a carte!
Un’ultima nota sul il finale, con l’apparizione di Blaine il Mono, che sarebbe un po’ un tentativo di rinnovare (senza perdere tensione, del resto parliamo di Stephen King) il cliché del fantasy da Gollum in poi della gara di indovinelli. Che dire, ho apprezzato, come ho apprezzato il fatto che Blaine abbia una caratterizzazione. E forse questo è l’unico punto che davvero suona inaspettato in una trama che fino ad ora è proseguita senza particolari colpi di scena.

E ora permettetemi un’altra breve considerazione sul finale, questa volta sotto spoiler.

[SPOILER]Ho sentito spesso persone lamentarsi del finale del libro troncato a metà di netto. Non è un’interruzione da poco: si decide di cominciare una gara di indovinelli contro Blaine e toh, il libro finisce, ci vediamo alla prossima. In realtà questo aspetto a me non ha dato fastidio per niente, anzi, ho apprezzato una scelta così coraggiosa. Forse è stato perché avevo già il seguito, La sfera del buio, pronto sulla scrivania. Ma ho apprezzato. Mi distacco quindi decisamente da quanti critichino il brusco taglio alla narrazione provocato da questo finale improvviso. [SPOILER]

Ah, quasi dimenticavo: in questo libro viene per la prima volta introdotto il concetto di Ka-tet come unione di ka, di destini. Roland, Jake, Eddie, Susannah e Oy sono Ka-tet, sono uno di tanti. Sono persone che condividono il proprio futuro a un livello più profondo di una semplice comunanza di obiettivi. Sono cinque che proseguono con un cuore solo, una mente sola, una volontà sola. Potrebbe sembrare una fonte di scelte narrative facili. In realtà non è così, e lo si vedrà bene anche e specialmente nei libri successivi.

IN CONCLUSIONE


Terre desolate è un libro che non fa né caldo né freddo. Che offre esempi di ottima narrativa ma anche cadute di stile considerevoli. Che presenta personaggi ben caratterizzati ma anche Tick-Tock. Che alla fine lascia un senso di insoddisfazione, nonostante abbia pure degli aspetti positivi. In breve, non pessimo, ma neppure buono. Passabile, se vogliamo, ma nel senso di passarlo velocemente per leggere il successivo. Se letto in poco tempo forse rende meglio, io ho impiegato due settimane. Forse se letto in cinque o sei giorni si sente meno lo scarso coinvolgimento della trama. Probabilmente non lo saprò mai.

VOTO: