The Well of Ascension è stato il primo romanzo di Sanderson che non ho letto per intero in ebook. Ho proprio sentito il bisogno di averlo cartaceo, e questo è di sicuro indice del fatto che era in quel momento che mi stavo rendendo conto di quanto iniziasse a piacermi Sanderson. Per la cronaca, esiste un bellissimo cofanetto della prima trilogia di Mistborn nell’edizione inglese che costa relativamente poco e che consiglio vivamente, anche a livello estetico. Dovreste vederlo, come domina su tutti gli altri libri dal suo scaffale.
Ma tralasciando i miei autismi in fatto di libri in libreria (ne ho tanti, e più d’uno che farebbe la fortuna degli psicologi), passiamo al libro. The Well of Ascension è più lungo del suo predecessore, ma anche per questo riserva più sorprese e solleva ancora più interesse. Vediamo perché.
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Autore: Brandon Sanderson
Anno: 2007
Editore: Fanucci, ma ormai conoscete l’antifona.
Pagine: 781
TRAMA
A questa situazione disperata di per sé si aggiungono le difficoltà e i dubbi dei personaggi. Elend, che deve imparare a diventare un sovrano aiutato da una Terriswoman amica di Sazed, Tindwyl, e Vin, che deve imparare a capire sé stessa in quanto persona e in quanto mistborn, confrontandosi con il fratello di Elend Zane, mistborn anche lui, e dalla natura molto più imprevedibile. Inoltre, vengono trovate delle ossa all’interno del castello reale, segno che un kandra (creature in grado di assumere la forma dell’essere di cui divorano le ossa, già apparsi nel libro precedente senza né Vin né il lettore ne fossero informati) si è infiltrato tra i membri della banda di Kelsier, e con ogni probabilità è sotto il controllo di uno dei nemici. Diventa quindi difficile capire di chi fidarsi, perché dietro chiunque potrebbe celarsi una spia.
Ah, per la cronaca Zane è convinto di sentire Dio che gli parla nella testa e gli dice di uccidere la gente. Un tipo a posto, appunto.
In tutto questo, qualcosa di più sinistro sta succedendo, qualcosa che trascende le vicende degli esseri umani. Vin inizia a sentire una specie di richiamo. Sazed e Tindwyl iniziano ad accorgersi che i libri stanno impercettibilmente subendo modifiche ai loro testi. Il potere che era stato conquistato dal Lord Ruler sta tornando al Pozzo dell’Ascensione, e solo l’Hero of Ages sarà in grado di farlo suo. Nessuno può dire chi sia e quale sia il suo destino. Perché “anything else not set in metal cannot be trusted”.
LA MIA OPINIONE
La struttura del romanzo è molto meno lineare di quello che potrebbe sembrare dalla mia sinossi. Una parte significativa è infatti dedicata ai tre assedi, tralasciando del tutto la trama principale, che riguarda il ritorno del potere del Lord Ruler al Pozzo dell’Ascensione. In caso qualcuno si stia chiedendo perché mischio termini inglesi con quelli italiani, è perché ci sono certe traduzioni che non riesco a reggere. Non mi sentirete mai dire “campione delle ere” per Hero of Ages, o “Lord Reggente” per “Lord Ruler”. Non sto dicendo che fosse facile tradurli, sto dicendo che il risultato è inascoltabile. Pozzo dell’Ascensione è invece abbastanza accettabile.
Tornando al libro, comunque, dicevo che è dedicato per la maggior parte ai tre assedi, e questo è sia un bene che un male. Un bene perché consente di dedicare l’attenzione ai personaggi. Questo è forse il romanzo dove Elend e Vin crescono di più. Elend impara finalmente che se vuole essere un sovrano valido non basta avere le idee giuste, deve anche sviluppare carisma, intelligenza e attenzione a dettagli come il modo di vestire. Vin invece riuscirà a capire che cosa vuole da sé, che cosa può fare pur essendo diversa dagli altri e molto più pericolosa.
È un male perché svia dalla trama principale. È vero che questo depistaggio non è né noioso né fastidioso, perché la crescita psicologica dei protagonisti controbilancia il fatto che le vicende si muovano molto lentamente. Tuttavia, siamo di fronte anche al romanzo più lungo della saga. E potete capire che se il romanzo più lungo è quello che devia di più dal seminato, a volte un minimo di lavoro di cesoie e mietitrebbia non avrebbe guastato. È comunque una minuzia, sono io che mi aspetto tantissimo da Sanderson e quindi gli trovo il pelo nell’uovo, perché, come dicevo, di per sé questo fatto non costituisce un ostacolo alla buona fruizione del libro.
C’è inoltre da sottolineare che le vicende politiche, sia interne che esterne a Luthadel, sono gestite molto bene. Non ho mai sentito né forzature né la mano dell’autore che dirige le cose nella direzione che vuole lui anche contro logica e buon senso. Ciascuno dei tre assedianti ha la propria personalità, i propri obiettivi e le proprie preoccupazioni/ossessioni. Inoltre, l’idea che Luthadel, città dove il controllo viene mantenuto a fatica da un re che deve imparare a svolgere il suo ruolo, sia assediata da tre eserciti enormi e guidati da gente più esperta di lui, già di suo è una fonte di tensione e di interesse pazzesca. Non è la situazione pericolosa randomica da romanzo fantasy dozzinale che il lettore già a pagina 4 sa che si concluderà bene per i protagonisti. È proprio una situazione tremenda, e il fatto che Sanderson gestisca la tensione in modo tale da impedire che il lettore pensi che tutto finirà nel modo migliore rende il tutto ancora più affascinante. E la conclusione delle vicende giunge inaspettata sotto moltissimi aspetti.
Mappa di Luthadel |
Abbiamo finalmente in questo romanzo quello che mancava nel suo predecessore, ovvero l’approfondimento psicologico dei membri della banda di Kelsier. Anche Docson e Ham ricevono la loro caratterizzazione, tuttavia quelli che rimangono più impressi nella mente del lettore sono Breeze e Clubs. In particolare, Clubs ha iniziato a piacermi parecchio, è diventato di sicuro tra i miei personaggi preferiti. Tra l’altro, Sanderson ha architettato una serie di conversazioni tra i due al solo scopo di approfondire la loro personalità, ma era così interessante vedere come venivano caratterizzati che il fatto che in realtà fosse tutto pensato ad hoc dall’autore non mi ha dato per nulla fastidio.
Una menzione particolare va al personaggio di Zane, che non solo è molto interessante di suo e il contraltare perfetto per Vin, ma la sua figura ha un elemento importante che ora passa inosservato ma che in realtà è un indizio, tanto grande quanto incomprensibile, di quello che accadrà dopo.
Sazed riceve ulteriore approfondimento psicologico, anche grazie alla vicinanza con Tindwyl. Viene in questo romanzo definito del tutto il funzionamento della Feruchemia, che, manco a dirlo, è geniale. In poche parole, anche i feruchemisti, come gli allomanti, sfruttano i metalli. Tuttavia, non li devono bere, devono possedere oggetti fatti di un determinato metallo nei quali possono accumulare determinate caratteristiche che sottraggono a sé stessi, e maggiore è il tempo in cui restano senza di esse maggiore è la quantità accumulata. Le caratteristiche accumulate restano a loro disposizione quando e come vogliono. Per esempio, per accumulare la forza fisica devo rimanere molto debole per un po’. Tuttavia, quando vorrò potrò riutilizzare tutta la forza accumulata, anche in un colpo solo, diventando molto potente. Questo principio va ad applicarsi a tutte le altre caratteristiche, e posso assicurarvi che la Feruchemia consente di preservare una serie di qualità davvero interessanti. È per esempio possibile accumulare la memoria, la velocità mentale, il peso, il calore, l’età, e molto altro.
La questione del kandra viene risolta in modo geniale. Personalmente avevo capito come stavano le cose, ma devo dire che la soluzione non è né semplice né scontata, e quando arriva sono d'obbligo bocca spalancata e mascella che tocca terra.
Anche quando la sottotrama dei tre assedi si esaurisce e si passa a quella che è la trama vera e propria il livello non cala, anzi, si alza ancora più vertiginosamente. Già la precedente battaglia era qualcosa di epico, in quel punto la storia ha un’impennata ancora maggiore, e la conclusione del romanzo è un susseguirsi di colpi di scena inaspettati e rivelazioni. Fino al finale, su cui di nuovo non dico nulla, ma che lascia basiti. E, cosa più importante, che giunge inaspettato e improvviso, lasciando un grosso cliffhanger in vista del libro successivo.
Ci sono, come in The Final Empire, una serie di piccoli misteri (questa volta che però attirano molto di più l’attenzione) che non vengono risolti, e come in The Final Empire contribuiscono ad aumentare la curiosità verso la conclusione delle vicende.
C’è soltanto un piccolo fatto che non mi è piaciuto molto (ma come al solito è una sottigliezza), ed è che le molte sottotrame di cui Sanderson tira le fila per tutto il libro a volte non ricevono nel finale il giusto spazio, oppure hanno una fine un po’ tirata e poco convincente. Mi riferisco in particolare alla questione di Straff Venture e del veleno. Comunque non è un grosso problema, e non ha praticamente peso in un giudizio complessivo.
IN CONCLUSIONE
Con questo secondo romanzo, Sanderson non solo si conferma un ottimo scrittore, ma conferma anche la grandezza della saga di Mistborn, che mano a mano che prosegue colloca la sua storia su binari sempre più alti. Tra una trama ben articolata e imprevedibile e un cast di personaggi ben caratterizzato e in evoluzione, non si può chiedere di meglio. Gli eventi e le rivelazioni del finale in particolare tengono con il fiato sospeso, e raramente mi è successo di leggere qualcosa che rimesta così tanto le carte in tavola.
L’aspettativa verso il terzo volume era altissima, ricordo di averlo iniziato subito dopo aver finito il secondo, non avrei potuto aspettare un secondo di più. Alla prossima recensione per scoprire che cosa ne penso.
VOTO: