martedì 3 maggio 2016

Antimaco editore di sé stesso? - Un'analisi di un frammento della Tebaide



Un'immagine di Callimaco
Poche figure hanno cambiato la cultura dei millenni successivi quanto ha fatto Callimaco di Cirene. Per noi questo colosso è poco più di un nome, perché di lui ci sono rimaste pochissime opere complete, nello specifico soltanto sei inni agli dèi e degli epigrammi (contro circa gli 800 libri che si racconta avesse composto). E ciò è paradossale perché, come dicevo all’inizio, senza di lui tutta la produzione letteraria in latino e anche in italiano non esisterebbe, o meglio, risulterebbe completamente diversa. 

 Callimaco com’è ovvio non si sveglia una mattina decidendo di rinnovare il modo di fare poesia, è figlio del suo tempo ma soprattutto del suo ruolo: è un giovane poeta cui viene affidato dalla corte tolemaica l’importantissimo compito di redigere il profilo degli autori delle opere di cui gli intellettuali della corte, nelle persone di Zenodoto, Licofrone e Alessandro Etolo, componevano una κδοσις (e cioè, per dirlo in modo molto semplicistico, il corrispondente delle edizioni critiche moderne). È perciò normale che egli voglia fondere il suo lavoro di studioso della letteratura del passato con la sua passione, la poesia. Nasce probabilmente da questo la figura del poeta filologo ed erudito, colui che più che preoccuparsi della lunghezza della sua opera ne cura l’elaborazione formale e la lingua (risultando, anche se non è il caso di Callimaco, a volte barocco, ampolloso e retorico), che cerca di inserirvi riferimenti colti a versioni meno note dei miti oppure a luoghi o tradizioni poco conosciute.


Un'altra immagine di Callimaco
Questa nuova figura del poeta è destinata a cambiare tutta la letteratura successiva; e se è più moderna perché è figlia dei nuovi studi, lo è anche perché è accompagnata da un modo innovativo di concepire l’opera letteraria in sé: dopo secoli nei quali, in maniera più o meno marcata, la piena realizzazione di un’opera avveniva nella sua recitazione, il libro, che prima aveva soltanto lo scopo di conservare gli scritti e tramandarli alla memoria, diventa il principale mezzo di fruizione del prodotto artistico di un poeta o di un prosatore. Callimaco è il principale promotore anche di questa innovazione, tant’è vero che è stato definito “editore di sé stesso”, a sottolineare come per primo abbia pensato le proprie opere per essere pubblicate scritte, e non declamate a un pubblico.

Ecco, e qui si inserisce il mio discorso. Infatti, troppo spesso la cultura ellenistica viene presentata come qualcosa di assolutamente a sé stante, ovvero privo di antecedenti, come una svolta completamente nuova che non ha alcun collegamento con quanto la precede. Nulla di più falso, come già anticipato qualche paragrafo fa, anche se bisogna, per spezzare una lancia in favore di una simile interpretazione, ricordare che Callimaco stesso, piuttosto che sottolineare le proprie affinità con la tradizione, ne ha spesso preso le distanze. Tuttavia, da alcuni frammenti che ci sono giunti di Antimaco di Colofone, vissuto diversi decenni prima di Callimaco e da quest’ultimo giudicato un pessimo poeta,  possiamo capire che i punti di contatto tra i due sono molti, e su diversi aspetti, alcuni più evidenti altri meno.

Sono finalmente arrivato all’argomento del post, quello cui faccio riferimento nel titolo, dopo ben quasi 500 parole in cui parlo d’altro. Non è una digressione inutile, diversi elementi di cui ho parlato prima torneranno utili in seguito. Perciò, dichiaro ufficialmente conclusa la premessa. Possiamo procedere.

Di Antimaco sappiamo molto poco e non ci sono giunte opere intere. Possediamo però un discreto numero di frammenti.

Antimaco di Colofone
La sua opera principale è la Tebaide, un poema epico di ben 24 libri. Uno dei punti cardine nonché uno degli elementi innovativi della poetica di Callimaco è la brevità. Essere sintetico non era esattamente lo spirito con cui scriveva Antimaco, la lunghezza del suo poema ne è la dimostrazione, e infatti, come accennavo prima, sappiamo che Callimaco non apprezzava per nulla la poesia di Antimaco.

Ci sono giunte diverse notizie riguardo alla poetica di Antimaco. Sappiamo che il suo stile era concettoso e barocco, tutt’altro che semplice e immediato, sappiamo che amava inserire riferimenti eruditi e complicati, sappiamo che aveva Omero come modello linguistico, ma soprattutto ci è giunta notizia, in uno scolio, di una presunta κδοσις di Omero curata proprio da Antimaco, una κδοσις esattamente come avrebbero composto i filologi di età ellenistica qualche secolo dopo (la veridicità di quest’informazione è stata messa in dubbio perché non ne abbiamo accenni da nessuna altra fonte, ma alla luce di tutto il resto le conclusioni non cambiano). Fatto ancora più importante, ci è giunta notizia che Antimaco utilizzasse in modo critico l’ipotesto omerico. In altre parole, quando scriveva sceglieva termini presenti nei poemi di Omero il cui significato era incerto (le cosiddette “glosse”) e li utilizzava in modo tale da comunicare al lettore la propria interpretazione di quella parola. Questa  pratica sarà ripresa da figure dell’età ellenistica come Apollonio Rodio, bibliotecario di Alessandria, poeta, erudito, autore tanto di poemi quanto di scritti critici su Omero e altri autori. Antimaco può essere dunque considerato (e probabilmente tale si considerava lui stesso) un poeta erudito a tutti gli effetti, e lo era quando Callimaco e i suoi successori dovevano ancora nascere.

Definire quindi Antimaco un precursore di Callimaco in primis e dell’ellenismo in generale alla luce di queste considerazione appare assolutamente naturale. Per quanto Callimaco disprezzasse Antimaco e per quanto sicuramente non da quest’ultimo provenissero gli stimoli che lo hanno portato a creare la figura del poeta filologo, ciononostante Antimaco resta comunque un antecedente che non si può trascurare. Antimaco e Callimaco giungono dunque a risultati molto simili, ma attraverso percorsi profondamente diversi.

Ma le somiglianze non si fermano qui, agli aspetti più superficiali e a quelli tramandati dalle fonti. A parer mio, e lo sottolineo perché qui più che a dati accettati dalla critica passo a fare riferimento a interpretazioni mie personali, si può instituire un paragone anche a un livello più sottile, un livello che, mi pare, sia stato trascurato. Penso perciò che sia interessante osservarlo, perché potrebbe suggerire che la modernità di Antimaco rispetto alla sua epoca fosse ancora maggiore di quello che può apparire. Per fare ciò voglio prendere in esame uno dei frammenti della Tebaide che ci sono giunti, quello che, come spiega la fonte che ce lo tramanda, ovvero Eustazio di Tessalonica, era l’incipit del primo libro.

L’edizione cui faccio riferimento è quella dei frammenti di Antimaco curata da Heinrich Wilhelm Stoll. Il verso analizzato è il frammento numero uno secondo la numerazione di quest’edizione.

Così recita il frammento:

Ἐννέπετε Κρονίδαο Διὸς μεγάλοιο θὺγατρες,

che in italiano significa:

Cantate, o figlie del grande Zeus figlio di Crono

Intanto, è chiaro che qui Antimaco ha presenti gli incipit dell’Iliade e dell’Odissea. L’influenza del primo si nota nell’accumulo dei genitivi, l’influenza del secondo invece nell’uso del verbo  εννέπω. A fronte di queste somiglianze, sono però evidenti le differenze. Dove infatti i versi di Omero sono dotati di una semplicità fresca e schietta, che introduce l’azione in modo diretto ed efficace, il verso di Antimaco è decisamente più pomposo. Addirittura, mentre sia nell’Iliade che nell’Odissea l’argomento dell’intero poema è sintetizzato in una sola parola che viene collocata all’inizio del verso, Antimaco deve scalzarlo al verso successivo (che non ci è giunto) per lasciare posto all’altisonante aggettivazione di Zeus, che consiste in un patronimico e in un epiteto di sapore epico. Non voglio soffermarmi però sulle differenze tra Omero e Antimaco; vi accenno soltanto per permettervi di toccare con mano quel colorito retorico che, come dicevo, avvicina la Tebaide all’epica ellenistica.

 
Eteocle e Polinice, protagonisti della Tebaide

Salta subito agli occhi l’elaborazione formale che caratterizza questo verso. Ha infatti una struttura chiastica, con il verbo ἐννέπετε e il suo soggetto θὺγατρες agli estremi e gli aggettivi Κρονίδαο e μεγάλοιο come termini medi. La parola Διὸς rimane spaiata, e risulta non essere semplicemente alla metà e quindi al centro del verso (considerando il verso come un segmento), ma addirittura al centro del chiasmo. Questo verso parrebbe configurarsi quasi come una doppia invocazione: la prima, esplicita e tradizionale, alle Muse (indicate con la perifrasi “figlie di Zeus”), e la seconda, implicita, a Zeus, che trovandosi a metà chiasmo e al centro della prima invocazione, è un po’ come se ne fosse la colonna portante, il fulcro, quell’elemento senza il quale neppure l’invocazione alle Muse avrebbe senso. 

Ma l’abilità di Antimaco non si limita a questo. Esiste un altro aspetto che sottolinea la centralità di Zeus, un aspetto più nascosto del chiasmo, ma che a una lettura un po’ più attenta emerge subito. Tutte le parole del verso sono di otto lettere. Tutte tranne Διὸς, che è di sole quattro lettere. Esattamente la metà delle altre. E, vista l’analogia già presupposta sic come si parla di un segmento, anche il centro.

Quest’ultima caratteristica non è solo indice della grande perizia retorica di Antimaco, che lo allontana ulteriormente dalla semplicità omerica, ma può indurre anche ad un’altra riflessione, che poi è lo scopo per il quale ho presentato il frammento. È evidente che questa peculiarità del numero di lettere non può essere colta da un pubblico che si limita ad ascoltare il poema. Per accorgersi di questo bisogna per forza poter leggere il poema, perciò quello che mi viene da pensare è che Antimaco, ben prima di Callimaco, avesse progettato un’opera letteraria in modo che trovasse la sua fruizione migliore nella lettura. Naturalmente l’evidenza di un unico frammento non può costituire una prova né una dimostrazione. Può però come minimo sollevare il dubbio, e aprire uno spiraglio su un aspetto di modernità di Antimaco rispetto ai suoi tempo che ancora non era stata sottolineata. Per avere più certezze bisognerebbe possedere stralci più ampi del suo poema, cosa che per ora non ci è possibile.

Potremmo dunque con qualche riserva affermare che Antimaco è stato editore di sé stesso ben prima che lo fosse Callimaco.

Si potrebbe anche obiettare che questa particolarità delle lettere sia semplicemente un’altra sfaccettatura del colorito retorico e artificioso della Tebaide. In realtà io non lo credo. L’artificiosità di Antimaco e degli altri poeti a lui contemporanei è per la maggior parte stilistica, comporta perciò l’uso di metafore e similitudini oscure o elaborate, o di una sintassi o una costruzione del verso particolarmente elaborata, o di neologismi audaci. Tutte caratteristiche che rendono difficile la comprensione del testo, ma non sfuggono a un ascoltatore. Questo aspetto del numero di lettere invece è differente proprio perché non complica la comprensione ma risulta percepibile soltanto se il testo viene letto. Per questo, secondo me giustificarlo dicendo che è dovuto al’artificiosità di Antimaco non basta ed è un errore.
 
"Non nominate il nome di Zeus invano!"
Che dire, dunque? È un gran peccato che di Antimaco ci sia giunto così poco, perché, limitandosi ad analizzare questo poco, ci rendiamo conto di avere di fronte un poeta di tutto rispetto, la cui opera dà adito a interpretazioni interessanti e che rivela una modernità impressionante rispetto al periodo in cui scrive, e che rivela come molte delle novità di Callimaco per molti aspetti non erano novità.

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