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Un'immagine di Callimaco |
Poche figure
hanno cambiato la cultura dei millenni successivi quanto ha fatto Callimaco di
Cirene. Per noi questo colosso è poco più di un nome, perché di lui ci sono
rimaste pochissime opere complete, nello specifico soltanto sei inni agli dèi e
degli epigrammi (contro circa gli 800 libri che si racconta avesse composto). E
ciò è paradossale perché, come dicevo all’inizio, senza di lui tutta la
produzione letteraria in latino e anche in italiano non esisterebbe, o meglio,
risulterebbe completamente diversa.
Callimaco
com’è ovvio non si sveglia una mattina decidendo di rinnovare il modo di fare
poesia, è figlio del suo tempo ma soprattutto del suo ruolo: è un giovane poeta
cui viene affidato dalla corte tolemaica l’importantissimo compito di redigere
il profilo degli autori delle opere di cui gli intellettuali della corte, nelle
persone di Zenodoto, Licofrone e Alessandro Etolo, componevano una ἒκδοσις (e cioè, per dirlo in modo
molto semplicistico, il corrispondente delle edizioni critiche moderne). È
perciò normale che egli voglia fondere il suo lavoro di studioso della
letteratura del passato con la sua passione, la poesia. Nasce probabilmente da
questo la figura del poeta filologo ed erudito, colui che più che preoccuparsi
della lunghezza della sua opera ne cura l’elaborazione formale e la lingua
(risultando, anche se non è il caso di Callimaco, a volte barocco, ampolloso e
retorico), che cerca di inserirvi riferimenti colti a versioni meno note dei
miti oppure a luoghi o tradizioni poco conosciute.
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Un'altra immagine di Callimaco |
Questa nuova
figura del poeta è destinata a cambiare tutta la letteratura successiva; e se è
più moderna perché è figlia dei nuovi studi, lo è anche perché è accompagnata
da un modo innovativo di concepire l’opera letteraria in sé: dopo secoli nei
quali, in maniera più o meno marcata, la piena realizzazione di un’opera
avveniva nella sua recitazione, il libro, che prima aveva soltanto lo scopo di
conservare gli scritti e tramandarli alla memoria, diventa il principale mezzo
di fruizione del prodotto artistico di un poeta o di un prosatore. Callimaco è
il principale promotore anche di questa innovazione, tant’è vero che è stato
definito “editore di sé stesso”, a sottolineare come per primo abbia pensato le proprie
opere per essere pubblicate scritte, e non declamate a un pubblico.
Ecco, e qui
si inserisce il mio discorso. Infatti, troppo spesso la cultura ellenistica
viene presentata come qualcosa di assolutamente a sé stante, ovvero privo di
antecedenti, come una svolta completamente nuova che non ha alcun collegamento
con quanto la precede. Nulla di più falso, come già anticipato qualche
paragrafo fa, anche se bisogna, per spezzare una lancia in favore di una simile
interpretazione, ricordare che Callimaco stesso, piuttosto che sottolineare le
proprie affinità con la tradizione, ne ha spesso preso le distanze. Tuttavia,
da alcuni frammenti che ci sono giunti di Antimaco di Colofone, vissuto diversi
decenni prima di Callimaco e da quest’ultimo giudicato un pessimo poeta, possiamo capire che i punti di contatto tra i
due sono molti, e su diversi aspetti, alcuni più evidenti altri meno.
Sono
finalmente arrivato all’argomento del post, quello cui faccio riferimento nel
titolo, dopo ben quasi 500 parole in cui parlo d’altro. Non è una digressione
inutile, diversi elementi di cui ho parlato prima torneranno utili in seguito.
Perciò, dichiaro ufficialmente conclusa la premessa. Possiamo procedere.
Di Antimaco
sappiamo molto poco e non ci sono giunte opere intere. Possediamo però un
discreto numero di frammenti.
La sua opera
principale è la Tebaide, un poema epico di ben 24 libri. Uno dei punti cardine
nonché uno degli elementi innovativi della poetica di Callimaco è la brevità. Essere
sintetico non era esattamente lo spirito con cui scriveva Antimaco, la
lunghezza del suo poema ne è la dimostrazione, e infatti, come accennavo prima,
sappiamo che Callimaco non apprezzava per nulla la poesia di Antimaco.
Ci sono
giunte diverse notizie riguardo alla poetica di Antimaco. Sappiamo che il suo
stile era concettoso e barocco, tutt’altro che semplice e immediato, sappiamo
che amava inserire riferimenti eruditi e complicati, sappiamo che aveva Omero
come modello linguistico, ma soprattutto ci è giunta notizia, in uno scolio, di
una presunta ἒκδοσις di Omero
curata proprio da Antimaco, una ἒκδοσις
esattamente come avrebbero composto i filologi di età ellenistica qualche
secolo dopo (la veridicità di quest’informazione è stata messa in dubbio perché
non ne abbiamo accenni da nessuna altra fonte, ma alla luce di tutto il resto
le conclusioni non cambiano). Fatto ancora più importante, ci è giunta notizia
che Antimaco utilizzasse in modo critico l’ipotesto omerico. In altre parole,
quando scriveva sceglieva termini presenti nei poemi di Omero il cui significato era incerto (le cosiddette
“glosse”) e li utilizzava in modo tale da comunicare al lettore la propria
interpretazione di quella parola. Questa
pratica sarà ripresa da figure dell’età ellenistica come Apollonio
Rodio, bibliotecario di Alessandria, poeta, erudito, autore tanto di poemi
quanto di scritti critici su Omero e altri autori. Antimaco può essere dunque
considerato (e probabilmente tale si considerava lui stesso) un poeta erudito a
tutti gli effetti, e lo era quando Callimaco e i suoi successori dovevano
ancora nascere.
Definire
quindi Antimaco un precursore di Callimaco in primis e dell’ellenismo in
generale alla luce di queste considerazione appare assolutamente naturale. Per
quanto Callimaco disprezzasse Antimaco e per quanto sicuramente non da
quest’ultimo provenissero gli stimoli che lo hanno portato a creare la figura
del poeta filologo, ciononostante Antimaco resta comunque un antecedente che
non si può trascurare. Antimaco e Callimaco giungono dunque a risultati molto
simili, ma attraverso percorsi profondamente diversi.
Ma le
somiglianze non si fermano qui, agli aspetti più superficiali e a quelli
tramandati dalle fonti. A parer mio, e lo sottolineo perché qui più che a dati
accettati dalla critica passo a fare riferimento a interpretazioni mie
personali, si può instituire un paragone anche a un livello più sottile, un
livello che, mi pare, sia stato trascurato. Penso perciò che sia interessante
osservarlo, perché potrebbe suggerire che la modernità di Antimaco rispetto
alla sua epoca fosse ancora maggiore di quello che può apparire. Per fare ciò
voglio prendere in esame uno dei frammenti della Tebaide che ci sono giunti,
quello che, come spiega la fonte che ce lo tramanda, ovvero Eustazio di
Tessalonica, era l’incipit del primo libro.
L’edizione
cui faccio riferimento è quella dei frammenti di Antimaco curata da Heinrich
Wilhelm Stoll. Il verso analizzato è il frammento numero uno secondo la
numerazione di quest’edizione.
Così recita
il frammento:
“Ἐννέπετε Κρονίδαο Διὸς μεγάλοιο θὺγατρες„,
che in italiano significa:
“Cantate, o figlie del grande Zeus figlio
di Crono„
Intanto, è chiaro che qui Antimaco ha presenti gli incipit
dell’Iliade e dell’Odissea. L’influenza del primo si nota nell’accumulo dei
genitivi, l’influenza del secondo invece nell’uso del verbo εννέπω. A fronte di queste somiglianze, sono
però evidenti le differenze. Dove infatti i versi di Omero sono dotati di una
semplicità fresca e schietta, che introduce l’azione in modo diretto ed
efficace, il verso di Antimaco è decisamente più pomposo. Addirittura, mentre
sia nell’Iliade che nell’Odissea l’argomento dell’intero poema è sintetizzato
in una sola parola che viene collocata all’inizio del verso, Antimaco deve
scalzarlo al verso successivo (che non ci è giunto) per lasciare posto
all’altisonante aggettivazione di Zeus, che consiste in un patronimico e in un
epiteto di sapore epico. Non voglio soffermarmi però sulle differenze tra Omero
e Antimaco; vi accenno soltanto per permettervi di toccare con mano quel
colorito retorico che, come dicevo, avvicina la Tebaide all’epica ellenistica.
Salta subito
agli occhi l’elaborazione formale che caratterizza questo verso. Ha infatti una
struttura chiastica, con il verbo ἐννέπετε
e il suo soggetto θὺγατρες
agli estremi e gli aggettivi Κρονίδαο
e μεγάλοιο come termini medi.
La parola Διὸς rimane
spaiata, e risulta non essere semplicemente alla metà e quindi al centro del
verso (considerando il verso come un segmento), ma addirittura al centro del
chiasmo. Questo verso parrebbe configurarsi quasi come una doppia invocazione:
la prima, esplicita e tradizionale, alle Muse (indicate con la perifrasi
“figlie di Zeus”), e la seconda, implicita, a Zeus, che trovandosi a metà
chiasmo e al centro della prima invocazione, è un po’ come se ne fosse la
colonna portante, il fulcro, quell’elemento senza il quale neppure
l’invocazione alle Muse avrebbe senso.
Ma l’abilità
di Antimaco non si limita a questo. Esiste un altro aspetto che sottolinea la
centralità di Zeus, un aspetto più nascosto del chiasmo, ma che a una lettura
un po’ più attenta emerge subito. Tutte le parole del verso sono di otto
lettere. Tutte tranne Διὸς,
che è di sole quattro lettere. Esattamente la metà delle altre. E, vista
l’analogia già presupposta sic come si parla di un segmento, anche il centro.
Quest’ultima
caratteristica non è solo indice della grande perizia retorica di Antimaco, che
lo allontana ulteriormente dalla semplicità omerica, ma può indurre anche ad
un’altra riflessione, che poi è lo scopo per il quale ho presentato il
frammento. È evidente che questa peculiarità del numero di lettere non può
essere colta da un pubblico che si limita ad ascoltare il poema. Per accorgersi
di questo bisogna per forza poter leggere il poema, perciò quello che mi viene
da pensare è che Antimaco, ben prima di Callimaco, avesse progettato un’opera
letteraria in modo che trovasse la sua fruizione migliore nella lettura. Naturalmente
l’evidenza di un unico frammento non può costituire una prova né una
dimostrazione. Può però come minimo sollevare il dubbio, e aprire uno spiraglio
su un aspetto di modernità di Antimaco rispetto ai suoi tempo che ancora non
era stata sottolineata. Per avere più certezze bisognerebbe possedere stralci
più ampi del suo poema, cosa che per ora non ci è possibile.
Potremmo dunque con qualche riserva affermare che Antimaco è stato editore di sé stesso ben prima che lo fosse Callimaco.
Potremmo dunque con qualche riserva affermare che Antimaco è stato editore di sé stesso ben prima che lo fosse Callimaco.
Si potrebbe
anche obiettare che questa particolarità delle lettere sia semplicemente
un’altra sfaccettatura del colorito retorico e artificioso della Tebaide. In
realtà io non lo credo. L’artificiosità di Antimaco e degli altri poeti a lui
contemporanei è per la maggior parte stilistica, comporta perciò l’uso di
metafore e similitudini oscure o elaborate, o di una sintassi o una costruzione
del verso particolarmente elaborata, o di neologismi audaci. Tutte
caratteristiche che rendono difficile la comprensione del testo, ma non
sfuggono a un ascoltatore. Questo aspetto del numero di lettere invece è
differente proprio perché non complica la comprensione ma risulta percepibile
soltanto se il testo viene letto. Per questo, secondo me giustificarlo dicendo
che è dovuto al’artificiosità di Antimaco non basta ed è un errore.
Che dire,
dunque? È un gran peccato che di Antimaco ci sia giunto così poco, perché,
limitandosi ad analizzare questo poco, ci rendiamo conto di avere di fronte un
poeta di tutto rispetto, la cui opera dà adito a interpretazioni interessanti e
che rivela una modernità impressionante rispetto al periodo in cui scrive, e
che rivela come molte delle novità di Callimaco per molti aspetti non erano
novità.
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