Il terreno
su cui mi arrischio a camminare oggi è un campo minato. Oggi parlo di un classico,
e mica di un classico qualunque, di uno di quei classici che ha fatto la storia di
un genere, che è osannato da generazioni e che rappresenta ancora oggi una
lettura obbligata, una tappa fondamentale per chi si dice appassionato. E ne
parlo male.
Sì, mi
accingo a recensire negativamente Ken il guerriero. Io ne ho sentito sempre
parlare benissimo, eppure l’ho trovato sciapo, ripetitivo, superficiale e in
ultima analisi poco interessante. Ok, non dico che all’epoca in cui è stato
scritto non avesse niente da dire, dico solo che è invecchiato veramente male.
A seguire, le ragioni della mia affermazione.
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Autore:
Tetsuo Hara e Buronson
Anno:
1983
Volumi: 27
Editore:
Planet Manga
TRAMA
Ci
troviamo in un futuro post apocalittico, dove la terra è dominata da bande di
criminali e le singole città sono controllate da personaggi potenti e senza scrupoli
che si ergono a tiranni. Un mondo duro e difficile, dove sopravvivere non è
scontato e anzi, richiede forza, astuzia e spietatezza.
Ken è un
abile combattente. Compito che si è prefisso è difendere gli innocenti e i
deboli in un’epoca che non risparmia nessuno. Seguiremo le sue avventure contro
nemici sempre più forti, mentre cerca di difendere quanto ha di più caro: gli
amici e l’amore.
LA MIA OPINIONE
Mi sento
di ripetere quello che dicevo poco fa. Ken è invecchiato malissimo. È quello il
suo problema principale. Ricordate quando, parlando di Dragon Ball, dicevo che
conserva una sua freschezza? Ecco, per Ken è l’opposto. Ken è una soffitta
piena di ragnatele, e appena entri vieni soffocato dal tanfo di vecchio.
Molti
aspetti sono grezzi, mal rifiniti, tirati via oppure poco incisivi. La trama è
per la maggior parte ripetitiva e molto poco curata. I personaggi molto spesso
non agiscono spinti da delle motivazioni, quanto così, perché lo dice la trama.
Ogni saga è uguale alla precedente, non ci prova nemmeno a variare. Certo,
cambiano le situazioni e i personaggi, ma alla fine si può ricondurre tutto a
un medesimo schema. Soprattutto, non esiste un vero e proprio nodo da
risolvere, non esiste un collante che unisce tutte le parti, se non la figura di
Ken appunto. Tant’è vero che la fine di fatto è una non conclusione, la storia
finisce perché l’autore si è stufato, ma se avesse voluto avrebbe potuto
appiccicarci un’altra saga e tirare avanti per altre tre o quattro volumi. E
avanti così all’infinito.
Ken, ovvero l'uomo dalle molte espressioni. Qui sorride. |
Le
situazioni mancano di mordente. L’esempio tipico di questo è il salvataggio.
Succede moltissime volte (credo che si rasenti la ventina) che un personaggio
si trovi in pericolo. Puntualmente arriva Ken, o a volte qualcun altro dei
protagonisti, a salvarlo. Questo accade sempre, non c’è una volta che questo
modulo vari. Così, alla prima il lettore pensa emozionato “uao, cosa succederà?
Si salverà o no?”. Dalla terza in poi sbadiglia e si chiede “Quando arriva
qualcuno a salvarlo?”. Non c’è tensione, non c’è volontà di sapere che cosa
succederà, c’è solo la svogliata consapevolezza che il deus ex machina di turno
sta per intervenire, e nient’altro.
Lo stesso
si può dire per i combattimenti. La prima parte è molto fitta, c’è la media di
un combattimento a capitolo. Con il procedere dei volumi questa media si fa più
rada, ma comunque resta piuttosto alta. E quelli in
cui Ken si trova in difficoltà si contano sulle dita di una mano no ma di due
sì, e ce n’è d’avanzo. Ken è praticamente sempre più forte del suo avversario,
già dall’inizio del combattimento. L’hype è nullo, perché intanto si sa già che
Ken vincerà senza difficoltà.
I poteri
dei personaggi sono qualcosa di abbastanza casuale. É in realtà si potrebbe
pure accettare. Del resto, l’aura di Dragon Ball non é che abbia molte regole,
anzi, si può usare più o meno per qualunque cosa. Nonostante questo mantiene
una sua coerenza interna che la rende accettabile. In Ken invece
succede l'opposto, in particolare con la questione degli tsubo, su cui si
basano gli attacchi non solo di Ken ma anche di altri personaggi. Gli tsubo
sono, in buona sostanza, dei punti dei circolazione dell'energia. Se premuti
nel modo giusto fanno esplodono la relativa parte del corpo dell'avversario, ma
possono anche essere usati per ripristinare delle funzioni vitali. Finqui
tutto bene direte voi, e lo direi anche io. Il problema viene dopo, quando
l'autore comincia a tirare fuori uno tsubo per ogni occasione. Ken ha bisogno
di fare dimenticare qualcosa a qualcuno? Ma c'è lo tsubo che cancella la
memoria (e ovviamente non tutta la memoria, ma solo il singolo evento che vuole
Ken)! Ken ha bisogno di sapere qualcosa ma la persona che interroga è
recalcitrante? Ma abbiamo anche lo tsubo che costringe una persona a rivelare
un’informazione contro la propria volontà! Che cosa non si può fare
semplicemente schiacciando un po’ l'avversario, eh?
Ken, ovvero l'uomo dalle molte espressioni. Qui è triste. |
E potrei
andare avanti per molto, ma non servirebbe. Già da questi pochi esempi di può
intuire come presto gli tsubo diventino un modo che l'autore usa per fare
procedere le cose nel modo in cui vuole. Diventano una sorta di scorciatoia
narrativa per fare succedere quello che Buronson preferisce, ma non sa come
fare accadere.
Nessun
personaggio è realmente caratterizzato. Se si esclude Ken, che è insopportabile
ma ha una sua personalità, tutti gli altri sono macchiette, privi di qualunque
spessore (chi più chi meno naturalmente). Ken stesso non ha un’evoluzione
psicologica, il Ken del primo volume è uguale identico al Ken dell’ultimo.
Esistono personaggi con un abbozzo di personalità, tipo Raoul o Toki, ma in
generale nessuno di loro ha una caratterizzazione accettabile. Sono più che
altro delle figure con appiccicate un paio di caratteristiche che li
distinguono dagli altri. A onor del vero a un certo punto Raoul ha una specie
di evoluzione psicologica, ma siamo sempre allo stesso punto, é insufficiente.
Lo sarebbe in qualunque manga, in Ken il guerriero, che dovrebbe essere un
pilastro degli shonen, lo é anche di più.
Parliamo
un po’ di Ken e del perché lo odio e mentre leggevo speravo che qualcuno prima
o poi lo uccidesse facendogli saltare in aria qualche parte del corpo come lui
fa con tutti. Ken è un arrogante sputasentenze, un insopportabile pallone
gonfiato che giudica tutto e tutti e pensa di essere sempre dalla parte del
giusto. Sapete qual è lo schema tipo di un’avventura di Ken? Ken arriva in un
posto nuovo, Ken parla con gli abitanti del luogo (che sono sempre dei
poveracci sfruttati e maltrattati da qualche cattivone random), Ken decide che
gli abitanti del luogo hanno ragione e sono le vittime e poi va a combattere il
cattivo. E fin qua potrebbe più o meno andare tutto bene. Il problema è che
mentre combatte i cattivi Ken si arroga il diritto di dire “tu meriti di
morire” o “non meriti di vivere” o simili e a me questo non va bene. Non mi va
bene perché Ken non sa nulla della situazione, ha ascoltato soltanto una parte
in causa eppure ha già deciso che loro hanno ragione e che sono dalla parte del
giusto. Non ascolta le motivazioni degli avversari, non si pone il problema che
possano essere loro quelli nel giusto, no, lui ha la verità, lui sa già tutto e
quello che decide lui è Giusto e Vero.
Questo è
dovuto alla pessima caratterizzazione che affligge Ken. L’autore non vorrebbe
rappresentarmi come arrogante e superbo, questo é un tratto che emerge dalla
trama perché il personaggio viene gestito male. A giustificare il fatto che Ken
ha sempre ragione e da chi sta dalla parte del giusto arriva il fatto che i
cattivi sono degli stereotipi superficiali e di poco spessore: i tipici cattivi
cliché che sono malvagi per decreto autoriale, e dunque diventano rapidamente
caricaturali.
La nuova attività di Toki. |
I
personaggi femminili sono piatti quanto quelli maschili, e fanno venire quasi
tutti il latte alle ginocchia. Hanno bisogno tutti (tranne qualche dato caso)
di essere salvati e aiutati dai personaggi maschili. Fino all'arrivo degli eroi
resteranno a piagnucolare e a farsi torturare e insultare senza fare
resistenza. Sono passivi, incapaci di difendersi e di opporsi, subiscono
qualunque cosa in attesa del deus ex machina che li metterà in salvo. Che poi,
non è che sia sbagliato che un personaggio non sia combattivo, quello che è
brutto è che tutti i personaggi femminili lo siano, e questo è indice di gravi
problemi nel settore caratterizzazione (cos'è, la terza volta che lo scrivo?
Certo che la situazione è davvero messa male...). In parte forse è colpa della
cultura dell’epoca, che non era a favore della donna, ma se prendete Dragon
Ball, contemporaneo di Ken, trovate una situazione molto diversa. É vero che
non c'è quasi nessun personaggio femminile che combatte insieme agli uomini, ma
non si può dire che siano passivi e incapaci di difendersi. Chichi, Bulma,
Videl, sono tutti personaggi combattivi e decisi, con un coraggio e una
determinazione da vendere. Chichi addirittura si affronta Majin Bu da sola,
voglio dire, mica pizza e fichi. Insomma, sono personaggi che non sfigurano,
che hanno una propria dignità. Altro che le insopportabili damsel in distress
di Ken.
Cosa
invece funziona? I disegni. I disegni sono promossi senza se e senza ma. Sono
proprio ben fatti, adatti alla storia, cupi e accattivanti. Non sono belli a
vedersi nel senso stretto del termine (personalmente li trovo poco puliti), ma
sono davvero ben realizzati. Sono l’unica cosa che non si può contestare in
nessun modo, tanto di cappello a Tetsuo Hara!
IN CONCLUSIONE
Non voglio
negare il ruolo importante che Ken ha avuto nella formazione dei canoni del
genere shonen, né voglio negare la grande influenza che ha avuto, né il fatto
che abbia segnato un’epoca. Voglio solo dire che a me, lettore del 2017 e non
del 1984, non è piaciuto. Penso sia legittimo. Troppi gli elementi che non
funzionano, che suonano raffazzonati o mal fatti, troppe le sciattezze a
livello di trama e caratterizzazione, troppo rese male insomma le cose che in
un manga moderno costituiscono gli aspetti più importanti per determinarne la
qualità. Lettura obbligata come tutti dicono, quindi? Sì, ma solo per conoscere
che cosa ha fatto la storia di un genere, non perché si tratti (almeno per me)
di un’opera di qualità.
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