Visualizzazione post con etichetta Recensioni da 10. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Recensioni da 10. Mostra tutti i post

domenica 14 gennaio 2018

Recensione - L'oceano in fondo al sentiero di Neil Gaiman

Lo so che volevate tutti Regazzoni. E invece no, sono pigro e mi pesa leggerlo, quindi vi rifilo una recensione positiva.

L’ultima recensione che ho pubblicato nella sezione libri è quella di American gods, cui ho dato otto Cthulhu, che più o meno significa “certe cose mi sono piaciute tanto, certe altre discretamente, qualcuna no, siamo a un livello sopra la media ma non eccellente”. Quello è stato il mio primo e ultimo approccio con Gaiman (con l’esclusione del fantastico Buona apocalisse a tutti, ma lì c’è anche l’intervento di Terry Pratchett). Poi proprio qualche giorno fa, un po’ per caso, un po’ perché avevo bisogno di qualcosa di breve per riempire il tempo perché avevo appena finito Lord of emperors di Guy Gavriel Kay e nel giro di pochissimo sarebbero arrivati i libri che avevo chiesto per Natale, ho letto L’oceano in fondo al sentiero. È stato proprio una cosa casuale, non dico che ho messo vari titoli di libri su un bersaglio e poi ho lanciato una freccetta a occhi chiusi, ma quasi. E quello che doveva essere soltanto un riempitivo tra un bel libro e l’altro è diventato in effetti il miglior libro che ho letto quest’anno. E sì, questo è l’anno in cui ho letto anche Pan e Sailing to Sarantium. Eppure L’oceano in fondo al sentiero dà il bianco a tutti quanti.
______________________________________________
Titolo: L’oceano in fondo al sentiero
Autore: Neil Gaiman
Anno: 2013                                                       
Editore: Mondadori
Pagine: 191




TRAMA 

La trama è semplicissima. Il protagonista e narratore della storia, di cui non conosciamo il nome e che perciò chiameremo con il primo che mi viene in mente, Neil (scelta assolutamente casuale), ritorna presso la casa dove abitava quando era piccolo. Lì ritrova la fattoria degli Hempstock, dove abitava Lettie, una bambina con cui aveva fatto amicizia quando lui aveva sette anni e lei undici, e che poco dopo si era trasferita in Australia. Neil giunge allo stagno della fattoria, quello che Lettie definiva il suo oceano. E i ricordi di quella lontana estate di tanti anni prima tornano a galla.

Viviamo perciò insieme a Neil l’avventura che ha vissuto quando aveva sette anni e viveva nel Sussex con la sua famiglia. Quando era un ragazzino timido, chiuso e introverso, che passava più tempo sui libri che a fare sport. Quando suo padre affitta una camera a un cercatore di opali e questi per sbaglio investe e uccide Fluffy, il gattino di Neil. Quando anche il cercatore di opali viene trovato poco tempo dopo morto e delle monete cominciano a comparire misteriosamente in giro nei posti più impensabili. Quando Neil conosce Lettie Hempstock e lei gli mostra uno stagno che in realtà dovrebbe essere un oceano ma sembra proprio uno stagno, e una creatura misteriosa decide di voler fare felici le persone.

Neil Gaiman e Terry Pratchett olio su tela.

LA MIA OPINIONE


L’oceano in fondo al sentiero è la dimostrazione che per scrivere un romanzo eccellente non serve una trama complicata, né un cast di personaggi più lungo dell’elenco telefonico, né una lunghezza minima di almeno 500 pagine. Gaiman non fa nessuna di queste cose eppure riesce a scrivere un romanzo straordinario.

L’oceano in fondo al sentiero non è un romanzo per bambini, eppure ha le movenze e l’atmosfera della favola. Si è immersi in un mondo delicato e toccante, visto attraverso gli occhi del protagonista, che sta simpatico fin dalle prime pagine e diventa un compagno inseparabile entro la fine del libro.

Gaiman è davvero abile a tratteggiare la personalità del piccolo protagonista. Credo, e da quello che c’è scritto nei ringraziamenti penso di non sbagliarmi, che l’autore abbia tratto molto dalla propria infanzia e da quello che lui stesso era a quell’età per creare la figura di Neil. Il risultato è un personaggio gradevole e non scontato (a parte per qualche dettaglio), che cresce nel corso della storia. Gaiman fa attenzione ad avere sempre presente che quello che parla è un bambino, e quest’idea influenza anche il linguaggio, che ho trovato più semplice di quello di American gods. Quando saltano fuori dal nulla parole inventate dobbiamo pensare che sia qualcosa di voluto dall’autore per essere coerente con l’età del personaggio narrante.

Una delle cose che funzionava di meno in American gods era la trama. O meglio, se ricordate avevo sottolineato come una volta che si comprendeva il taglio che Gaiman voleva dare alla narrazione allora tutto diventava chiaro, mentre fino a quel momento si rischiava di non apprezzare certe derivazioni della storia e di considerarle come delle inutili diramazioni. Bé, mi sono reso conto che il punto focale della faccenda è che Gaiman si trova molto più a suo agio a gestire un tipo di trama come quella de L’oceano in fondo al sentiero. Qui ci sono pochi personaggi da gestire, ma soprattutto non serve preparare nessun grande evento, o comunque gestire differenti sottotrame. C’è soltanto lo sviluppo principale della vicenda, che prosegue in modo lineare ma non per questo scontato o noioso. La bravura di Gaiman emerge in questo modo in maniera molto evidente e incisiva.

L'atmosfera del romanzo.

Insieme all’atmosfera fiabesca si respira un forte senso di mistero che dà alla vicenda un grande fascino. Le leggi del mondo con cui Neil viene a contatto, i poteri delle persone che incontra, le creature che gli si parano contro, tutto questo non viene mai spiegato in modo esplicito. Possiamo comprendere che delle regole esistono, veniamo perfino a conoscenza di alcune di esse, ma il lettore viene informato solo di quello che accade nella trama perché ad essa è funzionale. Tutto il resto non viene mai rivelato. L’autore gestisce le cose in modo così magistrale che chi legge non ha l’impressione che stia affastellando poteri a casaccio come gli tsubo di Ken il guerriero, ma che esista tutta una serie di norme che esistono e che i personaggi rispettano ma che il protagonista non conosce. Questo effetto non solo desta moltissimo interesse verso i poteri e verso i personaggi che li possiedono, ma evidenzia l’intelligenza di Gaiman e l’accortezza con cui ha pensato il tutto.

L’atmosfera è in assoluto la cosa che colpisce di più del romanzo, oltre a ciò che spinge a continuare la lettura e, giunto verso la fine, mi faceva dispiacere l’idea che finisse. Fate conto che  voltavo le pagine con l’ansia che quella che stavo per leggere fosse l’ultima. Non è una cosa che mi succede spesso, non mi è successa neppure con libri come It o Pan. A memoria d’uomo mi è successo solo con Joyland, che non è che sia nulla di che, ma appunto è caratterizzato da un’atmosfera molto particolare. Stiamo parlando di giusto giusto due anni fa. Non è cosa da poco.

Non mancano i cliché e le cose già viste. Una su tutte la scena iniziale del compleanno di Neil, cui non partecipa nessuno, e la torta con un libro di glassa sopra viene consumata dal ragazzino insieme alla famiglia. È altrettanto cliché la scena che segue, in cui si racconta della passione di Neil per la lettura. È un po’ cliché pure Ursula Monkton, se proprio devo mettermi a spezzare il capello in quattro. Ma il punto è che a conti fatti di questi cliché non frega niente a nessuno, non danno fastidio. Il fiabesco, la delicatezza e la semplicità che caratterizzano storia e narrazione rendono accettabili e piacevoli perfino questi elementi che in qualunque altro contesto, o raccontate dalla penna di uno scrittore meno esperto, avrebbero puzzato di vecchio e già visto.

Inutile dire che la narrazione scorre che è un piacere, il primo giorno che l’ho letto (il secondo lo avevo già finito) sono arrivato a pagina 100 senza praticamente accorgermene. Dovevo preparare un seminario per l’università da presentare la lezione successiva, seminario che avrebbe determinato metà del voto finale dell’esame quindi dovevo dedicargli attenzione e voglia, e invece mi sono trovato a non riuscire a smettere di leggere Gaiman.

Ho trovato anche la presenza dei gatti nella trama un tocco veramente particolare e affascinante. Non perché abbiano un ruolo specifico nella svolgersi delle vicende, anzi, potrebbero proprio non esistere che non cambierebbe nulla. Ma, a parte che l’amore che il protagonista prova per loro è talmente ben reso che solo quello giustificherebbe la loro presenza, trovo che siano un ottimo modo per aumentare il fascino dell’atmosfera. La presenza della gattina contribuisce a intensificare la delicatezza e il mistero di cui ho parlato prima. Sembra un dettaglio, ma senza i gatti il fiabesco che tanto mi ha colpito e ho apprezzato non sarebbe risultato così efficace.

"Un 10! EVVAI!"

IN CONCLUSIONE


Scrivere una recensione di un libro stupendo è una grande soddisfazione. È meglio che scrivere recensioni negative, le recensioni negative riportano brutti ricordi. Quelle molto positive il contrario. Tuttavia, è anche molto difficile, ho sempre l’impressione di non essere riuscito a mostrare del tutto quello che il libro mi ha trasmesso. Sto avendo quest’impressione anche adesso. Potrei ripetere settecento volte che L’oceano in fondo al sentiero è meraviglioso, bellissimo, un romanzo eccellente, ma non vi trasmetterei molto, perché starei raccontando, e invece, come ci insegna qualcuno, bisogna mostrare, non raccontare. Bé, l’unico modo per mostrare sarebbe riportarvi direttamente il libro. Quindi in sostanza il mio dilemma di non riuscire a trasmettere al meglio quanto mi è piaciuto questo romanzo è irrisolvibile, perciò andiamo avanti.

Sul retro della mia edizione di American gods è riportata una citazione di Stephen King a proposito di Gaiman. “Leggere Gaiman è come entrare in una stanza del tesoro piena di storie meravigliose”. Dopo aver letto L’oceano in fondo al sentiero non posso che essere d’accordo con lui. Se lo leggerete troverete mistero, avventura, un po’ di fiabesco, dei personaggi molto ben caratterizzati e a cui è facilissimo affezionarsi, e anche qualche riflessione sulla conoscenza e la vita. Quindi leggetelo. Fidatevi. Io il mio di dargli 10 Cthulhu (se li merita tutti e anche se non fosse così è da poco passato Natale e siamo tutti buoni anche se ancora per poco) l’ho fatto. Ora sta a voi fare la vostra parte e leggerlo. Io sono felice di non sapere tutto, quindi torno a giocare davanti al casale e al cielo, all’impossibile luna piena e le matasse e gli scialli, gli sciami e gli ammassi di stelle lucenti.

VOTO: 

domenica 21 maggio 2017

Recensione - Hunter x Hunter di Yoshihiro Togashi

Che Hunter x Hunter mi piaccia penso non sia un mistero per nessuno. Voglio dire, basta guardare il metodo che uso per dare i voti ai manga per accorgersene. Se ho deciso di parlarne è perché non può mancare su questi schermi la recensione di quello che è a tutti gli effetti il mio manga preferito, la ragione, potremmo dire, che mi ha spinto a leggere manga. Se nel lontano settembre 2007, in vacanza al mare, mia mamma non avesse comprato il volume 18 di Hunter x Hunter per farmi una sorpresa (all’epoca guardavo l’anime su Italia 1), probabilmente ora la sezione manga di questo blog non sarebbe aperta. Quindi questa recensione non vi dirà molto di più sulle mie opinioni di quanto già non sappiate, ma vuole essere un tributo a un manga straordinario. E una viva esortazione a leggerlo.
______________________________________________
Titolo: Hunter x Hunter
Autore: Yoshihiro Togashi
Anno: 1998                                                   
Volumi: 33 (in prosecuzione quando a Togashi viene voglia di lavorare)
Editore: Planet Manga




TRAMA

Gon è un ragazzino che vive con sua zia sull’Isola Balena. Non ha mai conosciuto suo padre Jin, che lo ha abbandonato in fasce per continuare a svolgere il suo mestiere, l’hunter/cacciatore, un lavoro assai ambito che, in parole povere, consiste nell’occuparsi delle questioni più disparate (ecologia, archeologia, cattura dei criminali, scienza, biologia, e quant’altro) ma in modo avventuroso e spesso anche pericoloso: i cacciatori non sono studiosi quanto piuttosto ricercatori sul campo, avventurieri sempre in cerca di nuove scoperte e nuove conoscenze nel loro ambito lavorativo. Il padre di Gon è uno dei più grandi cacciatori del mondo, ed  è per conoscerlo che Gon decide di sostenere l’esame per diventare cacciatore a sua volta. Lungo la strada verso il luogo dell’esame conosce Leolio, all’apparenza superficiale e orgoglioso che vuole essere hunter solo per soldi, Kurapika, freddo e calcolatore che vuole diventare hunter per vendicare lo sterminio del suo clan, e soprattutto Killua, un ragazzino della stessa età di Gon che  nasconde più di un segreto sul suo passato.

L’esame da cacciatore è solo il primo passo che conduce Gon sulle tracce di suo padre, ma è qui che il ragazzino fa la conoscenza di alcune persone che sarà destinato a incontrare di nuovo: oltre al presidente degli hunter Netero, lo spietato e sadico Hisoka.

Hisoka che corre al pc a leggere la recensione.

LA MIA OPINIONE


Sono quasi certo di poter indovinare quello che avete pensato leggendo la trama. È banale. Questo vi siete detti. Non ve ne faccio una colpa. Succede a tutti. Perché è la verità, le premesse sono quanto di più banale io riesca a pensare. È quello che viene dopo che rompe gli schemi.

Hunter x Hunter si distingue dalla maggior parte degli shonen di combattimento per tutta una serie di caratteristiche. Intanto è vero, si combatte ma relativamente poco. Quest’aspetto non è preponderante come in molti altri shonen di successo, in cui i combattimenti sono uno strumento fondamentale per permettere alla trama di proseguire, dove non costituiscono addirittura la trama stessa. In questo momento sto pensando a Le bizzarre avventure di Jojo, ma in realtà ce ne sono molti altri di questo genere. Bé, Hunter x Hunter si distacca da questo modello, e si sviluppa intorno a una trama complessa che accoglie anche delle situazioni tipiche dei thriller: abbiamo i pedinamenti, la consegna degli ostaggi, le trattative con il nemico, ma anche le prove psicologiche, gli agguati, i personaggi che si infiltrano nel covo del nemico, e quant’altro. La tensione diventa in questi momenti palpabile, fuoriesce dalla pagina e conquista il lettore. Quando ci sono combattimenti, sono più che altro l’esito della situazione, il momento culminante di una vicenda che non può che concludersi così. In Hunter x Hunter non capita quindi sempre che qualunque situazione si risolva a mazzate, ma spesso le cose prendono direzioni più complesse. Senza contare che Togashi respinge quel modulo tipico dello shonen (di cui ho parlato anche nel post di qualche tempo fa) che prevede che i combattimenti siano tutti uno contro uno, anzi, capita spesso che un personaggio solo si ritrovi ad affrontare più di un avversario contemporaneamente. Quando ci sono i combattimenti uno contro uno, questa situazione riceve una spiegazione realistica e sensata, che di solito è che separare degli alleati rende la vittoria più facile che se si combattesse in gruppo, e non “questo è il suo combattimento”, come invece succede sempre, per esempio, in Bleach.

In secondo luogo, i personaggi hanno una psicologia complessa e approfondita. Scordatevi le macchiette alla Hiro Mashima o i classi personaggetti da shonen senza infamia e senza lode. In Hunter x Hunter ognuno ha la propria personalità, e molti subiscono una crescita non indifferente nel corso della storia. Posso citare molti esempi ma quello più convincente è Killua, che, se all’inizio pare molto sicuro di sé, si rivela invece come uno dei personaggi più fragili della storia, ed è costretto a prendere tutta una serie di mazzate dalla vita prima di riuscire a tirare fuori la grinta e a smettere di fuggire di fronte alle difficoltà.

Non fidatevi di Hisoka se vi chiede una mano..

I rapporti tra i personaggi sono descritti in modo magnifico. L’amicizia tra Gon e Killua è sincera e sfaccettata, è un’amicizia vera, reale, una di quelle che potremmo vedere nella vita di tutti i giorni. Un’amicizia non priva di ombre come si scoprirà con il procedere della storia, ma che comunque riesce a mantenersi salda e alla fine diventa occasione di crescita per entrambi. Se all’inizio, come Gon stesso ammette, lui è quello impulsivo mentre Killua quello con la testa sulle spalle, presto le cose non si riveleranno così bianche e nere e sarà proprio questa un ottimo momento per tutti e due per riparare a certi propri difetti.

Mano a mano che la storia prosegue il numero di personaggi aumenta in modo esponenziale, e Togashi riesce a renderli tutti ben caratterizzati. Sono veramente pochi i personaggi privi di personalità e piatti come una sagoma di cartone, i più sono davvero ben fatti. Anche quando Togashi introduce tanti personaggi in un colpo solo poi si prende la briga di soffermarsi su ciascuno di loro e descrivere bene il suo carattere. Ne sono un esempio le formichimere, che, nonostante siano davvero molte e siano pure dei nemici, quindi un qualunque altro autore di shonen non avrebbe esitato a caratterizzarli in modo stereotipato e sbrigativo, hanno invece personalità sfaccettate e a volte anche non scontate.

Già che ci siamo dico due parole sugli antagonisti. Una delle cose ottime di Hunter x Hunter è che gli antagonisti non sono cattivi cattivoni che vogliono conquistare il mondo perché sì, né persone pronte a farsi le scarpe l’uno con l’altro, o esseri crudeli che uccidono i loro compagni come mosche e poi sghignazzano davanti ai loro cadaveri. Prendiamo ad esempio la Brigata Fantasma. I membri della Brigata sono uniti da un legame solido e sincero, sono tra di loro amici, non semplicemente compagni. Non sono cattivi in assoluto, anzi, viene spesso mostrato il loro lato umano e solidale. Con questo non intendo dire che viene mostrata la loro triste storia che li ha resi cattivi, perché questo, oltre che essere di suo qualcosa di già visto, servirebbe ad attirare la pietà dei lettori ma li dipingerebbe come cattivi. I membri della Brigata invece piangono per i propri compagni, scendono a patti con i nemici per loro, scherzano, si prendono in giro, sono leali e fedeli. Questi loro sentimenti sono descritti così, come vengono descritti quelli dei protagonisti. Un personaggio come Pakunoda è di gran lunga più umano e di animo gentile di Kurapika, che è uno dei protagonisti eppure è peggiore di lei. E questo avviene in modo naturale, non c’è un’enfatizzazione da parte di Togashi del capovolgimento dei ruoli, non c’è bisogno di sottolineare questa differenza (come invece avverrà nella saga delle formichimere, ma questo per altri motivi). Sia Kurapika che Pakunoda sono persone, e in quanto tali nessuno di loro due è perfetto, e soprattutto non è scritto da nessuna parte che Kurapika debba essere migliore solo perché è un protagonista.

Hisoka mentre lancia iper raggio.

Come logica conseguenza di quello che ho appena detto, bene e male non hanno un confine netto e definito. I protagonisti non agiscono nel giusto necessariamente, e nella saga delle formichimere, quando a venire protetto è l’interesse di un paese invece che quello del gruppetto di Gon e compagni, questo diventa chiaro. La figura del Re delle formichimere ha questo come solo scopo, capovolgere del tutto la figura del nemico malvagio che vuole conquistare tutto, trasformandola in quella di un sovrano illuminato, che si trova a scontrarsi contro i protagonisti che, volendo mantenere l’ordine costituito, di fatto rinunciano a intervenire sulle contraddizioni e le ingiustizie della società. L’uomo è malvagio e questa malvagità risiede in lui naturalmente è la banale conclusione, ma non è banale il suo raggiungimento, il modo in cui viene presentata e l’operazione che viene effettuata attraverso i personaggi. Non è banale di suo ed è ancora meno banale in uno shonen. Il Re è poi un gran personaggio, approfondito e caratterizzato, la cui crescita interiore è descritta in modo stupendo, tanto quanto il suo rapporto con Komugi, la ragazzina che gli farà capire nuove cose sugli esseri umani. Anche le tre guardie reali contribuiscono a questo capovolgimento, e sono tra l’altro tutte e tre dei personaggi molto ben riusciti, ma la figura del Re è decisamente più incisiva.

La trama, a parte all’inizio, non è affatto banale. È imprevedibilie e coinvolge il lettore con grande facilità. Molto tempo è dedicato ai ragionamenti e alle strategie, ma anche, in particolare nella saga ora in corso, alle discussioni burocratiche e ai rapporti tra paesi. Riesce a essere originale tanto che a partire da un certo punto Gon passa in secondo piano, un’intera saga ha Killua per protagonista con Gon relegato a figura che non ha alcuno svolgimento attivo nello sviluppo della storia pur essendo fondamentale, e poi nell’ultima, quella in corso, addirittura appare soltanto in un capitolo, e in maniera molto marginale. È chiaro che a Togashi un protagonista troppo shonen come Gon sta stretto (riesce a gestire molto meglio Killua, la cui psicologia evolve in modo perfetto), e per questo lo ha fatto passare in cavalleria rispetto ad altri personaggi che invece gli vanno più a genio. Di certo Gon riapparirà in qualche modo, e sono davvero curioso di sapere come.


Dicevo che i combattimenti non sono una parte fondamentale della trama. È vero, ma va aggiunto altro: sono del tutto basati sulle strategie. Infatti, manco a dirlo, i combattimenti di Hunter x Hunter mi piacciono tantissimo. Ce ne sono alcuni pazzeschi, ma sul serio, non sono brillanti come quelli di Jojo, nel senso che quelli di Jojo, sono sempre assurdi e strani, ma sono coinvolgenti, dannazione, ed estremamente geniali e ben realizzati. Sto pensando al combattimento tra Quoll e Hisoka raccontato nei capitoli che non sono ancora stati raccolti in volume, gente, quello è straordinario. I combattimenti di Hunter x Hunter sono il massimo, non ne troverete di migliori da nessun altra parte. Sul serio. Tra l’altro, anche qui, come in molti altri shonen, i personaggi hanno poteri particolari. Qui sono chiamati Nen, ovvero in poche parole una specie di forza vitale. Il Nen è però diverso dai poteri tipici shonen. Intanto, è molto più articolato e caratterizzato, ha moltissime regole e moltissimi utilizzi che vengono tutti spiegati. Non è come l’aura di Dragon Ball, per dire, con cui alla fine ci puoi fare quello che vuoi, da lanciare onde energetiche a trasformare la gente in caramelle. Il Nen ha dei confini ben precisi, ma questo lo rende paradossalmente molto più interessante, perché il lettore stesso può seguire quello che sta succedendo cercando di indovinare in quale modo i personaggi faranno per ostacolare i poteri avversari. L’autore dimostra la sua bravura proprio così, facendo delle regole un punto di forza, e delle limitazioni un mezzo per coinvolgere il lettore.

Una cosa va nominata, ed è una nota dolente. I disegni sono scostanti. A me il tratto di Togashi piace, ma obiettivamente spesso non sono il massimo. Quelli usciti su Shonen Jump in certi punti sono proprio osceni. Questo è dovuto un po’ ai problemi di Togashi, che soffre moltissimo i tempi stretti della pubblicazione. Io nella scheda iniziale facevo ironia su questo, comunque è indubbio che Togashi abbia dei problemi reali. Certo, qualcuno la chiama svogliatezza. Può essere, io non lo credo, penso solo che sia un buon modo per fare battute, ma di certo non rispecchia una situazione reale.

A volte però a rendere brutti i disegni non sono i problemi dell’autore. Per esempio, il capitolo 337 ha dei disegni pessimi, ma in questo caso io sono sicuro che sia una scelta voluta. Ragioniamo. Il capitolo 337 contiene un complicato discorso sull’anima, sulla vita, sulla redenzione e sulla possibilità o meno di cambiare la propria vita. Quindi porca miseria, e sì, mi arrabbio perché ho letto gente che criticava questo capitolo in ogni modo possibile, se Togashi lo ha disegnato male non è perché non ne aveva voglia, per una volta non è per quello, è perché voleva che il lettore si concentrasse sui contenuti. Si vede, gente, si vede palesemente, alla fine c’è perfino una tazza con i bordi storti, ci mancava solo che scrivesse all’inizio “GUARDATE CHE L’HO FATTO APPOSTA”! Perché se la saga delle formichimere ha dei significati, sono contenuti tutti nel dialogo tra il Re e Netero e in questo capitolo. E anzi, visto che il capovolgimento delle prospettive di bene e male è operato un po’ ovunque nel corso della storia, oserei dire che la redenzione e la possibilità di cambiare la propria vita è il tema principale della saga delle formichimere, un tema che emerge abbastanza tardi, è vero, ma è sufficiente. Che cosa fa il Re, se non trovare un senso alla sua vita? Che cosa fanno Yupi e Wapf, se non trovare un senso alla loro vita? Che cosa fa la formi chimera Koala, se non trovare un senso alla sua vita? Certo, ciascuno di loro lo fa in un modo diverso, chi lo trova nell’accettazione dell’altro, chi nell’amore e nella devozione, chi nella sincerità e nel lavoro faticoso di riparazione ai propri errori.

Alla fine Hunter x Hunter è proprio questo. Un fumetto che parla di avventure, di azione, di combattimenti, di misteri, che rifugge le divisioni e i giudizi facili per offrire una visione delle cose problematica e grigia, ma anche che mano a mano che prosegue vuole parlare della vita e della crescita. Io voglio essere come Jin, lo so che non è una brava persona, ma è sempre alla ricerca di qualcosa, di un obiettivo. Sa come godersi la vita, sa come seguire la propria strada e sa che in ogni cosa si può trovare uno stimolo per andare avanti. Ed è a questo che esorta Gon: a trovare la propria via, raccogliendo sempre nuovi sproni, nuove cose che vale la pena conoscere, nuova bellezza e nel frattempo crescere. La curiosità è la cosa che caratterizza la maggior parte dei personaggi di Hunter x Hunter, da Hisoka a Jin a Netero al Re e a tanti altri. Alla fine, questo è quello che può dirci. Siate curiosi, mettetevi a prova. Scoprirete sempre qualcosa di nuovo. Dietro ogni curva c’è qualcosa di ancora più interessante che potete conoscere.

      IN CONCLUSIONE

Ho già parlato troppo. Ma il fatto è che Hunter x Hunter è spettacolare, e non lo dico solo perché per me ha un enorme valore affettivo. Anche per quello, ma anche perché davvero merita molto. Perciò seguite il mio consiglio. Leggetelo. Spendete bene quel poco di tempo libero che avete e non resterete delusi, non potrete far altro che farvi conquistare da Gon e dal suo mondo, dall’amicizia sua e di Killua, dalla crudeltà di Hisoka, dall’umanità del Re delle formichimere, dal mondo così realistico e al tempo stesso magico che prende vita nelle pagine di questo fumetto.

IL GIUDIZIO DI HISOKA:

mercoledì 8 marzo 2017

Recensione - La Torre Nera di Stephen King (Torre Nera #7)

Siamo giunti al gran finale. Chi se lo aspettava, eh? Io no di sicuro, a un certo punto mi ero convinto che le recensioni della Torre Nera sarebbero rimaste ferme a metà. Fortunatamente non è così, e quindi potete avere anche voi lo stesso onore di Eddie, Susannah, Jake e Oy, lo stesso onore che ho avuto io e che hanno avuto tanti altri Fedeli Lettori in tutto il mondo. Seguire Roland fino alla fine, fino in cima alla Torre per scoprire che cosa essa ha in serbo per il pistolero.

Parlare non serve. Immergiamoci nella storia.
_____________________________________
Titolo: La Torre Nera
Autore Stephen King
Anno: 2004                                                         
Editore: Sperling & Kupfer
Pagine: 803




TRAMA 

Siamo alle battute finali della storia. Padre Callahan, Jake e Oy si infiltrano nel Dixie Pig per salvare Susannah e impedire la nascita di Mordred, figlio di due padri (Roland e il Re Rosso) e di due madri (Mia e Susannah). Ancora separato da Roland ed Eddie, e presto diviso anche da padre Callahan, che si ferma a combattere i vampiri per coprirgli le spalle, Jake si trova a introdursi solo con Oy nella tana del nemico, dovendo affrontare il ka-tet dei suoi scagnozzi.

Nel frattempo Roland ed Eddie si trovano ancora nel Maine, nel quando in cui hanno incontrato Stephen King. e devono ritornare al più presto a dare man forte al resto del ka-tet. Non prima, naturalmente, di essersi assicurati che il terreno con la rosa, il terreno che ospita uno degli ultimi Vettori ancora in piedi, possa ricevere protezione e difesa dagli uomini del Re Rosso e dall’associazione che questi controlla e attraverso la quale agisce nel mondo che noi tutti conosciamo. 


LA MIA OPINIONE


Leggete La Torre Nera. Qualunque giudizio io possa esprimere qui in questa recensione sarà sempre e comunque riduttivo rispetto a quello che è il libro. Leggetelo perché è un’esperienza che non vi capiterà più nella vita. Questo è il vero Stephen King, lo stesso di It, lo stesso di Misery, quello che sconvolge, che fa amare i personaggi come amici di vecchia data, che si fa odiare per quello che succede nella storia, quello che conquista e non lascia andare, che apre mondi dai quali non vorresti andare mai via, che fa compiere viaggi verso confini che mai nessuno avrebbe immaginato, che ti porta in cima alla Torre Nera solo per farti scoprire che c’è ancora una porta da attraversare.

Ho adorato questo libro. L’ho adorato pur detestando quello che succedeva in certi punti, pur avanzando a stento in certi altri che proprio non volevo leggere, pur trovandomi avvolto da cappe di malinconica solitudine mano a mano che proseguivo con la storia.

Qui non c’è un racconto, c’è la vita gente, i personaggi sono così vivi che ti sembra di averli vicino. Ti sembra di essere davvero a Fine-Mondo, a Fedic, nel Maine, davanti alla Torre Nera. Non c’è nulla di più vero di quello che prende prepotentemente vita dalle pagine di questo romanzo.

La lettura è qualcosa di strano, che ha fatto nascere in me emozioni contrastanti e che non ho molto cercato di conciliare. Da un lato avevo una voglia pazzesca di continuare, di non staccarmi mai dalla pagina per non spezzare l’incantesimo, di interrompere all’improvviso quell’assurdo viaggio a Contezza accanto a Roland che stavo conducendo attraverso le parole di Stephen King. Dall’altro però leggere diventava sempre più difficile mano a mano che la trama proseguiva, ogni evento era come un pugno in faccia. Non aspettatevi lieti fine gratuiti o risoluzioni facili, tutto ciò che può andare male va male e quel senso di vuoto che ti rimane nello stomaco quando dici addio agli amici più cari non vi lascerà mai dall’inizio alla fine.


Molto spesso emergono nella storia all’improvviso momenti malinconici che danno un sapore dolce alla lettura. Come quando tornano alla mente ricordi di tanti anni fa, e ci si culla nella loro serenità, così succede in certi punti del libro. L’esempio più lampante e più genuino, più evocativo e intenso, è proprio all’inizio, quando la tartarughina d’avorio di Padre Callahan viene paragonata alla barchetta di George Denbrough, che esce per sempre dalla storia alla fine del primo capitolo di It.

La trama è davvero ben realizzata. All’inizio pensavo che King avesse deciso di concentrare troppe cose nel volume finale, mentre avrebbe fatto meglio a dilazionare anche all’interno del sesto la risoluzione di qualche nodo principale. In realtà mi sbagliavo, le vicende si seguono in modo magnifico in un crescendo di tensione sempre maggiore e a ciascun evento è dedicato lo spazio necessario. Nonostante siamo al volume finale viene introdotta ulteriore carne al fuoco, e questo è bene, perché rende ancora più palpabile la tensione. Smettere di leggere diventa impossibile, le pagine sono un vortice di eventi che intrappola e trascina fino alla fine. I dolori di Roland e del ka-tet sono i dolori del lettore, e lo stesso vale per le gioie.

Viene introdotto un discreto numero di nuovi personaggi. Poi visto che stiamo leggendo un libro di Stephen King e non Bleach tutti questi personaggi sono ben caratterizzati. Una menzione va a parer mio a Pimli, il capataz di Algul Siento (il luogo dove sono tenuti prigionieri i Frangitori), che non è semplicemente un cattivone versione 2.0 ma ha una personalità precisa e anche con le sue particolarità. È un umano in mezzo ai mostri e a persone con poteri paranormali e si vede, si vede eccome!

Volete sapere di un personaggio che invece è particolarmente insignificante? Il Re Rosso. Appare venti pagine scarse e non fa niente se non attaccare Roland. Di solito l’antagonista finale si suppone che abbia una personalità un po’ più sfaccettata, ma bisogna anche considerare un fatto di importanza non trascurabile. Il Re Rosso è sì l’antagonista principale, ma diciamoci la verità: a chi fregava, mentre leggeva, sapere se sarebbe stato sconfitto, e a chi invece fregava arrivare finalmente in cima alla Torre Nera? La Torre batte decisamente il Re per quanto riguarda interesse e importanza, e questo lo riconosceva anche Stephen King. Per questo motivo a mio avviso non ha speso troppo tempo per caratterizzarlo in qualche modo particolare, perché alla fine della fiera quello che importava era ben altro.


Questa è senza ombra di dubbio la degna conclusione che la serie meritava. Un romanzo in cui vengono risolte tutte le questioni aperte (compresa quella con Randall Flagg, ancora in ballo da L’ultimo cavaliere) ma che contemporaneamente offre nuovi dubbi e nuove domande, che aggiunge molti elementi nuovi al mondo di Roland e che allo stesso tempo riesce a creare forti collegamenti con romanzi di Stephen King che lo hanno preceduto. È il punto di incontro di tutto l’universo che King ha creato nel corso del suo lavoro di scrittore, il centro attorno al quale vortica la sua fantasia.

Un senso di smarrimento vi accompagnerà per la lettura aumentando sempre di più mano a mano che proseguite, e quando arriverete al finale sentirete sulle spalle anche voi il peso del lungo viaggio, rimarrete desolati davanti a ciò che sta succedendo e alla fine non potrete che convenire che, come dice Stephen King stesso, che sia bello o brutto, originale o banale, quello non poteva che essere l’unico finale della serie.

A dirla tutta esistono due finali, uno dedicato ad alcuni personaggi, un altro ad altri. Entrambi sono intensi, inaspettati (specialmente il secondo!) e coerenti con tutto il resto. Non credo che qualcuno al mondo abbia ascoltato l’invito di Stephen King scritto tra il primo e il secondo finale, per quanto fosse molto sentito. Insomma, dopo sette volumi non si può non volere arrivare in fondo!

Volevo infine approfittare di questo spazio per dire due parole sulla serie in generale, ora che siamo giunti all’ultima recensione. La saga della Torre Nera ha alti e bassi, questo lo sapete. Il primo libro detiene la medaglia d’argento come peggior libro recensito finora su questo blog, l’ultimo al contrario è tra i migliori. Ma questo non importa, perché gli alti non soltanto controbilanciano i bassi ma anzi, ne avanza per i beati. La Torre Nera non è una saga epica nel senso che segue vicende che hanno luogo per centinaia di migliaia di anni in una terra fantastica, né perché ha come protagonisti un gruppo di eroi votati al bene per principio. È assai distante, almeno sotto questo punto di vista, dal fantasy in stile Tolkien, nonostante questo resti un modello dichiarato e imprescindibile. Tuttavia è epico perché racconta la storia di cinque figure grandiose, cinque persone che si imprimeranno nel cuore del lettore come se questi li conoscesse da una vita, che sono molto più vive di tanti che si credono vivi e che invece si limitano ad occupare spazio. Il più grande punto di forza della serie è proprio il ka-tet, l’amicizia (anche se parlare di amicizia è riduttivo, il ka-tet è molto di più!) tra Roland, Jake, Oy, Susannah ed Eddie. Dopo viene tutto il resto.

La trama prosegue in modo discontinuo e affatto calcolato, ma non è importante. La scrittura è straordinaria. Leggetela, fidatevi, leggetela, e non ne resterete delusi. Viaggerete nei mondi più disparati, vivrete vite che mai avete immaginato al fianco dei vostri compagni più fedeli, che non vi lasceranno mai. Siete ka-tet, siete uno di molti. Questa è la vostra forza.

Zio Steve dopo aver visto il voto in fondo all'articolo.

IN CONCLUSIONE


Dico la verità, mi dispiace concludere questo gruppo di recensioni, mi ha permesso di trascorrere ancora un po’ di tempo insieme al mio Dihn Roland e agli altri. Mi ha anche permesso di riscoprire che cosa ho amato di questa serie e di cercare di trasmetterne un po’ anche a chi mi legge. So di non esserci riuscito, ma perché l’unico modo per capire davvero che cosa sia la saga della Torre Nera è leggerla.

Voglio infine ringraziare Stephen King per aver scritto questi libri. Non lo faccio perché spero che mi legga, è ovvio che non mi leggerà mai, ma lo ringrazio lo stesso, perché se ho potuto sognare per un po’ è tutto merito suo.

A Stephen King io dico grazie.

Lunghi giorni e piacevoli notti.

VOTO:

lunedì 29 agosto 2016

Recensione - Nausicaa della Valle del Vento di Hayao Miyazaki

Tutti conoscono Hayao Miyazaki. È impossibile che chi legge manga e guarda anime non abbia mai sentito parlare dello Studio Ghibli o non si sia mai imbattuto in uno dei suoi film, magari finendo per apprezzare il tratto morbido dei suoi disegni, l’intensità dei colori, la carica emotiva che emana da ogni fotogramma e una poetica profondità concettuale che svela dietro l’apparenza spesso infantile una grande riflessione. Ecco, tutti conoscono questo. Ma c’è una cosa che in pochi conoscono e suppongo che interessi a tutti: a me piace moltissimo. I film sono splendidi (come immagino non si sia capito dalla mia tirata di prima), sono profondi, semplici e intensi allo stesso tempo. Ogni film è un capolavoro, un raccoglitore di emozioni che si dipanano tra colori e figure.

Miyazaki non si è occupato soltanto di film, ha alle spalle anche un manga, Nausicaa della Valle del Vento (da cui poi ha tratto, con forti ridimensionamenti, uno dei suoi primi film, dal titolo omonimo, e che tra l’altro ha ricevuto giusto poco meno di un anno fa un nuovo doppiaggio italiano). Planet Manga ha alcuni anni fa portato in Italia Nausicaa. Io l’ho letto, e l’ho anche riletto recentemente per poterne parlare qui. La lettura vale la pena? Miyazaki è bravo a disegnare manga quanto è bravo a dirigere film? La smetterò con le domande retoriche e comincerò con la recensione?

Nausicaa ci dà l'ok
_______________________________________________
Titolo: Nausicaa della Valle del Vento
Autore: Hayao Miyazaki
Anno: 1982                                                      
Volumi: 7
Editore: Planet manga




TRAMA

Sono passati mille anni da quando una gigantesca guerra ha devastato la società, facendone regredire di molto la tecnologia. Ora nel mondo restano soltanto i resti delle antiche modernità, che risultano quasi un mistero per le persone, in particolare perché i loro poteri distruttivi non sono ben chiari e controllabili.

Oltre alle tecnologie abbandonate, del vecchio mondo rimane un enorme foresta, chiamata Mar Marcio, inaccessibile alle persone senza l’uso di maschere antigas a causa dei miasmi tossici emanati da piante e funghi. Nel Mar Marcio vivono creature bizzarre e pericolose come i Vermi Re, enormi insetti che quando si infuriano si lanciano in una marcia impazzita che devasta tutto ciò che incontra.

Nausicaa è la principessa della Valle del Vento, un piccolo stato protetto dai miasmi dalle montagne che lo circondano. Un giorno approda nella Valle del Vento una aeronave in fiamme, che si schianta al suolo ed esplode. Tra i resti Nausicaa trova una ragazza, proveniente da Pejite, che le affida il suo ciondolo, raccomandandole di consegnarlo soltanto a suo fratello Asbel, e di proteggerlo dalle mire dello stato di Tolmekia. Da quel momento, Nausicaa si troverà coinvolta in eventi molto superiori a lei, finendo a prendere parte alla guerra tra Tolmekia e Dorok, per poi scoprire così, nel tentativo di salvare tutte le nazioni dall’autodistruggersi, gli oscuri misteri del passato dimenticato.

LA MIA OPINIONE


Che Nausicaa della Valle del Vento mi sia piaciuto un sacco non mi pare un segreto per nessuno. È un fumetto splendido, che conquista fin dall’inizio e trascina con pochissime pause narrative verso evoluzioni inaspettate degli eventi fino al climax finale.

Miyazaki, come del resto dimostra ampiamente nei film, è in tutti i sensi un maestro della narrazione. Il plot principale si divide ben presto in diverse sottotrame che riguardano personaggi diversi e che si intrecciano spesso in maniera indiretta o soltanto verso la loro conclusione, e ciascuna di queste sottotrame è gestita in modo esemplare: innanzitutto le viene dedicato il tempo che serve, quindi non troverete mai aspetti trascurati perché l’autore voleva parlare di altro, oppure situazioni sciolte velocemente perché non riguardano la protagonista. Ogni personaggio ha la sua importanza nello svolgersi degli eventi che lo riguardano, e infatti capita spesso che per molte pagine Nausicaa sia messa da parte per parlare di altro. Certo, poi tutto quello che viene narrato in questo modo avrà influenze sul plot principale di Nausicaa, ma sta di fatto che conosco autori che avrebbero dedicato a questi elementi secondari molta meno importanza e molte meno pagine, sminuendoli in importanza e in coinvolgimento.

Kurotowa, un personaggio tutto sommato marginale ma non per questo mal fatto
Anche per via di questo intrecciarsi di sottotrame, seguire tutto il plot non è semplice per nulla. Sia perché spesso tra un evento e l’altro ci sono stacchi narrativi che non vengono spiegati ma soltanto lasciati intuire dalle parole dei personaggi, sia perché spesso ci sono inaspettati cambi di scena (per esempio durante le battaglie con le aeronavi, quando si passa da un’aeronave all’altra senza che il lettore sia avvertito in alcun modo) che possono generare non poca confusione. Diverse spiegazioni per eventi che accadono vengono date molto dopo in maniera indiretta oppure lasciate intendere. Inoltre a tratti viene tirata in ballo la politica (spesso con riferimenti ai singoli regni) e le questioni militari, che arricchiscono il tutto di precisione e accuratezza.

E a proposito di accuratezza, è da lodare Miyazaki nell’attenzione che rivolge ad ogni piccolo dettaglio relativo a situazioni o persone. C’è il popolo con una determinata struttura sociale (tipo Dorok), ci sono le varie leggende che appaiono sotto forma diversa in ciascuna nazione, c’è Tolmekia che ha una determinata suddivisione dell’esercito e una determinata strategia militare e Dorok che invece agisce diversamente. Anche i combattimenti con le aeronavi sono ricchi di dettagli di strategie e sulla struttura con cui sono costruite. Insomma, nulla è lasciato al caso, ogni singola cosa detta o mostrata rientra nel grande mosaico del mondo che Miyazaki ha costruito. Ne deriva che non si ha la sensazione che l’autore crei la trama mano a mano che essa si sviluppa (che poi non è necessariamente un male, qualcuno ha detto Stephen King?), anzi. Si capisce fin dall’inizio che esiste un disegno preciso che viene portato a compimento.

La mappa del mondo
La precisione di cui ho parlato si riscontra anche nel disegno, che è spettacolare. Non nel senso in cui lo può essere il disegno di Kentaro Miura, ha tratti più morbidi (come del resto in generale ha Miyazaki), ma è dettagliatissimo. Scordatevi fondali bianchi, oppure scene confusionarie o incomprensibili, è tutto chiaro, semplice e allo stesso tempo complesso, perché ogni angolo delle vignette è curato all’estremo. Questo dà ovviamente più gusto alla lettura, fa piacere soffermarsi a cogliere gli aspetti anche più nascosti e meno visibili di un luogo o di un oggetto. Aggiunge realismo, credibilità e aumenta l’interesse nel lettore.

Il senso che traspare da tutto ciò è una forte epicità. Le grandi battaglie, i grandi personaggi, le situazioni, ogni cosa si staglia come un gigante nella mente di chi legge. Mentre si prosegue pagina dopo pagina si ha la sensazione di stare leggendo qualcosa di solenne e sublime, come un’antica leggenda dei tempi che furono.

Ottima è anche la gestione dei tempi narrativi, e lo stile della narrazione, che ad essi viene adattato. Miyazaki rifugge i modi banali per far sì che la storia prosegua sciolta e appassionante, come per esempio i cliffhanger, ma si affida alla propria abilità di sceneggiatore. Vengono alternati in modo sapiente momenti più distesi, dove la narrazione si svolge attraverso vignette numerose e con molti discorsi, e momenti dove la tensione aumenta, e le vignette diventano più rapide, con dialoghi più radi e un forte dinamismo. Molto spesso inoltre, nelle scene dove la tensione deve raggiungere il picco massimo, azioni dinamiche vengono bloccate come in una fotografia. Sono momenti di stacco dove l’azione viene colta nel suo svolgersi e cristallizzata. Sono momenti potenti che coinvolgono e suscitano emozioni forti di fronte agli eventi che mostrano.

Quindi sì, la sceneggiatura è ottima, la trama è ottima e ottimamente gestita, i dettagli sono curati con un’attenzione che diventa quasi maniacale. Quello su cui forse si può muovere qualche critica è la creazione dei personaggi, che non sempre è buona quanto il resto. Per quanto riguarda la protagonista Nausicaa, è effettivamente ben caratterizzata, ed è anche un personaggio che riesce a conquistare il lettore. È fin troppo perfetta, quello sì, ma bilancia questo con una personalità estremamente umana, generosa, semplice e sensibile, e al tempo stesso forte e granitica. Un personaggio protagonista di scene poetiche e molto delicate, che in uno scenario di guerra e violenza sono come un raggio di sole. Memorabile la scena del primo volume in cui, dopo aver dovuto dare fuoco a un albero affetto dai miasmi, Nausicaa contempla il tronco ormai arso e morto e desidera di non essere la figlia del capo villaggio (nonché l’ultima rimasta viva), per non essere costretta a trovarsi a fare queste cose, con la consapevolezza che a causa del suo ruolo dovrà sobbarcarsi incombenze ben peggiori. Il tutto seduta su un prato di fronte a un laghetto, a piangere per l’albero morto. Più in generale, non si può finire di leggere i sette volumi senza provare per lei un misto di ammirazione, comprensione e affetto. È un personaggio vivo e credibile, che fa pensare che di persone così ce ne vorrebbero anche nel mondo reale!


Non si possono purtroppo decantare allo stesso modo le lodi degli altri personaggi. Non che siano pessimi, non voglio dire quello, non sono sagome di cartone. Però non reggono il confronto con Nausicaa. Abbiamo il sommo Yupa, amico di Nausicaa e di suo padre, saggio, previdente e intelligente, abile e veloce nel pensare e agire, con grandi doti diplomatiche. Poi Kushana, la principessa di Tolmekia, severa, rigida e spietata ma anche furba e strategica. Insomma, come vedete non sono mal caratterizzati, però appunto, non hanno quella complessità perfetta del personaggio di Nausicaa.

Come chi ha visto almeno un film di Miyazaki sa bene, dietro a ogni storia c’è un significato o una riflessione. Nausicaa della Valle del Vento riassume in sé la maggioranza delle istanze che Miyazaki porterà avanti nei film successivi. Mi soffermerò qui su quelle principali, ma ci sarebbe molto altro da dire.

Le tematiche ambientaliste sono il primo motore della storia: il mondo post apocalittico in cui si svolge il racconto è in crisi ambientale, e fin dall’inizio gli uomini si lamentano di questo. Con mano a mano che la trama prosegue i personaggi realizzeranno piano piano che ha poco senso incolpare la natura della sua ostilità, ma l’unico colpevole è l’uomo, che ha sconvolto gli equilibri ambientali. Dove l’uomo vede ostilità la natura semplicemente si sta purificando. Non è la natura che è fatta contro l’uomo, è l’uomo che ribellandosi non la comprende e cerca di uscirne, ma non essendo ciò possibile non può fare a meno di scontrarsi con lei.

La crudeltà della guerra è condannata fin dall'inizio, insieme alla pericolosità di lasciarsi andare ai propri peggiori istinti, che hanno l’unico effetto di condurre alla violenza. Nausicaa stessa, nonostante sulle prime sperimenti in lei una forma di rabbia che neppure pensava di avere e che la porta a combattere con più ferocia di quanta lei stessa desideri, comprenderà l’insensatezza di questo suo sentimento e comincerà a desiderare la fine dei conflitti. La guerra e la violenza sono insensate perché portano all'autodistruzione, e Miyazaki veicola attraverso Nausicaa questo suo messaggio di pacifismo.


[SPOILER]Ma il messaggio forse più grande che il manga vuole trasmettere, lo stesso che non a caso è espresso in Si alza il vento, l’ultimo film di Miyazaki. Ho deciso di metterlo sotto spoiler perché appunto è questo il significato complessivo di tutti e sette i volumi, che è intuibile poco a poco nel corso della storia, ma viene poi enunciato da Nausicaa stessa alla fine del fumetto contro il sacerdote nella cripta. Conoscerlo senza aver letto il manga significa davvero rovinarsi la lettura. Questo messaggio è una forte e al tempo stesso disillusa esortazione alla vita. Le ultime parole pronunciate alla fine del fumetto da Nausicaa stessa sono “dobbiamo vivere”. L’opera tutta di Miyazaki esorta alla vita, ma non in maniera superficiale o idilliaca. Come Nausicaa dice nel suo confronto con i sacerdoti, le persone non sono perfette, non funzionano, hanno difetti e sbagliano. E a lei, come a Miyazaki, va bene così. La vita, lei urla, è luce che splende nell’oscurità. La vita è come l’uomo, è sbagliata, è imperfetta, è cattiva. Ma vivere sul serio significa accettare tutto questo e continuare con le proprie forze a lottare per quello che si crede, consci che la ricerca della perfezione è stupida ed inutile. La vita è appunto errore e correzione, cercare la perfezione e così disconoscere gli errori significa aver dimenticato che cosa significhi vivere. La vita è movimento, la perfezione è stasi, e la stasi è morte.[SPOILER]

Come si può vedere dunque, tutto ciò di cui si parlerà nei film successivi conterranno in parte i temi che in Nausicaa della Valle del Vento sono trattati in modo puntuale. Darsi alla sua lettura può essere dunque un modo per riflettere su argomenti che ci riguardano nel profondo. Oltre che naturalmente un passo obbligato per chi vuole conoscere Miyazaki.
Hayao felice per la recensione positiva.
Aveva bisogno di pubblicità.

IN CONCLUSIONE


In poche parole, Nausicaa della Valle del Vento è uno dei manga più belli che io abbia mai letto. Intenso, poetico, coinvolgente e potente, in grado di raccontare con abilità una grande storia. Non è una lettura semplice, come del resto sapeva bene e teneva a sottolineare Miyazaki stesso, tuttavia una lettura che davvero consiglio vivamente. Non ne resterete delusi, anzi, vi troverete di fronte a una delle più importanti opere d’arte degli ultimi anni.

IL GIUDIZIO DI HISOKA: