venerdì 2 aprile 2021

Mistborn (prima era) #1 - The final empire di Brandon Sanderson

Dopo un non breve e poco intenso giro su Sel, adesso viaggiamo attraverso il Cosmere di Brandon Sanderson fino a un altro pianeta, Scadrial, dove è ambientata la serie che ha reso famoso il suo autore. Si tratta di Mistborn, in particolare della prima trilogia. Dico prima perché nel progetto di Sanderson la serie si comporrà di quattro trilogie (la seconda già diventata una quadrilogia, di cui Sanderson dovrebbe iniziare a scrivere l'ultimo libro ora e invece non ha ancora iniziato. Cattivo Sanderson), ciascuna ambientata in un’epoca diversa del pianeta. Vedremo così la civiltà di Scadrial evolversi da un’epoca medievaleggiante fino a una fantascientifica, in cui si viaggerà nello spazio.

Inutile dire che l’idea in sé è geniale e interessante. E in quanto tale vedrà la luce chissà quando, visto che Sanderson ha da gestire una quantità di serie che farebbe impallidire Stephen King.

Ma torniamo a noi. Questa è la recensione del primo volume della prima trilogia di Mistborn, che è anche la serie che mi ha fatto amare Sanderson. Prima avevo letto solo Warbreaker, che mi era piaciuto ma non mi aveva colpito così tanto. Non so con precisione quando sia iniziata la passione, probabilmente verso la fine di questo volume, per consolidarsi attraverso il successivo. Di sicuro alla fine del terzo avrei venduto l’anima a Zuckerberg pur di essere Sanderson.

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Titolo: The Final Empire

Autore: Brandon Sanderson

Anno: 2006                                       

Editore: Fanucci, ma io l’ho letto in inglese, sempre perché leggere Sanderson in italiano è come farsi il bidet con una grattugia.

Pagine: 647

 



 

TRAMA

A Scadrial regna da mille anni il terribile e dispotico Lord Ruler, responsabile di svariati crimini (tra cui il genocidio di molti popoli) e della stratificazione della società in due grosse classi, i nobili, ricchi e indolenti, dediti a gozzovigliare e indire balli nelle loro ricchissime ville, e gli skaa, poveri, spesso ridotti in schiavitù, e considerati dalla nobiltà alla stregua di animali.

Ormai Facebook ha comprato anche l'Inferno.
Qui, Zuckerberg mentre sigla l'accordo col diavolo.
Il Lord Ruler ha il piccolo vantaggio di essere immortale, e dunque la fine del suo regno non è all’orizzonte. Vin è una ragazza di strada, privata in maniera sanguinosa della famiglia, che da poco è entrata in una banda di ladri in seguito alla sua capacità di portare fortuna, capacità che nemmeno lei si spiega del tutto. I suoi poteri vengono notati da Kelsier, un altro ladro che sta reclutando una banda per realizzare l’impresa che li porterà alla storia: abbattere il Lord Ruler tramite un suo piano segreto e portare giustizia ed equità. Kelsier rivela a Vin che lei è in realtà una mistborn, come il Lord Ruler e come molti dei nobili, come anche lui stesso. È così che Vin inizierà a entrare in contatto con i suoi poteri, mentre svolgerà il suo ruolo di infiltrata all’interno della corte del Lord Ruler.

LA MIA OPINIONE

Le premesse sono senza dubbio più coinvolgenti che in Elantris. C’è un nemico immortale da sconfiggere in quella che tutti sono convinti sarà un’impresa suicida. C’è un cast di personaggi abbastanza ampio (la banda di Kelsier), c’è magia come Sanderson sa crearla, ci sono intrighi, colpi di scena e sense of wonder quanto basta.

Eppure, sembrerà strano, ma The Final Empire all’inizio non mi piaceva. Le prime centocinquanta pagine sono un manuale su come non si scrive un fantasy. Cominciando con il Lord Ruler che sembra il classico Evil Overlord kattivissimo (che poi sarà giustificato e avrà un senso, ma sulle prime suona come la copia di Galbatorix di Eragon), e arrivando al capitolo plagio del consiglio di Elrond in cui Kelsier espone il suo piano (con cui nessuno sarà d’accordo perché lo ritengono una follia ma poi tutti si uniranno lo stesso). C’è anche la scena in cui Vin, che ricordiamo è l’ultima arrivata nonché una ragazzina in mezzo ad adulti abili e scafati, ha l’idea geniale e intelligente che a nessuno degli altri era neanche passata per l’anticamera del cervello. E ovviamente tutti si stupiranno di quanto lei sia fenomenale.

Poi la storia cambia, e davvero in meglio. Se il primo vero impatto del lettore con la magia, qui chiamata Allomanzia, era il soporifero capitolo in cui Kelsier si infiltra nella magione di un nobile, poi il lettore diventa sempre più familiare con essa, che si palesa come l’ottima idea che in effetti è. In poche parole, la magia si attiva attraverso l’atto di “bruciare” (ovvero attivare i poteri) dei metalli che si hanno all’interno del corpo, di solito ingeriti in forma liquida. Non tutti i metalli danno poteri, solo alcuni, e non a chiunque, ma a chi è predisposto geneticamente. Esistono persone che possono bruciare un metallo solo, chiamati misting, e quelli che possono bruciarli tutti, i mistborn. Se già i misting sono rari, i mistborn sono pochissimi. I poteri che l’Allomanzia conferisce sono variegati, si passa dal rendere più acuti i propri sensi (stagno), all’aumento di forza e resistenza fisica (peltro), fino ad arrivare alla capacità di vedere un po’ nel futuro delle altre persone (atium, che è un metallo inventato da Sanderson con un ruolo fondamentale nella storia).

I simboli dei metalli allomantici

Inutile dire che questo sistema mi ha colpito tantissimo fin dall’inizio. Perché regolamentato (si possono fare solo queste cose, e quando si finisce il metallo nel corpo non si può fare altro) eppure è vario, dà accesso a una quantità non indifferente di abilità, tant’è vero che i mistborn di per sé sono potentissimi, e un mistborn da solo, come più volte sottolineato nel corso del romanzo, non è che possa sconfiggere un esercito ma ci va abbastanza vicino. E sarebbe un errore pensare che, siccome gli effetti dell’Allomanzia sono quelli e non si sgarra, questo renda noiose e prevedibili le azioni fatte con la magia. Sanderson trova tutta una serie di modi intelligenti per utilizzare i poteri, rendendo così l’azione varia e interessante. Inoltre, c’è anche quell’aspetto che mancava in Elantris di crescita personale attraverso l’utilizzo dei propri poteri (in particolare in Vin, che è l’unico punto di vista della storia, ma si può intravedere qualcosa anche in Kelsier) che è uno dei cavalli di battaglia di Sanderson.

Tra gli aspetti che funzionano di meno ci sono di sicuro le basi dell’ambientazione. Ora, non voglio dire che la banda di Kelsier sia come tutte le altre bande di rivoluzionari che ci sono nel mondo perché ha due mistborn al suo interno, ma possibile che nessuno sia mai riuscito a fare un danno al Lord Ruler in mille anni? Tra l’altro Sanderson spiega come il Lord Ruler non faccia mai azioni militari capillari contro i rivoluzionari perché intanto sono troppo deboli per lui. Che è stupido.

Questa è la cosa più grossa, ci sono qua e là nella storia forzature di questo tipo, che danno fastidio all’inizio quando sono in mezzo ai clichè e alla fiera della prevedibilità, ma diventano sopportabili superate le famose centocinquanta pagine. Anzi, direi che a un certo punto uno inizia a ignorarle senza problemi.

Io sono un fanboy, ma qualcuno è peggio di me

Per il resto, della trama non credo sia possibile lamentarsi. A partire dalle famose centocinquanta pagine, prosegue in maniera discretamente interessante e mai noiosa, fino a ingranare di brutto alla fine della quarta parte e proseguire fino alla conclusione del romanzo tenendo il lettore con il fiato sospeso. Questa quinta parte è poi quella in cui la storia decolla davvero, fornendo al lettore azione, adrenalina, e un paio di colpi di scena inaspettati e che personalmente mi hanno coinvolto tantissimo.

Ho apprezzato anche molto i piccoli misteri che Sanderson dissemina lungo la trama, e che arrivano alla fine del romanzo senza ricevere spiegazioni. Non sono abbastanza da creare enormi cliffhanger tra un libro e l’altro perché sono dei dettagli, ma sono presentati in maniera sufficiente da incuriosire. In particolare, la frase detta da un certo personaggio in un momento molto importante, che a prima vista sembra solo un delirio di onnipotenza, cela in realtà il vero cuore dell’intera vicenda, che tanto il lettore quanto i personaggi ancora non possono comprendere.

Quello che non sempre è all’altezza sono i personaggi. Vin e Kelsier, che poi sono i personaggi che appaiono più spesso, sono ben caratterizzati. Di Vin risalta il contrasto tra la sua natura di Mistborn e il fatto che si trovi bene nell’ambiente frivolo della corte quando è sotto copertura, e questo dualismo, che la ragazza deve comprendere e gestire, dà spessore alle sue scelte e al suo essere. Invece Kelsier, crudele nella sua vendetta quanto lo sono le persone di cui si vuole vendicare, avrà modo (ma non del tutto! E questo è un elemento interessante che però emergerà in modi inaspettati e non in questo romanzo) di capire fino a che punto il suo modo di fare sia davvero giusto.

Invece, i comprimari non sono sempre soddisfacenti. Ora, non voglio dare l’idea che siamo di fronte a Elantris 2, perché non è così. Anche il personaggio peggio caratterizzato del libro è comunque mille volte meglio di Raoden e dei suoi compari sagome di cartone della corte di Arelon. Tuttavia, nessuno di loro riesce a spiccare quanto Kelsier e Vin, e non solo perché hanno molto meno spazio. La personalità dei vari membri della banda di Kelsier, Ham, Breeze, Clubs, Docson sono sì presenti ma poco approfondite, non abbozzate perché è chiaro che il suo autore le conosce ma fanno fatica a emergere. Sanderson non è la Rowling, o Stephen King, non è di quegli autori che in tre battute di dialogo ti tira fuori la caratterizzazione di un personaggio. Non è un sintomo di inferiorità, sono modi diversi di scrivere: la Rowling o lo zio Steve hanno come prima focalizzazione i personaggi, e poi la trama. A Sanderson interessa innanzitutto la trama (e la magia), ed è nello svolgersi della trama che i personaggi possono rivelare qualcosa di sé. È normale quindi che abbiano bisogno di apparire più volte per permettere al lettore di conoscerli.

Due personaggi della banda che invece ricevono una caratterizzazione chiara e definita già da questo romanzo sono Marsh, che fa emergere il proprio carattere per contrasto con suo fratello Kelsier, e Sazed, che invece, per varie ragioni, appare molto spesso e in momenti molto importanti della storia. Tra l’altro Sazed viene da una regione particolare di Scadrial, Terris, e quindi è portatore di un tipo di magia (ma sappiate che questa è l’ultima volta che userò il termine non corretto invece di quello che userebbe Sanderson, ovvero Investitura) diverso dall’Allomanzia e altrettanto (se non di più, per certi aspetti) interessante, la Feruchemia. Sulla Feruchemia non veniamo a sapere nel corso del romanzo tutto quello che serve, perciò non mi ci soffermerò oltre. Basti sapere che già con il poco che Sanderson rivela mi sembrava un’ottima idea.

Un’altra cosa che mi è rimasta impressa sono i combattimenti. I mistborn combattono tra loro volando (in realtà rimbalzandosi da un oggetto di metallo all’altro tramite i poteri di ferro e acciaio), lanciandosi contro monete ad altissima velocità e cercando di guardare il futuro altrui. È quindi evidente che i combattimenti tra mistborn sono momenti densi di azione e di tensione, e Sanderson riesce a renderli perfettamente. Sarà che diventa (stranamente) stringato ed essenziale, sarà che li rappresenta in modo molto visivo e partecipato, quello che volete, sta di fatto che i relativamente pochi combattimenti sono i momenti migliori del libro.

E il finale. Ovviamente non rivelo niente sul finale, ma è pazzesco. Soprattutto il fatto che abbia tutto senso. Le cose che sembravano privilegi da evil overlord vengono spiegate e hanno senso. E questo è meraviglioso.

Ogni capitolo è introdotto da un brano tratto dal diario di Alendi, ovvero colui che, mille anni prima, si è recato al pozzo dell’Ascensione per fermare la Deepness, e ha acquisito così i poteri che lo hanno reso il Lord Ruler. Questo diario viene ritrovato da Vin a un certo punto della storia, ed è il primo dei tre libri fondamentali per il funzionamento e la comprensione della trama. Ciascuno dei tre volumi della trilogia ha brani tratti da uno di questi libri all’inizio di ogni capitolo. È una cosa che a Sanderson piace fare, perché la ripeterà anche in Stormlight, e io l’ho apprezzata molto, perché leggendo con attenzione questi piccoli brani si possono anticipare rivelazioni successive nella storia.

Ultima nota, comprate l’edizione inglese. Non per altro, ma perché le copertine americane di Sanderson, con l’eccezione di quelle di Stormlight, sono orribili.

 

IN CONCLUSIONE

 

Nonostante le forti perplessità iniziali, The Final Empire si è rivelata un’ottima lettura, sia presa di per sé (può essere considerato sotto certi aspetti autoconclusivo), sia come primo capitolo della saga. È per questo che quando ho iniziato il volume successivo, The Well of Ascension, avevo aspettative molto alte. Vedremo nella prossima recensione se saranno state deluse o meno.

VOTO:



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