Dopo la
svolta high fantasy con Heitz e il nano che “si erge in tutta la sua altezza”
(per chi se lo chiedesse sì, é una citazione e no, non è ironica) sono tornato a un buon vecchio urban fantasy. A dirla tutta ho
avuto anche una parentesi dedicata alla bilogia del mosaico di Sarantium di Guy
Gavriel Kay, ma mentre il primo libro mi è piaciuto molto il secondo mi ha
ucciso definitivamente a pagina 200. Comunque, sono tornato allo urban fantasy
e ho deciso di leggere American gods, di
cui avevo sentito giudizi molto lusinghieri e quindi ero molto curioso di
leggerlo. Casualmente, mi sono trovato a leggere subito dopo Pan di Francesco Dimitri, che con American gods presenta notevoli
somiglianze (ho letto pure Alice nel
paese della vaporità, ma quel libro non esiste o non lo ha scritto Dimitri,
quindi non parliamone più). E nonostante Pan
sia un libro migliore, conferma che Dimitri é uno scrittore di tutto
rispetto, anche American gods si è
rivelata un’ottima lettura.
__________________________________
Autore:
Nei Gaiman
Anno:
2001
Editore:
Mondadori
Pagine:
519
TRAMA
Shadow sta
per uscire di prigione dopo tre anni. Finalmente può tornare alla sua vecchia
vita, a sua moglie Laura e ai suoi amici. Questo é quello che crede. in realtà,
poco prima della sua scarcerazione gli viene annunciata la morte della moglie,
e viene assunto come guardia del corpo da un misterioso signore di nome
Wednesday. Wednesday nasconde più di un segreto, e non è un semplice umano come
sembra a prima vista: il suo obiettivo è radunare le vecchie divinità che
esistono nel mondo ma non vengono più venerate per farle combattere con i nuovi
déi, gli dèi della televisione, dei computer, della tecnologia e della
modernità. Una guerra tra coloro che sono stati dimenticati e coloro che ora
comandano, tra i reietti e abbandonati contro la moda. Una guerra nella quale
Shadow scoprirà di avere un ruolo molto maggiore di quanto avrebbe mai potuto
immaginare.
LA MIA OPINIONE
Come
dicevo avevo sentito dire solo buone cose su American gods, e in effetti posso confermare tutti i complimenti
che ha ricevuto. Credo che la traduzione italiana non abbia reso merito
all’originale, però, perché ho notato molti punti in cui erano presenti
sbavature stilistiche che, più che colpa di Neil Gaiman, mi sembrano colpa del
traduttore. Non ricordo esempi precisi, comunque sono fondamentalmente usi
eccessivi dell’aggettivazione e cose simili. Cose che insomma il traduttore
potrebbe aver reso un po’ troppo liberamente, finendo così per sporcare lo
stile di Gaiman, che di solito è molto diverso. Gaiman in generale scrive bene,
sintesi, semplicità ed efficacia sono le sue qualità migliori. e le prime che colpiscono
il lettore.
Wednesday quando portava le trecce. |
Quindi,
per quale motivo American gods è così
meritatamente famoso, al punto che ci gli hanno pure dedicato una serie tv (che
non ho visto perché non seguo serie tv in generale ma che da quel che so ha ben
poco a che vedere con il libro)? Bé, a parte la scrittura, sicuramente ha dalla
sua un cast di personaggi davvero d’eccezione. Shadow, Wednesday, ma anche Mad
Sweeney, Ibis, Chernobog, sono tutti personaggi che funzionano molto bene
perché si comportano nel loro modo proprio, nel loro modo naturale e conforme
al loro carattere. La sottotrama di Mad Sweeney, che costituisce di fatto una
diramazione del plot che poteva essere evitabile in quanto non aggiunge nulla
al tutto, dimostra proprio questo, che American
gods è, prima che la storia degli eventi che hanno avuto nel luogo in un
certo mondo in un certo periodo, è la storia dei personaggi, ed è loro che
segue. Non quindi la storia della guerra tra le nuove e le vecchie divinità, ma
la storia di Shadow, e di come questi sia stato coinvolto in essa.
Questo è
un grande pregio, perché non butta via nulla. Capita spesso che gli scrittori
dimentichino o lascino un po’ perdere certi personaggi perché non servono più
allo svolgersi degli eventi. Per Gaiman è l’opposto, Gaiman se ne frega degli
eventi, lui segue i personaggi. Il finale ne è un esempio lampante. Se a
scriverlo fosse stato Stephen King avremmo avuto almeno tre o quattro pov
diversi che raccontavano cose diverse dello stesso evento, magari con capitoli
brevi e sbalzi da un pov all’altro. Gaiman no, lui racconta quello che succede
a Shadow (e a un altro personaggio che non nomino per non fare grossi spoiler)
e fine, e la guerra tra gli dèi noi lettori ce la becchiamo soltanto quando
comincia a riguardare Shadow, a parte qualche accenno prima, ma poca roba.
Se ha dei
pregi, quest’ottica in cui viene narrata la storia presenta anche dei difetti.
Nella prima parte del romanzo, tutta la parte del viaggio fino a Cairo e anche
l’inizio del soggiorno a Lakeside suonano abbastanza inutili. Cioé, va bene che
presentano alcuni personaggi che riappariranno in seguito, ma al lettore viene
da chiedersi “embé? A che serve tutto questo?”. In particolare questa domanda
mi martellava nella testa come un bombardamento aereo durante la storia di Mad
Sweeney che, come dicevo prima, non ha nulla a che fare con le vicende
principali, esiste soltanto perché l’autore ha sentito il bisogno di sciogliere
un piccolo nodo della trama che riguardava un dettaglio del primo incontro tra
Shadow é Mad Sweeney. Certo, va bene scioglierlo, anche se, se non fosse stato
sciolto, dico la verità, sarebbe cambiato ben poco. Durante la lettura,
all’inizio, questa domanda ricorrente, questa sensazione di stare leggendo una
serie di diramazioni della trama dà fastidio. Una volta però che ci si abitua e
si capisce che l’idea che Gaiman ha di trama riguarda i personaggi e non gli
eventi allora si comincia ad apprezzare queste apparenti deviazioni del plot, e
anzi, si va a creare un effetto particolare. La vicenda di Lakeside é un
esempio evidente di questa mia affermazione. Se sulle prime infatti sembra di
essere di fronte all’ennesima ramificazione relativamente interessante degli
eventi, ecco che poi piano piano si comincia a fare come Shadow, a prenderci
l’abitudine. Si conoscono gli abitanti, si simpatizza con loro, si intravede
qualche relazione che potrebbe nascere, quando spuntano personaggi marginali
già apparsi si ha la stessa sensazione di quando si vede per strada qualche
conoscente incontrato una volta e ci si stupisce di quanto sia piccolo il
mondo, ed ecco che succede l’evento inatteso, il conflitto, il mistero da
risolvere che aggiunge sale agli eventi. É questo evento non sembra più una
derivazione del plot, il lettore si è ormai accomodato come sotto una coperta
calda, e non potrà che simpatizzare con gli abitanti preoccupati, e con Shadow
che si sbatte per fare qualcosa. Il dispiacere e lo straniamento dei personaggi
é quello del lettore, e questo dimostra la grande abilità di Gaiman a creare
un’atmosfera adatta a conquistare chi legge. Alla fine, direi che l’abilità nel
creare atmosfere e nel rendere piacevoli i personaggi é quello che rende
interessante e piacevole l'ottica da cui Gaiman ha deciso di raccontare la
storia. Lo avesse fatto qualcun altro, lo avessi fatto io per dire, sarebbe
risultato un cumulo di vicende secondarie che mettevano in secondo piano le
cose importanti.
Gaiman si è emozionato leggendo la recensione. |
La vicenda
di Lakeside si conclude dopo la guerra degli dei, diventando così quello che il
ritorno alla Contea è per Il signore
degli anelli. Ho sentito nel corso degli anni molte persone criticare una
risoluzione di questo genere, giudicandola troppo prolissa. Io sono d’accordo
in alcuni casi, visto che capita che ci siano scrittori che non vogliono
proprio che la storia finisca e allora anche dopo che le vicende principali si
sono concluse allungano il brodo a dismisura. Non è questo il caso di American gods, sono convinto che questa
sia una di quelle situazioni in cui un finale più disteso di sta assolutamente
bene. Perché il lettore ha ancora bisogno di risposte, e si è talmente
appassionato a Lakeside e ai suoi abitanti che vuole proprio sapere che fine
faranno tanto quanto voleva sapere come si sarebbe conclusa la guerra tra
divinità.
Ci sono
alcune idee del romanzo che mi sono piaciute parecchio, che ho trovato
originali e interessanti. Senza fare troppi spoiler, il metodo di importazione
degli dei da un paese all’altro non solo mi è piaciuto molto, ma lo ho trovato
particolarmente intrigante e affascinante. Viceversa, non ho sempre apprezzato
i racconti dei trasferimenti degli dei, ma solo perché erano uno stacco nella
narrazione che secondo me stava proprio male.
La trama
ha una brusca virata nell’ultima parte, quando la situazione precipita e molti nodi
vengono al pettine in un crescendo di colpi di scena inaspettati. Diciamo che
dagli eventi di pagina 400 in poi la lettura scorre che è un piacere, le pagine
si girano da sole e la tensione si può quasi toccare. Non riuscivo più a
smettere di leggere, era un giorno che dovevo studiare come un disperato per
l’esame di archeologia romana perché ero indietrissimo eppure continuavo a
leggere. In particolare le vicende su Shadow dopo il rito dell’albero mi hanno
tenuto con il fiato sospeso.
Infine ho
apprezzato l’ambiguità voluta tra realtà e finzione che viene instaurata su più
livelli dall’autore. Nelle avvertenze all’inizio si legge:
“Va da sé
che tutte le persone […] nominate nel libro sono frutto della mia
immaginazione. Solo gli dèi sono reali„ (pag.9)
Ecco, a me
una cosa del genere fa andare in brodo di giuggiole, comincio a scodinzolare
come un cucciolo di cane quando il padrone gli mostra un bastoncino e finge di
lanciarlo. Non c’è una ragione precisa, è solo che i paradossi di questo tipo
mi piacciono moltissimo, perché sono arguti, e capovolgono il punto di vista
del lettore. E offrono anche delle chiavi di lettura di tutta la storia.
Io leggendo questa parte. |
Verso la
fine, invece, troviamo questo paragrafo.
“Niente di
tutto quello che è stato raccontato fin qui potrebbe accadere davvero.
Prendetela come una metafora, se vi fa sentire meglio. Le religioni sono per
definizione delle metafore […]. Le religioni sono punti di osservazione che
condizionano le vostre azioni, posizioni di vantaggio da cui osservare il
mondo.
Quindi,
non sta accadendo niente di tutto quello che è stato raccontato fin qui. Cose
simili non possono succedere. Non c’è una sola parola di verità. In ogni caso,
quel che accadde dopo accadde nel seguente modo:[…]„ (pag.451)
In
pratica, prima Gaiman ci scopre l’illusione della sua storia, e poi continua
come se fosse reale, e più vero della realtà. Del resto, la frase che citavo
prima diceva “solo gli dèi sono reali”. Come a dire che l’aspetto meno reale
del libro è in realtà quello più vero, e come le religioni sono punti di vista
da cui osservare il mondo anche il libro che stiamo leggendo lo è, anche il
libro è soltanto una posizione di vantaggio da cui osservare il mondo. Da
questa posizione ciò che è falso può diventare la sola cosa vera, ma non
importa, perché quello che conta è il significato che viene celato dietro. È,
potremmo dire, la religione, la metafora, gli dèi. Tanto di cappello a Gaiman
per come questo concetto viene inserito in modo inaspettato eppure armonico
all’interno della storia. Mentre lo leggevo era euforico e disorientato al
tempo stesso, perché non me lo aspettavo. La citazione da pagina 451 arriva in
un punto della storia così, come se fosse la cosa più logica, ma in realtà è
assolutamente inaspettato. Ancora complimenti a Gaiman!
IN CONCLUSIONE
American gods è un ottimo libro, mi sono
divertito molto a leggerlo, mi è piaciuto molto e, nonostante abbia dovuto
subire il confronto con Pan, a mio
avviso migliore, comunque risulta lo stesso davvero una buona lettura.
Leggetevelo, fidatevi. Non guardare la serie tv. Pare non c’entri niente con il
libro.
Nessun commento:
Posta un commento