Come potete intuire dal titolo, mi sono
dato alla fantascienza. In realtà è per ora una semplice parentesi, volta
perlopiù a colmare la mia enorme lacuna nelle letture di questo genere. Perciò,
per riparare almeno un poco a questa mia ignoranza ho deciso di leggere quello
che costituisce praticamente la base di tutta la fantascienza moderna, ovvero
la Trilogia della Fondazione di
Asimov.
E a questo punto sorge spontanea una
domanda. La stessa che mi sono posto anche io. La stessa che mi rendeva
dubbioso riguardo al recensire Asimov oppure no. Ha senso parlare di grandi
della letteratura, di pilastri di genere, di libri su cui persone migliori di
me hanno già versato fiumi di inchiostro sflangiando le gonadi a tutti?
In realtà sì. Nel senso che quando scrivo
qui sopra non è che mi aspetto di cambiare la storia della critica moderna, né
semplicemente di dire la mia opinione. Come se pensassi che la mia opinione
interessi a qualcuno. Il mio obiettivo quando scrivo è sì dire la mia su un
argomento che mi interessa ma anche sperare di indirizzare le future letture di
chi capita qui. Magari arriva l’utente indeciso se comprare un libro o no,
legge me e si decide a farlo. Oppure se ne allontana manco fosse la peste
bubbonica, è uguale. Il punto è che spero che in qualche modo le mie recensioni
non siano un mio parlare al vento ma anche uno strumento per indirizzare i miei
utenti. In quest’ottica diventa sensato anche recensire un libro che ha fatto
storia nel genere cui appartiene.
Dopo questa premessa possiamo cominciare
con Prima Fondazione. Che, se è un
pilastro del suo genere, verrebbe da chiedersi se qualcuno ha per caso sentito
la fantascienza scricchiolare.
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Autore: Isaac Asimov
Anno: 1951
Editore: Mondadori
Pagine: 210
TRAMA
Tutto l’universo è ormai sotto il
controllo dell’impero galattico, che si estende per miliardi e miliardi di
pianeti e mantiene il comando da qualcosa come diecimila anni. La situazione
non è però così rose e fiori. È nata da tempo una nuova scienza, la
psicostoriografia (o psicostoria a seconda delle traduzioni italiane), che
studia il comportamento delle masse in rapporto alla probabilità di un’azione, valuta cioè le possibilità che una massa di persone faccia o non faccia
qualcosa. Il fondatore della psicostoriografia è lo psicologo Hari Seldon che,
grazie alla sua invenzione, ha anche fatto un’altra scoperta: nel giro di poco
tempo l’impero galattico crollerà, e seguiranno al crollo trentamila anni di
barbarie. Seldon decide così di ideare un piano non per impedire la barbarie,
ritenuta ormai inevitabile, ma per ridurne sensibilmente la lunghezza: soltanto
mille anni. Nasce così il piano Seldon, che prevede la creazione di una
Fondazione all’estremità dell’universo, che cataloghi in un’enciclopedia tutto
lo scibile umano e lo mantenga intatto in vista della barbarie. Il libro si
propone di seguire le vicende della Fondazione per i primi duecento anni dalla
sua creazione.
LA MIA OPINIONE
La Trilogia
della Fondazione è un’opera dal respiro epico che si estende per centinaia
di anni. O meglio, sicuramente mira ad essere un’opera epica. In realtà, in
questo primo romanzo quest’obiettivo a mio parere è molto mal realizzato. Forse
dirò un’eresia nei confronti degli appassionati, ma a me Prima Fondazione non ha fatto per nulla impazzire. Anzi.
"Ma veramente..." |
Ciascuna delle cinque parti ha un
protagonista diverso. E, escluso il protagonista della prima, Gall Dornik,
tutti gli altri sono uguali. Cambiano i nomi, cambiano i loro ruoli, e basta,
sono la stessa macchietta riproposta ogni volta. Tutti personaggi intelligenti,
tutti in grado di risolvere le situazioni in cui si trovano, tutti che non
amano agire in modo diretto ma per la maggior parte restano dietro le quinte
mentre i loro piani si sviluppano. Il peggiore è il protagonista della quarta parte, Limmar Ponyets. Gaal invece, che è un povero provinciale che
abita un pianeta all’estremità della galassia, è ingenuo, semplice e ignorante,
e come tale si comporta per le quaranta pagine scarse a lui dedicate. È
simpatico, nonostante non faccia altro che lasciarsi controllare da Hari Seldon, e leggere di lui è comunque meglio che leggere di quei fantocci tutti uguali.
Voglio dire, Salvor Hardin (il protagonista della seconda e della terza parte)
ancora si salva ma solo perché è il primo personaggio con quel carattere. Gli
altri, che sono soltanto delle sue copie, stufano dopo poco, e infatti neppure
me ne ricordo i nomi.
La storia è troppo episodica per
appassionare. Molti aspetti sono trattati in modo frettoloso o sciapo, e in
generale non viene dedicato loro tempo e spazio a sufficienza perché il lettore
possa farsene conquistare. Le situazioni vengono sciolte in modo spesso troppo
rapido. L’unica parte che si salva sotto questo aspetto è la terza, quella in
cui Salvor Hardin si reca su Anacreon, perché gli eventi non sono tanti e sono
narrati in modo disteso e non frettoloso. Inoltre vengono presentati personaggi
decisamente ben caratterizzati (il principe Leopoldo e il reggente Wienis) che
contribuiscono a colorare la storia e a renderla più interessante. A parte
questo (e in realtà anche la prima parte perché, non finirò di ripeterlo, Gaal
mi sta simpatico), il resto scorre in modo non dico noioso ma sicuramente meno
coinvolgente e piacevole.
Spesso Asimov ha la pessima abitudine di
raccontare i fatti. In pratica, invece che mostrare al lettore gli eventi si limita a farli raccontare dai personaggi, e questo, io credo, abbatte molto l'interesse. Per una buona fetta del romanzo assistiamo a personaggi che raccontano
i risultati del loro piano, piuttosto che essere noi a guardarli attraverso i
loro occhi. Per esempio, la seconda parte, la prima con protagonista Salvor
Hardin, se la cava bene fino alla fine (a parte la erre moscia di Lord Dorwin,
che rovina un personaggio altrimenti ben congegnato) e poi alla rivelazione
finale crolla. In quattro righe Salvor Hardin dice “in realtà ho vinto”. E
vince lui. Fine. Un anticlimax pazzesco, che distrugge il picco di tensione che
si era creato fino a quel momento.
Se dovessi quindi fare una classifica
delle cinque parti metterei la prima (c’è Gaal, quello simpatico, ricordate?) e
la terza allo stesso livello, poi la seconda e la quinta a pari merito e infine
la quarta. La quarta parte è proprio brutta, gente. Personaggi inconsistenti o
fotocopia di altri, trama raffazzonata e anche un po’ confusionaria e
personaggi che raccontano cose che andrebbero mostrate come se non ci fosse un
domani. Meno male che almeno è corta, appena una quindicina di pagine.
Asimov prima e dopo essersi tagliato i basettoni. |
Ora, so che l’episodicità non è indice
dell’incapacità di Asimov, ma ha una precisa ragione: le varie parti sono state
all’inizio pubblicate separatamente e poi sono diventate un unico romanzo.
Questo però non toglie che il risultato che ne esce fuori non sia il massimo. Del
resto, anche gli altri due romanzi (che recensirò a breve) sono stati
inizialmente pubblicati in parti, eppure sono libri di grande qualità.
E fin qua una carrellata di cose
negative. Non c’è però soltanto del marcio in Prima Fondazione, anzi. La trama, per quanto non coinvolgente, è
davvero ben congegnata. Non ci sono personaggi che fanno cose stupide, o che
agiscono perché la trama dice così, ma ogni evento ha una precisa causa logica
e meditata. Inoltre è articolata ed elaborata, ricca di colpi di scena e di
situazioni inaspettate, che complicano la situazione fino alla risoluzione
finale. Se fosse più coinvolgente sarebbe il massimo, perché è davvero ben
costruita. Seguire certi snodi diventa un piacere, perché dalle situazioni più
gravi i personaggi riescono a inventare idee per uscirne che non suonino tirate ma coerenti e sensate. Inoltre quando mette da parte la fretta e dà agli
argomenti lo spazio dovuto Asimov riesce a creare tensione in modo molto
efficace. Il fatto è che, almeno in questo romanzo, quest’abilità di Asimov non
viene più di tanto alla luce.
C’è da lodare l’accuratezza con cui ogni
evento è costruito. Pare che di recente mi capiti di lodare spesso questa
caratteristica negli autori che leggo (l’ho fatto anche recensendo Miyazaki), ma
forse questo è l’aspetto più peculiare di Asimov. Ogni cosa viene trattata con
una grandissima cura. Gli elementi scientifici sono precisi e approfonditi, ma
l’autore non si perde in lunghi spiegoni, anzi, ai lettori non viene
praticamente spiegato niente. Quando scrivo approfonditi intendo che Asimov
conosceva bene quello di cui parla, e infatti la narrazione non risulta mai
incredibile o assurda.
Quello che tentano di spacciare oggi per fantascienza. |
La scrittura di Asimov è buona. È scarna
ed essenziale, a volte è un po’ asettica, e quindi può rendere difficile al
lettore capire e simpatizzare con i personaggi. Mi è capitato un po’ di volte
di far fatica a comprendere gli stati d’animo dei personaggi, perché appunto
sono spiegati in modo fin troppo distaccato. Ma del resto abbiamo visto che con
alcuni personaggi si riesce a simpatizzare comunque (chi ha detto Gaal? O anche
i governanti di Anacreon), mentre i personaggi che risultano più freddi sono
anche quelli che valgono di meno, come tutte le fotocopie di Salvor Hardin.
Quindi non posso lamentarmi, anzi, a volte, specialmente nelle descrizioni, lo
stile diventa poetico e lirico, dando alle scene efficacia e leggerezza.
Infine, merita una menzione il fatto che
le situazioni politiche, militari e storiche presenti nel romanzo sono
credibili e create con intelligenza. Questo non solo grazie alla precisione di
cui parlavo prima, ma anche al fatto che Asimov, per la scrittura della trilogia,
si sia ispirato a un libro di Gibbon, La
caduta dell’impero romano. Questo ha ispirato l’idea di un impero in
decadenza e di una barbarie imminente. E l’appassionato di storia romana del
tardo impero che è in me non ha potuto fare a meno di andare in brodo di
giuggiole quando lo ha scoperto.
Il Gibbon che ha ispirato Asimov. |
IN CONCLUSIONE
Prima
Fondazione non è un
gran romanzo. Ha alcuni lati positivi, come l’accuratezza dei dettagli,
l’abilità con cui è costruito l’intreccio e alcuni personaggi che non sono da
buttare via, e altri negativi, come l’episodicità e lo scarso coinvolgimento
della trama e la scarsa riuscita di un buon numero di personaggi. È un libro
che consiglio, ma soltanto perché è indispensabile per leggere i successivi.
Quelli che valgono la pena.
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