Guy Gavriel Kay è uno scrittore molto
noto. Alcuni suoi romanzi sono stati tradotti anche in italiano. Si tratta
essenzialmente delle sue prime opere, ovvero la trilogia di Fionavar e Il paese delle due lune. Io ho
conosciuto Kay leggendo il suo ultimo romanzo, Children of earth and sky, che ho trovato stupendo e che non ho mai
recensito perché boh, evidentemente in quel momento avevo altro per la testa.
Tipo l’esame di archeologia greca, ora che ci penso. Comunque, dopo
l’esperienza positiva sotto quasi tutti gli aspetti di Children of earth and sky ho scelto di leggere la bilogia del
mosaico di Sarantium, intanto perché ne ho sentito parlare molto bene, e poi
perché ho in ebook anche la Trilogia di Fionavar ma la trama è di una banalità
tale che sembra l’abbia scritta il fratello demente di Kay. Quindi ho detto,
magari è tutta apparenza, ma perché rovinare la bella immagine che ho di uno
scrittore quando posso andare sul sicuro?
E quindi eccoci qui. Dicevo, la bilogia
del mosaico di Sarantium, appunto. Ecco cosa ne penso del primo libro che la
compone, Sailing to Sarantium.
________________________
Autore: Guy
Gavriel Kay
Anno:
1998
Editore:
Harper Voyager
Pagine:
524
TRAMA
A
Sarantium, l’occhio del mondo, città delle città, grandi cambiamenti sono in
atto. Dopo la morte dell’imperatore Apius la successione si consuma nel sangue,
e prende il potere Valerius, capo delle guardie imperiali. Quindici anni dopo
ha preso il suo posto il nipote Petrus, con il nome di Valerius II, e governa
insieme alla moglie Alixana, donna sensuale e misteriosa, nonché, in passato,
attrice e danzatrice.
Nella
regione di Batiara, invece, si respirano ancora le polveri di un impero ormai
caduto sotto le pressioni e le scorrerie dei barbari. La gloria della città di
Rhodas, ormai relegata soltanto a centro religioso, è diventata solo un
ricordo, e a governare sono i barbari che hanno invaso il paese, gli Antae,
comandati dalla giovanissima regina Gisel, che teme le insidie dei nobili del
suo popolo, i quali mal sopportano di essere sottomessi a una ragazzina.
Batiara e Trakesia, il paese di cui Sarantium è capitale, erano un tempo un
unico impero, ora sono divisi, sia nella politica che nel destino.
La
narrazione si focalizza sulle vicende di un artigiano mosaicista, Caius
Crispus, o Crispin, che vive a Batiara e lavora insieme al suo maestro
Martinian. Crispin, dal carattere iracondo e poco incline alla diplomazia, ha
visto morire a causa della peste sua moglie e le sue figlie, e da quel momento
è diventato molto più svogliato e poco incline a mettersi in gioco. Tutto cambia
però quando Martinian viene convocato a Sarantium per comporre il mosaico del
nuovo santuario di Jad che Valerius II sta facendo costruire, simbolo sia della
sua fede religiosa ma anche e soprattutto del suo potere. Martinian però, che
si sente troppo vecchio per viaggiare, convince Crispin a partire spacciandosi
per lui. Poco dopo Crispin viene convocato da Gisel, che ha saputo della sua
partenza, e che gli affida una missione segreta, di vitale importanza per lei e
per Batiara.
Crispin dopo essere stato fatto santo. |
Comincia
per Crispin un lungo viaggio fino a Sarantium, viaggio nel quale incontrerà
compagni, in cui potrà osservare quanto il mondo sia straordinario, misterioso
e incomprensibile, e al termine del quale si troverà nella città delle città,
l’occhio del mondo, davanti a tutte le personalità più potenti della sua epoca.
Valerius II, Alixana, Leontes, capo dell’esercito, sua moglie Styliane, il cui
fratello è stato ucciso all’epoca dell’ascesa del primo Valerius, saranno i
giganti davanti ai quali dovrà presentarsi per svolgere il suo lavoro, e
lasciare tramite esso un’impronta nella storia.
LA MIA OPINIONE
Qualcuno
ha un déjà vu? Qualcuno quando ha letto Valerius II ha detto Giustiniano?
Il forte
di Kay è proprio questo, scrivere fantasy di ispirazione storica, in cui cioè
il word building si modella sulla storia del nostro mondo. Qui le analogie sono
facili da cogliere per chiunque: Rhodas è
il corrispondente di Roma, Sarantium di Costantinopoli, Valerius II di
Giustiniano, Leontes di Belisario, e
così via. Siamo comunque sempre di fronte a un fantasy, quindi le vicende
prenderanno la piega che preferisce l’autore, a prescindere che nella nostra storia
le cose siano andate così o meno. Sono l’ambientazione e le premesse che
attingono a piene mani dalla storia, lo svolgimento e la narrazione sono tutta
farina del sacco di Kay.
Si vede
che l’autore si è molto documentato sulla Costantinopoli dell’epoca di
Giustiniano, lo si nota di continuo durante la lettura. Dai dettagli sui
profumi, ai modi di vestire, alle fazioni dell’Ippodromo, ogni dettaglio è
curato alla perfezione secondo l’uso dell’epoca cui Kay fa riferimento. Questo
è molto affascinante, in quanto caratterizza il mondo in modo efficace. Il
vincolo di riferirsi a un periodo storico potrebbe, se imposto a una penna meno
esperta, risultare limitante, e potrebbe in qualche modo imbrigliare la
fantasia dell’autore. Con Kay è il contrario, esso diventa uno strumento per la
sua fantasia per svilupparsi e creare.
La storia
di Sailing to Sarantium è molto molto
verosimile. E non è dovuto al fatto che si ispira alla realtà, anzi, quello
c’entra ben poco, visto che gli elementi tratti dal vero, pur essendo
moltissimi, riguardano essenzialmente personaggi e ambientazione. La
verosimiglianza è data dal fatto che Kay conosce molto bene le cose di cui
parla. Sa come funziona un esercito, come è organizzata una corte, come ci si
rapporta tra sovrani e sudditi, tutte quelle cose che consentono al suo mondo
di assumere una forma realistica. Kay non crea e basta, Kay riveste la sua
fantasia di tutti quei dettagli realistici che invece che imbrigliarla la
rendono più credibile. Questo aspetto è uno dei principali punti di forza del
romanzo, e non solo di questo, anche di Children
of earth and sky e quindi, almeno suppongo, più in generale di tutta la sua
produzione di fantasy modellati sulla realtà.
Sailing to Sarantium per certi
aspetti è un romanzo atipico per Kay (perlomeno per il Kay di ispirazione
storica, il Kay di Fionavar non so come sia), mentre per altri rientra
perfettamente nei suoi canoni. La cosa più inusuale è che si concentri su un
solo protagonista e sulle sue vicende. Di solito invece troviamo un numero di
protagonisti molto elevato, ciascuno magari in un luogo diverso del mondo,
invischiato nelle sue vicende. La focalizzazione solo su Crispin non è un male,
anzi, Kay dimostra di sapersela cavare bene anche con un modulo narrativo che
di solito non sfrutta. D’altra parte,
quello che si perde è che l’ampia visione di insieme che invece caratterizzava Children of earth and sky, in cui il
lettore nel giro di poco tempo visita quasi tutti i luoghi più importanti del
mondo in quell’epoca, grazie al fatto che in ciascuno di essi c’è almeno un
personaggio che fa da punto di vista. Si tratta di una libera scelta
dell’autore e direi anche piuttosto sensata, visto che, almeno per la maggior
parte del libro, il numero dei personaggi in scena non è molto elevato.
Il libro
riprende uno dei temi di Children of
earth and sky (ma visto che questo è stato scritto dopo sarebbe più
corretto il contrario), ovvero l’impossibilità di conoscere tutto nel mondo e
quindi la necessità di arrendersi ai misteri che esso presenta. La trama porta
questo tema ad intrecciarsi con la riflessione sulle religioni e sul loro
significato. Il mondo in cui si svolge la storia, a parte qualche luogo ben
preciso, è devoto a Jad, che poi è il corrispondente del Dio cristiano. Anche
Crispin sposa questa religione, ma presto è costretto a rendersi conto che le
cose non sono così semplici. Che non poter capire come funziona il mondo
comprende anche dover riconoscere che esistono forze inspiegabili e che gli dèi
del paganesimo prima di Jad rientrano tra queste. Che se non si può spiegare
tutto al mondo allora bisogna rassegnarsi ad ammettere che l’esistenza di più
divinità non è una contraddizione.
Questa
realizzazione è una tappa fondamentale del viaggio di Crispin, che segnerà lui
e il mosaico che realizzerà al santuario di Jad. Il contatto con forze
soprannaturali e con l’half-world (ovvero, in buona sostanza, il mondo dei
defunti) accompagna tutto il suo viaggio, ed è normale che sia così, appunto
per quello che si diceva prima, ovvero che il mondo non è per nulla
conoscibile. Dobbiamo accontentarci di comprendere quello che possiamo e quello
che ci capita, ma non sperare di andare troppo oltre.
La
caratterizzazione dei personaggi è ben realizzata. I coprotagonisti hanno tutti
una personalità, da Zoticus a Kasia a Carullus a Plautus Bonosus. A dominare
sulla scena è chiaramente Crispin, il quale compie in tutto il suo viaggio una
crescita. A fine del romanzo questa crescita è ancora in corso, ma solo perché
verrà sviluppata, e conclusa in modo inaspettato, nel libro successivo. In
pratica, nelle sue prime apparizioni Crispin ci viene mostrato come una persona
suscettibile, facile all’ira e agli insulti, che ha perso la voglia di vivere
dopo aver subito ben tre lutti nel corso di un’epidemia di peste. Alla fine del
libro Crispin è cambiato moltissimo. Conserva ancora il suo carattere iracondo,
ma sta piano piano trovando un suo ruolo, un compito da svolgere che
giustifichi la sua presenza al mondo, ed è, naturalmente, la costruzione del
mosaico. Il soggetto della rappresentazione di Crispin non è casuale, ma è la
manifestazione visiva della sua crescita interiore e del modo che di concepire
il mondo che ha sviluppato nelle sue peregrinazioni.
Una parte
importante dell’ambientazione e di conseguenza della narrazione è l’Ippodromo.
A Sarantium le corse dei cavalli sono una vera e propria fissazione, i
cittadini possono scegliere con quale delle quattro fazioni schierarsi e
assistere alle gare, esistono locande frequentate solo da una determinata
fazione, corridori compresi, danzatrici che lavorano solo per una fazione, e
quant’altro. A parte il minuziosissimo lavoro di studio delle fonti (a
Costantinopoli nel VI secolo le cose non andavano molto diversamente), volevo
segnalare questo per due ragioni. La prima, perché è la caratteristica
fondamentale di Sarantium, e quindi evidenzia ancora una volta il grande lavoro
che ha fatto Kay nel creare l’ambientazione, visto che la passione degli
abitanti per questo sport viene rappresentata in modo molto realistico e vivo,
senza però risultare eccessiva, e quindi dare l’impressione che i sarantini
pensino solo a quello. L’altra motivazione è che l’Ippodromo è teatro di una
delle scene che sono scritte meglio in tutto il libro, una scena che tiene il
lettore con il fiato sospeso e gli dà l’impressione di essere anche lui tra gli
spalti in mezzo al pubblico. In generale comunque, credo che il modo in cui Kay gestisce l'ippodromo dovrebbe essere preso a esempio da chi vuole realizzare un mondo
verosimile.
La mappa del mondo. |
Se c’è una
cosa che piace a Guy Gavriel Kay è creare scene intrecciate, nelle quali
vengono presi in considerazione i punti di vista e si passa da uno all’altro
molto rapidamente in pochi paragrafi. La situazione viene raccontata
frammentata attraverso gli occhi di più personaggi. Questo sistema è molto
affascinante, e devo dire che Kay lo sa mettere in atto molto bene, andando a conquistare
il lettore e suscitando in lui tensione e interesse. Sia la scena di Kasia e
della sera alla locanda e quella della notte a Sarantium sono delle piccole
perle.
Il romanzo
ha anche dei difetti, ma incidono poco sulla generale buona impressione che mi
ha fatto. La narrazione è incostante, a volte si concentra su dettagli che
potrebbe trascurare. Roba di poco conto, comunque.
IN CONCLUSIONE
Sailing
to Sarantium mi è
piaciuto, direi che si è capito. È un ottimo romanzo, davvero valido e davvero
ben scritto. È inutile che dica che consiglio caldamente di leggerlo. Il
successivo, Lord of emperors, sarà
all’altezza? Riuscirà a concludere in modo degno la vicenda di Crispin e della
costruzione del mosaico di Sarantium?
Io lo so già perché l’ho letto. Se lo
avete letto lo sapete anche voi. Se no vi tocca aspettare la prossima
recensione.
Nessun commento:
Posta un commento