Accennavo sulla pagina fb che sto avendo
miliardi di cose da fare in questo periodo e poco tempo per dedicarmi ad altro.
Voglio però riprendere a postare con regolarità. Questo è quindi l’inizio di
una nuova serie di post che (si spera) non avranno più un mese tra uno e
l’altro.
Tengo fede alla promessa che facevo
tempo fa. Dopo mesi che siamo lontani torniamo perciò nel Medio Mondo, a
trovare Roland e i suoi compagni dove li avevamo lasciati, oltre la città degli
smeraldi in stile Mago di Oz, dopo la morte di Tick Tock (con somma gioia di
tutti i lettori che come me lo avevano odiato), di nuovo in cammino lungo il
sentiero del Vettore. Sono certo che anche a voi è mancata la compagnia di
Jake, Susannah, Eddie, Oy e Roland, sono certo che anche voi come me non vedete
l’ora di incontrarli di nuovo.
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Autore: Stephen King
Anno: 2003
Editore: Sperling &Kupfer
Pagine: 643
TRAMA
Dopo il mega flashback di La sfera del buio torniamo alla carica
con una bella carrellata di eventi. Eddie e Jake viaggiano a Contezza e tornano
da Calvin Torre, l’uomo che in Terre
desolate aveva venduto a Jake il libro di Charlie Ciù-Ciù, qualcosa di
pericoloso e sconosciuto comincia ad albergare dentro Susannah, qualcosa di cui
Roland ha ben presto consapevolezza, e il gruppo giunge a Calla Bryn Sturgis,
un paese che da tempo ormai è vessato da una dannosissima piaga. Ogni 23 anni
dei banditi chiamati lupi giungono a Calla e rapiscono un bambino dalle coppie
di gemelli. I piccoli vengono restituiti tempo dopo danneggiati nella mente in
modo irrimediabile, ridotti a uno stadio di stupidità, destinati a crescere
molto e in modo rapido e a morire molto giovani. Il ka-tet di Roland decide di
aiutare il paese a difendersi dall’arrivo dei Lupi, che ormai è solo questione
di settimane. Sembra solo un momento di stacco dal viaggio, ma in realtà a
Calla Bryn Sturgis c’è molto che a Roland e compagni potrebbe interessare
conoscere e che potrebbe diventare di fondamentale importanza per la loro
missione.
LA MIA OPINIONE
Stiamo parlando di Stpehen King. Quando
Stephen King scrive qualcosa che non mi piace lo si capisce da come ne parlo
anche dalla prima parola. Lo stesso per quando scrive qualcosa che mi piace.
Quindi immagino che ci siano pochi dubbi a proposito, penso che nessuno di voi
sia stato anche solo sfiorato dall’idea che io non abbia apprezzato I Lupi del Calla.
"Cameriere! Due aramostre, subito!" |
Siamo al quinto volume della serie, potrebbe essere legittimo aspettarsi che la narrazione cali un po’, che comincino a essere date delle risposte agli interrogativi posti nei libri precedenti e che queste non soddisfino le aspettative, potrebbe essere legittimo aspettarsi di tutto di negativo. Voglio dire, il numero 5 porta male. Il quinto volume di Tokyo Ghoul è quello che mi è piaciuto di meno. Il quinto libro di Harry Potter è un mattonazzo gigantesco. Il quinto volume di Hunter x Hunter è una deviazione dalla trama, bella quanto volete ma pur sempre una deviazione. Più in generale, capita che i libri centrali di una serie siano più deboli rispetto a quelli iniziali e a quelli finali, perché la trama risulta allungata un po’ troppo e molti eventi suonano solo come dei riempitivi in attesa del gran finale. Bé, a onor del vero sulle prime I Lupi del Calla sembra davvero tanto un filler in stile episodi di Garlick Jr. in Dragon Ball tra la saga di Freezer e la saga di Cell. Mentre leggevo il primo capitolo nella testa avevo un solo pensiero, che può sintetizzarsi in “tutto bello, ma che c’entra?”. Non è nemmeno da dire che mi sbagliavo, e basta arrivare al punto del viaggio a Contezza per rendersi conto che di carne al fuoco ne viene messa parecchia. Altro che filler. Una delle cose più interessanti è sicuramente la faccenda del numero diciannove, che è davvero la cosa che più attira chi legge, forse anche grazie alle battute che Eddie ci costruisce sopra, come «andare a diciannove» per dire andare in fumo. In breve, comunque, la cosa è questa: capita che in quasi ogni cosa sia possibile trovare questo numero. Il robot Andy usa la Direttiva Diciannove, i personaggi hanno nomi di diciannove lettere, eccetera. Davvero davvero coinvolgente, io non vedevo l’ora di sapere dove avrebbero portato tutte queste coincidenze!
L’apparizione nella storia di alcuni
libri scritti dall’autore stesso è un altro fatto che mi è piaciuto molto,
aggiunge sale alla trama, ed è un’altra caratteristica che invita molto la
lettura. Direi che una delle qualità principali del libro è questa, offrire
tutta una serie di fatti curiosi che verranno spiegati successivamente e che lì
per lì mettono moltissima voglia di continuare. E rendono il romanzo
particolare, avvincente e stimolante.
Da questo libro comincia a vedersi un
filo conduttore preciso e lineare, molto più che nei romanzi precedenti.
Diciamoci la verità, i primi quattro libri possono essere considerati degli
stand-alone. Almeno nella misura in cui possono esserlo considerati anche i
libri di Harry Potter, non so se mi spiego. Le vicende della storia principale
si sviluppano in tutta la serie, ma in ogni libro c’è una trama che comincia e
si conclude. Non che questo sia un male, anzi, né significa che l’autore si
comporti così perché ancora non conosce come evolverà la storia (la carissima
Rowling lo sapeva mentre zio Steve non ne aveva la minima idea, eppure nessuno
si lamenta). Dicevo, dunque, che da questo libro non c’è più nulla di
episodico, ma il plot va a distendersi in maniera uniforme nei vari romanzi. È
vero che c’è una vicenda che ha un inizio e una fine, ma le cose lasciate a
metà sono talmente tante e importanti che ha davvero poco senso pensare che
possa essere considerato autoconclusivo, anche in senso lato.
Questo è sicuramente un punto di
miglioramento per la storia. Non nascondo che quando Stephen King si inventava
le cose più strane senza sapere come le avrebbe spiegate questa sua ignoranza
di fondo non si notava per niente, anzi, dissimulava proprio bene. Era un mago
a cui riesce il trucco ma neppure lui sa come fa. Devo però anche aggiungere
che ora che sa quello che fa e che ha in mente tutto lo svolgersi della vicenda
fino alla fine la narrazione acquista forza ed energia in più. Non so bene
spiegare come né perché, sta di fatto che la penna pare scrivere in modo più
sicuro, più energico. Forse è semplicemente una mia impressione, dovuta al
fatto che so che ora King non improvvisa più, non lo so, sta di fatto che l’ho
sentita. E mi ha fatto molto apprezzare la lettura.
La saga della Torre Nera si configura ne
I lupi del Calla, anche se già indizi
di ciò si potevano trovare ne La sfera
del buio, come centro della produzione kinghiana, come fulcro attorno al
quale ruotano tutte le storie che ha scritto. In senso letterale: è mostrata la
via attraverso la quale si giunge ai vari presenti alternativi in cui sono
ambientate. Non stupisce dunque che appaiano delle vecchie conoscenze per i
Fedeli Lettori. Prima di dire a che cosa mi riferisco, andiamo con ordine.
Non so se avrò mai l’occasione di
parlarne in modo puntuale qui, comunque Le
notti di Salem, il secondo romanzo di Stephen King, quello che lo ha
etichettato in modo definitivo come scrittore di horror, a me non è piaciuto. Non è Abyss
naturalmente, ma siamo lontani da quello che può definirsi un libro anche solo
accettabile. Comunque, tra le poche cose che salvo ci sono il personaggio di
padre Donald Callahan e la scena del suo confronto con il vampiro, che è un
piccolo capolavoro di tensione in mezzo a eventi che la tensione non sanno fare
altro che ammazzarla. Ecco, ne I lupi del
Calla il prete fa la sua comparsa (e anche come un personaggio
importante!), e la scena con il vampiro viene riproposta in modo praticamente
identico. Tra l’altro, ne Le notti di
Salem la storia di padre Callahan viene narrata fino a un certo punto e poi
basta, viene abbandonato, così di punto in bianco, senza che nulla fosse
concluso. Zio Steve ha poi dichiarato che all’epoca non sapeva perché aveva
sentito di dover lasciare a metà le vicende del prete, e quando ha cominciato a
scrivere la Torre Nera si è reso conto che doveva riprenderlo, che lo aveva
abbandonato in attesa di riprendere a raccontare la sua storia insieme a Roland
e compagni. Sappiamo tutti che Stephen King dice che le sue storie si
costruiscono da sole e che lui si limita soltanto a raccontare quello che i
personaggi fanno di propria spontanea volontà, quindi in quest’ottica il suo
discorso ha senso. Comunque sia, padre Callahan è un personaggio che se non è
né simpatico né piacevole è comunque ben caratterizzato e perciò è se non altro
interessante sentire raccontare di lui, perciò non può che essere positiva la
sua apparizione.
Padre Callahan si prepara ad affrontare i vampiri. |
Il romanzo tiene il ritmo abbastanza bene,
va detto. In pratica, il grosso del libro si focalizza sul periodo in cui
Roland, Eddie, Jake, Susannah e Oy attendono i lupi a Calla Bryn Sturgis,
preparando nel frattempo un piano per sconfiggerli insieme agli abitanti. Si
intersecano a questo varie altre sottotrame, alcune che poi andranno a rivelare
eventi molto importanti per quanto succederà nei volumi successivi. Il tutto
non annoia, anche se bisogna dire che la parte in mezzo è più sotto tono
rispetto all’inizio e alla fine. Non dico che sia inutile o che si trascini
implorando il lettore di mettere fine alla sua lenta agonia, non dico che sia
un palese cumulo di vuoto come le pagine tra 70 e 510 de Il richiamo del cuculo (a me la Rowling giallista non piace, dite
quello che volete ma mi ha annoiato a morte), ma non è neppure un focolaio di
eventi che si susseguono uno dietro l’altro senza lasciare un attimo di
respiro. Del resto, questo è un fatto che ho notato in molti romanzi di Stpehen
King, anche quelli più acclamati. Un solo esempio, 22/11/63. Non ditemi che la
parte a metà del libro non l’avete trovata molto meno scorrevole del resto,
perché allora abbiamo letto due cose diverse.
Ad ogni modo questo non significa che il
libro non si legga bene, anzi. Riesce a suscitare la quantità di interesse
sufficiente per permettere di continuare senza stancarsi. La trama è ben
costruita e ben articolata, e per questo il colpo di scena finale, per quanto
intuibile, comunque riesce a creare nel lettore quella giusta quantità di
stupore. Insomma, parte un po’ sotto tono o meno, si lascia seguire in modo
piacevole e a tratti appassionante.
Non serve, credo, che spenda altre
parole sulla scrittura di Stephen King. King scrive da dio e lo sappiamo, e
questo libro non fa eccezione. Una scena in particolare verso la fine è scritta
in modo fantastico, ma non aggiungo altro per non fare spoiler, e poi, come
dicevo prima, anche il confronto tra Callahan e Barlow è un fantastico picco di
stile. Ma tutto il libro si mantiene su livelli invidiabili.
Non mi dilungherò nemmeno sui personaggi principali, ormai li conosciamo da quattro libri e sappiamo che sono caratterizzati in modo ottimo. L’unico aspetto notevole a questo proposito è la crescita di Jake, che comincia a svilupparsi durante la storia e si conclude alla fine del libro, con la sua prima sigaretta a significare il suo definitivo passaggio a un’età maggiore. È un momento abbastanza delicato e toccante, reso molto bene, e questo non può che essere buono, visto che parliamo di uno dei personaggi migliori della storia. Sarà da questo libro in poi che il legame tra Jake e Roland diverrà sempre più stretto.
I personaggi nuovi, invece, a parte
padre Callahan, ovvero gli abitanti del Calla, sono caratterizzati in modo
vario, chi meglio e chi peggio a seconda di quanta importanza hanno poi nella
storia. Di conseguenza in certi casi si poteva fare di meglio in certi di
peggio, ad ogni modo che personaggi minori siano caratterizzati peggio non
costituisce certo un problema.
IN CONCLUSIONE
I
lupi del Calla è un
signor romanzo, che unisce bene lo stile autoconclusivo dei precedenti con
quello scopertamente continuativo del successivo. Un ottimo libro, dunque, che
proietta la saga della Torre Nera verso un penultimo volume che, visti gli
eventi del finale, aprirà porte (in senso anche letterale!) per nuove
possibilità e nuovi sviluppi imprevisti.
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