Alla fine de I lupi del Calla la situazione era precipitata in modo rapidissimo.
Susannah è fuggita attraverso la porta e ha viaggiato tra i mondi controllata
da Mia, un demone nato dentro di lei che ha il compito di partorire. Soltanto
due vettori ormai reggono i mondi, e nel covo dei lupi i Frangitori sono in
continuazione al lavoro per distruggerli. Il Re Rosso ha quasi completato il
suo progetto di gettare i mondi nel caos. Roland e il suo ka-tet, affiancati da
padre Callahan, hanno poco tempo per tentare di risolvere la situazione.
Seguiamoli dunque in questa penultimo volume delle loro avventure, che riserva
per i lettori davvero delle sorprese inaspettate.
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Autore Stephen King
Anno: 2004
Editore: Sperling & Kupfer
Pagine: 400
TRAMA
Il ka-tet di Roland si divide in due
gruppi. Entrambi viaggiano attraverso i mondi per giungere a New York in
momenti differenti. Oy, Jake e Padre Callahan arrivano nel 1999
all’inseguimento di Susannah e Mia, per impedirle di recarsi dai servi del Re
Rosso che sono stati incaricati di farla partorire. Mia ha stipulato un patto
con l’uomo in nero, Walter O’Dim, o Randall Flagg, come gli piace farsi
chiamare, che prevede che una volta partorito il bambino sarà consegnato a lei
insieme al difficile e onorevole compito di crescerlo.
Roland ed Eddie sono nel Maine nel 1977,
con lo scopo di verificare l’acquisto da parte di Calvin Torre del pezzo di
terra che contiene la rosa, probabilmente manifestazione di uno dei vettori
ancora in piedi. Qui, in seguito a una serie di eventi, trovano rifugio presso
un uomo, John Cullum, e dopo essere stati con lui decidono di fare visita a una
persona che hanno sentito nominare spesso e che sono certi abbia un ruolo molto
importante nella loro vicenda. Una persona che, casualmente, abita proprio nel
Maine...
Il peggior nemico dell'uomo in nero. |
LA MIA OPINIONE
La
canzone di Susannah è
diverso dai romanzi che lo precedono. Avevo accennato a questo cambiamento già
nella recensione de I lupi del Calla, e
ora è il momento di parlarne con precisione. Se I lupi del Calla aveva una sua vicenda autoconclusiva ma poi
lasciava aperte alcune vicende molto importanti perché fossero svolte e risolte
nei libri successivi, La canzone di
Susannah abbandona completamente lo stile autoconclusivo per diventare il
tassello centrale di un puzzle composto dagli ultimi tre libri. Le vicende
narrate in questi tre romanzi sono uniche, La
canzone di Susannah non ha senso se non dopo I lupi del Calla e prima de
La Torre Nera. Infatti non abbiamo qui un inizio uno svolgimento e una
fine, abbiamo soltanto lo svolgimento, che riprende e sviluppa quanto era stato
lasciato in sospeso ne I lupi del Calla
e lo proietta poi verso la sua conclusione nel volume successivo.
Questa trasformazione, almeno su di me,
ha avuto un effetto positivo. Ha innanzitutto rinnovato lo spirito della saga e
le sue modalità di sviluppo. Non che ce ne fosse bisogno, ma è stata comunque
benvenuta. Inoltre ha reso ancora più grande la tensione verso gli sviluppi
dell’ultimo volume. Se anche questo fosse stato autoconclusivo come potevano
esserlo il primo o il secondo sono certo che lo stacco con La Torre Nera sarebbe stato meno incisivo e meno efficace. Così
invece ha funzionato alla perfezione.
La carne messa al fuoco in questo libro
è davvero molta. Cominciamo con l’imminente nascita del figlio di Susannah/Mia,
che si chiamerà Mordred, e del quale si scopre l’identità del padre. Siamo di
fronte al primo grande colpo di scena del romanzo, e anche a uno dei momenti
meglio arrangiati di tutta la saga. Stephen King, quando ancora scriveva senza
sapere che cosa sarebbe successo la pagina dopo, aveva fatto succedere
determinate cose, e ora che invece ha dei piani più precisi si esibisce in un
esempio di continuità retroattiva che fa quadrare le sue nuove idee con quello
che era già accaduto. Inutile dire che le cose funzionano a meraviglia, non dico che
sembra che lo zio Steve avesse tutto in mente fin dall’inizio ma quasi. Volete
un indizio su chi sia il padre di Mordred? Non è lui.
Mordred, io sono tuo...ah, no. |
Entrano poi in scena i cosiddetti uomini
bassi, che erano stati nominati nel romanzo precedente da Callahan, e viene
portato avanti il progetto di acquisto del terreno con la rosa-vettore. Ed è in
mezzo a questi sviluppi, di per sé molto interessanti, che avviene il secondo
grande colpo di scena del libro, quello che si poteva già subodorare dal volume
precedente ma che nessuno avrebbe mai creduto si sarebbe realizzato fino a
quando non lo ha letto con i propri occhi. Lo metto sotto spoiler perché è
bello grosso.
[SPOILER]In sostanza, a un certo punto della
storia Eddie e Roland si trovano a parlare con Stephen King stesso, lo Stephen
King del 1977, quello alcolista tanto per capirci. King si rappresenta in modo
divertito, autoironico e sincero, mostrando quali fossero i suoi punti deboli
all’epoca, i suoi lati fragili, e si rimprovera attraverso i suoi personaggi.
Non che sia quello lo scopo della sua apparizione, ma quando Eddie osservandolo
commenta con un po’ di distacco e un po’ di apprensione che beve un po’ troppo
bé, non si può non notare uno sguardo rassegnato e quasi di scusa dell’autore
verso il proprio passato. Oltre a essere geniale di suo, l’inserimento
dell’autore stesso come personaggio (non è originale, va detto, ma sicuramente
fa il suo effetto e risulta senz’altro inaspettato) costituisce anche uno
svolgimento non banale di un nodo della trama che risulterà fondamentale negli
eventi del libro successivo. Stephen King è la voce di Gan, il mezzo attraverso
il quale viene narrata la storia di Roland, tant’è vero che alla fine della sua
visita il pistolero lo esorta a continuare a scrivere, a non lasciare la serie
in sospeso, altrimenti la sua ricerca della Torre Nera non avrà mai una fine.
La cosa interessante è che questo prende spunto da una storia vera: c’è stato
un momento in cui Stephen King ha sognato che i suoi personaggi venissero a
fargli visita e lo esortassero a continuare! [SPOILER]
In questo volume non vengono introdotti
molti personaggi nuovi, non importanti almeno, a parte Mia, che viene
approfondita e dotata di una personalità interessante e sfaccettata. Quello che
fa King a questo giro è concentrarsi (come del resto aveva già fatto ne I lupi del Calla con Jake) sullo
sviluppo dei personaggi che ha già, e qui siamo al turno di Susannah. Susannah,
come dicevo nelle recensioni precedenti, era il membro del ka-tet che si faceva
sentire di meno, quello che non è che attirasse meno le simpatie del lettore ma
che sicuramente era non era presente quanto gli altri, non restava altrettanto
impresso. Quel genere di personaggio che resta sullo sfondo della storia e dopo
due giorni che hai chiuso il libro già lo hai dimenticato. Ecco, non so se
Stephen King si sia accorto di questo in corso d’opera, se fosse tutto già
programmato, se sono io che penso troppo o se è colpa del Chupacabra, comunque
in questo romanzo il punto di vista di Susannah viene assunto in modo stabile
(per ovvie ragioni, visto che rimane separata dagli altri quattro dall’inizio
alla fine), e questo permette al lettore di conoscerla bene, di imparare ad
apprezzarla non solo come soprammobile di contorno tanto bello e simpatico ma
di avere con lei un rapporto profondo e diretto come quello che ha con gli
altri personaggi. Insomma, se siamo arrivati a leggere al sesto libro non è
soltanto perché vogliamo sapere se Roland troverà la Torre Nera. Certo, quello
è importante, ma quello che conta sul serio non come finirà la storia, ma come
finiranno i personaggi. Perlomeno, questo vale per me, non so per gli altri. Io
sono arrivato al punto che quello che mi importava era trascorrere del tempo
con i protagonisti, più che la trama in sé. Ed è bello finalmente avere
occasione di legare anche con Susannah, oltre che con gli altri quattro.
Padre Donald Callahan contro Barlow il vampiro. |
Il ritmo del romanzo procede in modo
incalzante e imprevedibile. Un po’ grazie ai colpi di scena, un po’ grazie alla
sequela di eventi che si verificano uno dietro l’altro, ho trovato difficile
staccarmi dalla lettura. Lo stile coinvolgente di King unito alla sua capacità
di interessare e generare tensione trascina il lettore in una spirale dalla
quale è impossibile uscire finché non ha concluso il libro. Parlo per me, ma io
avevo una curiosità pazzesca di sapere che cosa sarebbe successo, che altra
idea inaspettata Stephen King avrebbe tirato fuori dal suo cappello a cilindro.
A tutto questo va aggiunto l’effetto che fa il finale, un brano tratto dal
diario di un personaggio che non svelo per non fare spoiler, che visto quello
che è stato detto nel libro pare annunciare che gli eventi precipiteranno in
modo incontrollabile se non verrà fatto qualcosa. C’è un altro fattore che
sconvolge il lettore nella lettura del finale, ma non posso rivelarlo per
questioni di spoiler.
Non che vada proprio tutto bene, qualche
critica da muovere la ho. Per esempio, l’inizio è più lento del resto del
romanzo, e a volte si perde un po’. Esempio. Chiunque abbia letto un libro di
Stephen King sa che questi conosce tutti i suoi personaggi, dal primo
all’ultimo, come le sue tasche. Ed è un’ottima cosa, è il motivo per il quale
sono così ben caratterizzati. Ecco, però non è necessario che anche il lettore
li conosca uno per uno come se li conoscesse da quando andavano all’asilo
insieme. Con i personaggi importanti è buono e giusto e importante che sia
così, con quelli che appaiono per tre pagine no. Anzi, è da evitare. Ne La canzone di Susannah ci sono qualcosa
come una quindicina di pagine dedicate a un personaggio che nella vicenda ha un
ruolo marginale, sparisce subito dopo e non apparirà mai più. Ma a che sono
servite? Dai, è un errore da dilettanti, lo fa Regazzoni per dirne una, non
posso trovarlo in un romanzo di Stephen King, romanzo che per quanto riguarda
tutti gli altri aspetti si mantiene su ottimi livelli. Mi rendo conto che sia
un peccato veniale, ma mi ha comunque lasciato l’amaro in bocca. Non doveva
esserci, bastava così poco per evitarlo!
IN CONCLUSIONE
A parte quello che ho appena scritto ciò
di cui posso lamentarmi è davvero poco e insignificante. La canzone di Susannah è un ottimo romanzo, coinvolgente ed
efficace, che, pur essendo in modo scoperto un ponte tra il quinto e il settimo
volume, raggiunge livelli eccellenti di caratterizzazione personaggi, colpi di
scena e tensione. È un tipico esempio in cui il libro-ponte verso il volume
finale non funziona da semplice connettivo in cui il brodo viene allungato. La canzone di Susannah ha molto da dire,
davvero davvero molto, e questo si sente.
Siamo quasi alla fine ormai. La Torre
Nera è sempre più vicina. Stringiamoci al nostro Din e prepariamoci all’ultima
parte viaggio.
VOTO:
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