mercoledì 13 luglio 2016

Recensione - 20th Century Boys e 21st Century Boys di Naoki Urasawa

Quando ho letto la trama di 20th century boys mi si sono illuminati gli occhi. In poche parole posso riassumerla con “dei bambini da piccoli inventano un gioco in cui un’organizzazione malvagia conquista il mondo e quando sono adulti cominciano ad accadere eventi che seguono lo schema del loro gioco”. Che non è semplicemente un’idea buona e interessante, ma appartiene un po’ quel filone di cui fa parte anche It di Stephen King, ovvero a quelle storie in cui le vicende di un gruppo di bambini si vanno a intrecciare con le vicende di quello stesso gruppo quando i bambini ormai sono adulti. Storie in cui passato e presente si sviluppano parallelamente e svelano uno i misteri dell’altro. E siccome io ho adorato It, sapere che aveva scritto qualcosa di vagamente simile un autore come Urasawa, che già avevo avuto modo di apprezzare per abilità nel disegno e nella sceneggiatura, è stato sufficiente a invitarmi a impossessarmi dell’opera e divorarla.

Recensisco insieme a 20th century boys anche 21st century boys. Infatti, nonostante esista come manga a parte, di fatto costituisce i volumi 23 e 24 di 20th century boys, che senza resterebbe incompleto. Per questa ragione, nonostante farò due discorsi separati, ho deciso di unirli, perché di fatto costituiscono un unico fumetto, in quanto il 21st comincia esattamente dove è finito il 20th e ne rappresenta la naturale conclusione.
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Titolo: 20th century boys  + 21st century boys
Autore: Naoki Urasawa
Anno: 1999/2006                                                      
Volumi: 22 + 2
Editore: Planet manga



TRAMA 

Parte del necessario l’ho già detto sopra. In sostanza, 20th century boys racconta la storia di Kenji e del suo gruppo di amici, che scrivono un libro intitolato “libro delle profezie”. Su questo libro scrivono tutto quello che succederà negli anni successivi, in cui una misteriosa organizzazione fa progetti per conquistare il mondo.

Anni dopo, quando ormai i ragazzi sono adulti, nasce in Giappone un’associazione comandata da un misterioso individuo mascherato che si fa chiamare l’Amico. Contemporaneamente, si verificano una serie di eventi molto simili a quelli che i ragazzi avevano scritto nel loro libro delle profezie, e vengono collegati all’Amico. Il vecchio gruppo si riunisce perciò per cercare di capire chi sia l’Amico (è sicuramente una persona che almeno una volta ha visitato la loro base segreta e visto il libro delle profezie, ma chi?) e quale sia il suo scopo. E impedire che conquisti il mondo.
RASENGAN!

LA MIA OPINIONE 


Come dicevo all’inizio, sulle prime ero esaltatissimo. Ditemi se non è una trama interessante! E non solo in virtù delle affinità con It, ma anche proprio di per sé. L’idea di base è bella, e mette subito grande interesse nel lettore. Chi è l’Amico? Cosa vuole? Queste domande non possono che nascere nella mente di chi legge, suscitate dai molti eventi strani e inspiegabili che avvengono di fronte a Kenji e ai suoi compagni. All’inizio quindi si procede con la lettura senza mai smettere, attirati dalla volontà di conoscere quello che succederà e di avere qualche risposta. E qui cominciano i primi problemi.

20th century boys è intelligente ma non si applica. Ha tutte le qualità per diventare un capolavoro e poi cade su delle cose stupide. Parte bene e prosegue male. Vediamo perché.

Intanto, è da sottolineare che qui Urasawa ha rinunciato al tipo di narrazione presente in Monster, e la trama non può trarne che giovamento. Continua a essere intrecciata e complicata perché ogni volta che viene svelato un mistero ne nascono altri tre, tuttavia risulta comunque comprensibile, e si segue senza particolari problemi. Quello che invece secondo me non funziona sono i contenuti. Certe volte le situazioni sono stupide, o surreali, o inverosimili. Siamo di fronte a un’opera di fantasia, e come a tutte le opere di fantasia si può e si deve concedere un minimo di sospensione dell’incredulità. Ma ci sono situazioni che risultano eccessivamente surreali, vuoi perché non ricevono una spiegazione, vuoi perché sono talmente esagerate da non risultare credibili. Per fare un esempio, posso citare la parte dell’incontro in chiesa, o di quando Kana (la nipote di Kenji) da sola ferma una faida tra mafiosi. Perché è più che naturale riuscire a far ragionare dei mafiosi che si stanno sparando semplicemente chiacchierando, non è che finiresti crivellato di colpi nel giro di tre secondi.
Kenji con la sua nuova Nimbus 2000
La trama di 20th century boys si articola in diversi piani temporali. Non soltanto sui binari paralleli passato-presente: all’interno di questi ci sono diversi time skip, al punto che Kana, che all’inizio vediamo in fasce, diventa la protagonista di gran parte delle vicende ambientate nel presente. Sulle prime non ho apprezzato questa scelta, ma in realtà posso dire che alla fin fine funziona. Dà a tutta la storia un sapore decisamente più epico e la rende più affascinante.

La trama diventa più debole sotto molti aspetti mano a mano che si va avanti. All’inizio è solida, poi, anche per colpa delle scene surreali di cui parlavo prima, comincia a perdere colpi e molte cose non reggono. Un esempio su tutti, l’attrazione virtuale. Qual è lo scopo per cui esiste? Ufficialmente è una sorta di mezzo per trattare le persone troppo curiose riguardo l’Amico. In pratica ha lo scopo di mandare avanti la trama quando resta impantanata. E infatti ogni volta che i personaggi non sanno dove sbattere la testa puntualmente qualcuno si fa venire l’idea di andare nell’attrazione virtuale. E puntualmente è lì la risposta a tutte le domande.

E poi ci sono i personaggi che fanno cose stupide senza una buona ragione, solo perché Urasawa voleva creare un po’ di tensione e quindi toh, facciamo che questo qui senza che ne abbia la necessità e nonostante ci siano soluzioni molto più furbe si metta in pericolo di vita. Così gli occhi del lettore non si scolleranno dalla pagina! Più o meno...

Di buono sicuramente c’è che molti sviluppi della trama sono imprevedibili. Questo le conferisce tutto sommato un buon ritmo, e tiene viva l’attenzione. In effetti, la cosa più stupefacente è che, nonostante le situazioni surreali, comunque l’interesse per la storia non cala praticamente mai. Come nel primo volume, anche nel ventiduesimo la volontà di sapere chi è l’Amico è forte allo stesso modo. Anzi, direi che scoprire chi l’Amico è il primo impulso che spinge a superare i vistosi difetti per arrivare alla fine. E bisogna ammettere che se una storia riesce ad avere mordente a sufficienza per mantenere alto l’interesse verso il suo mistero principale qualcosa di buono deve averlo per forza.

Inoltre la sceneggiatura di Urasawa rimane sempre davvero ben realizzata. Per tornare all’esempio fatto prima, la scena dell’incontro in chiesa è una sequela di WTF dal punto di vista dei contenuti, ma è un capolavoro di sceneggiatura, riesce a tenere con il fiato sospeso. Al punto che il mio pensiero mentre leggevo era “dovrei smettere di ragionare e godermi semplicemente la tensione che quasi si respira. Apprezzerei molto di più”.

Qualche considerazione sul finale. Sotto spoiler.
[SPOILER]Il finale fa schifo. No, non esagero. Non spiega nulla. Nulla. Non dice chi sia l’Amico! Cioè, io ho seguito Urasawa per 22 volumi volendo sapere chi fosse e lui non me lo dice? Tutto il manga si incentra su quello! Tra l’altro, se proprio vogliamo dirla tutta la scena del concerto non è male, anzi, è molto bella. Ma uno non riesce proprio a godersela, con la delusione di non sapere chi sia l’amico che dà veramente fastidio. Quindi, nonostante il bel momento del concerto non mi sentirei di promuovere il finale. Se non fosse che esiste 21st century boys, sia ringraziato Chtulhu, in cui Urasawa ripara ai problemi di questo finale pessimo. [SPOILER]

In Monster quindi rimproveravo Urasawa di non aver capito quali fossero le cose che andavano raccontate e quali no. Alla luce di quello che ho potuto vedere qui, direi che il problema di Urasawa è a monte: avrebbe bisogno di una persona che lo aiutasse a razionalizzare le interessantissime trame che crea. A sfoltirle e a renderle più credibili. A non soffermarsi soltanto sull’aspetto emotivo della vicenda (cioè a creare tensione) ma anche a curare quello logico (ovvero scrivere scene che non risultino assurde o irreali).

La caratterizzazione dei personaggi è invece eccellente come al solito. Con poche pennellate Urasawa riesce a imprimere i personaggi nella mente del lettore e da lì non se ne vanno mai più. Con Urasawa è impossibile confondere personaggi, tutti hanno le proprie personali caratteristiche fisiche e morali. Alla fin fine la cosa più bella di tutto il manga è proprio la sensazione di vicinanza che trasmettono questi personaggi. Dopo venti volumi si ha la sensazione di conoscerli sul serio, che sia reali, veri, che si stia leggendo scene tratte dalla realtà. L’atmosfera che si respira è davvero quella dell’anno 1970, e il rapporto tra i personaggi è descritto in modo accurato e realistico. C’è ben poco di artificioso, Urasawa è straordinario nel descrivere la banda di ragazzini protagonisti. È difficile rendere in modo realistico le dinamiche dell’infanzia, far fare ai bambini cose realistiche, scrivere i loro dialoghi in modo preciso, e Urasawa ce la fa. Senza quest’abilità, senza questo enorme pregio 20th century boys sarebbe davvero a un livello più basso.

Naoki l'ultima volta che è venuto a casa mia
La narrazione scorre piacevole e difficilmente annoia. Ci sono dei momenti in cui Urasawa riprende la sua vecchia abitudine di Monster e riprende a raccontare un po’ tanto da lontano, ma sono pochi e poco influenti. Come dicevo, ci sono elementi che hanno l’unico scopo di far proseguire la trama, e questo ne intacca la piacevolezza e la fluidità.

Come nella scorsa recensione, ho ben poco da dire riguardo ai disegni, se non che sono eccellenti. E lo stesso vale per la sceneggiatura. In questo la mia opinione non si differenzia in nulla da quell’altra volta: sul versante tecnico posso rimproverare poco a Urasawa. 

Come in Monster, anche qui, dietro la trama fantascientifica c'è un messaggio. Kenji è un musicista mancato: sognava di diventare un chitarrista, ma alla fine per mancanza di voglia e di volontà di faticare e di spendere energie per il suo desiderio abbandona quella strada e passa a gestire il negozio di alimentari della sua famiglia. Con l'evolvere della trama Kenji troverà un senso a questo suo sogno, cominciando a scrivere canzoni di protesta contro il regime dell'amico e a suonarle in pubblico. Capirà che il successo non serve per inseguire un sogno, e infatti continuerà a suonare nonostante nessuno lo apprezzi. Continuerà a sudare mettendo amore e fatica nella musica e alla fine del manga avrà l'occasione di coronare il suo sogno. Ma lo realizza perché ha continuato con costanza e determinazione e ha trovato un senso al suo sogno. Solo così può trasformarlo in realtà.

E ora, parliamo un po’ di 21st century boys e del perché ho unito le due recensioni. Di nuovo sotto spoiler.
[SPOILER]21st century boys è, come accennavo all’inizio, la naturale conclusione di 20th. Lo dicevo poco fa, 20th century boys finisce senza rivelare il mistero principale della storia, ovvero l’identità del secondo Amico, quello che tirava le fila da tutto il tempo anche alle spalle del primo Amico. 21st century boys si propone proprio di fare questo.

21st century boys è un manga che per metà vale molto, per metà no. Per scoprire l’identità dell’Amico che cosa risolvono di fare i personaggi? Andare nell’attrazione virtuale. Naturalmente, che vi aspettavate? Ecco, nell’attrazione virtuale comincia una caccia agli indizi tra quel mondo e quello della realtà. Che è una cosa stupida per vari motivi, non ultimo il fatto che se qualcuno nasconde qualcosa poi non lascia indizi come in una caccia al tesoro per permettere ai suoi nemici di ritrovare quel qualcosa. Senza contare poi l’apparizione del robottone gigante, che già mi aveva fatto storcere il naso quando appariva in 20th century boys, ma lì non era mai così palese ed evidente da risultare trash. Qui sì. Non ho trovato invece fastidiosa l’apparizione di un fantasma. Non che fosse molto contestualizzato, è un tocco di soprannaturale che ha poco a che fare con il tenore del resto della trama. Ma tutto sommato non dà fastidio.

Quella che ho appena mostrato è la parte che non va bene. Ho invece apprezzato la parte della ricerca dell’identità del secondo amico, fino a quando non viene effettivamente scoperta. Ecco, ho sentito opinioni diverse al riguardo, c’è chi elogia la scelta di Urasawa e chi invece la critica. Io personalmente ho apprezzato: alla fin fine, non poteva che essere quella persona lì, visto che a ben vedere era l’unico personaggio citato del passato che effettivamente non fosse stato dimostrato che non fosse l’Amico. Quindi quella che Urasawa ha dato non può che essere l’unica conclusione possibile, visto che tutti gli altri, per un motivo o per l’altro, era già stato stabilito che non fossero l’Amico. Non dico che lo avevo indovinato: non me lo sarei mai immaginato. Ma con il senno di poi, non poteva che essere così. E in effetti non è che sia esattamente un personaggio secondario: non è mai apparso, è vero, ma ne abbiamo sentito parlare moltissime volte. Certo, Urasawa avrebbe potuto organizzare qualche scena con lui, quello sì, ma anche così non ha sfigurato così tanto.[SPOILER]

In poche parole, la parte con l’alternanza mondo reale mondo virtuale è abbastanza assurda e poco sensata, quella ambientata nel mondo virtuale e basta è bella, appassionante e rivela cose che uno non si sarebbe mai aspettato. È un manga che alla fine della sua breve lettura mi ha lasciato da un lato molto soddisfatto (finalmente avevo le risposte alle mie domande di 20th!) ma dall’altro molto deluso.
Kenji suona all'angolo della strada

IN CONCLUSIONE 


20th century boys mi è piaciuto molto sotto il punto di vista delle idee di base, dell’atmosfera e della sceneggiatura, molto meno dal punto di vista dello sviluppo della trama, di alcune scelte narrative e della gestione di certe scene. Non è da buttare via assolutamente, anzi, mi verrebbe da consigliarlo più di Monster, ma soltanto perché appunto l’idea di base mi piace molto di più di quella di Monster e perché mi sono sentito proprio a mio agio con i personaggi e l’atmosfera. Ma ciò non toglie che con Monster  Urasawa abbia raggiunto risultati migliori.

IL GIUDIZIO DI HISOKA:



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