Quando ho comprato il romanzo
di cui voglio parlare oggi, Hyperion, non sapevo nulla sul suo autore, e
in realtà sapevo ben poco anche riguardo al libro. Ero a conoscenza del fatto
che fosse l’inizio di un ciclo, i Canti di Hyperion, e che fosse di
genere fantascientifico, e forse nient’altro. Sta di fatto che, se al momento
mi ha attirato a tal punto da acquistarlo, l’ho lasciato perdere per alcuni
mesi, perché ero impegnato a leggere la tappa finale della storia futura del
nostro pianeta secondo Robert Heinlein, ovvero le scappatelle incestuose di Lazarus Long (scherzi a parte, avevo detto che avrei recensito
Time enough for love e lo farò, prima o poi, perché è un libro che
mi ha lasciato dall’inizio alla fine con due punti interrogativi al posto degli
occhi). Quando ho deciso di prendere finalmente in mano Hyperion e
leggerlo, dunque, ne sapevo tanto quanto nel momento in cui l’ho comprato. Ci è
voluto molto poco però perché me ne facessi un’idea. E quest’idea non è proprio
lusinghiera, diciamo, come invece potrebbe suggerire la sfilza di premi che Dan
Simmons ha collezionato nel corso della sua carriera.
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Autore: Dan Simmons
Anno: 1989
Editore: Fanucci (precedentemente editato da
Interno Giallo)
Pagine: 536. Sarebbero potute essere 500 in meno
e non sarebbe cambiato nulla.
TRAMA
Il romanzo comincia con un certo Console che si
trova da qualche parte a suonare il pianoforte, circondato da descrizioni
inutili e pompose di stratocumuli, gimnosperme e tante altre cose di cui al
lettore interessa poco. Il Console scopre di essere stato convocato per un
pellegrinaggio sul pianeta Hyperion, insieme ad altri sei pellegrini. Le regole
per i pellegrinaggi sono semplici: la Chiesa Shrike seleziona sette pellegrini
tra coloro che fanno la richiesta e consente loro di visitare le Tombe del
Tempo, dove potranno incontrare la misteriosa creatura denominata Shrike. Di
questi pellegrini sei verranno uccisi, mentre uno vedrà realizzato un proprio
desiderio. Il pellegrinaggio del Console è l’ultimo, poiché i barbari Ouster
stanno per invadere Hyperion e le Tombe del Tempo, che viaggiano a indietro nel
tempo dal futuro, stanno per aprirsi, ovvero riallinearsi con il presente.
Descrizioni inutili di stratocumuli e gimnosperme, che felicità! |
Tutto questo non è spiegato all’inizio, e infatti sulle prime è piuttosto difficile mettere insieme tutti i pezzi e capire che cosa sta succedendo. Comunque, l’azione si sposta sulla nave spaziale in viaggio verso Hyperion con i sette pellegrini a bordo. Dopo un’infinita descrizione dei sette pellegrini e dello spazio, della luce, dei pianeti e bla bla bla, l’allegra combriccola decide di ammazzare il tempo cercando di capire perché, tra tutte le persone che vogliono fare il pellegrinaggio, siano stati scelti proprio loro, che neppure aderiscono al culto Shrike. Uno dei membri, Sol Weintraub, suggerisce pure che debba esserci un qualche legame tra loro (perché? Non viene mai spiegato) e che quindi valga la pena che ciascuno racconti la sua storia. Il romanzo è quindi composto quasi interamente dalle storie raccontate dai pellegrini, intervallate dal viaggio verso le Tombe del Tempo.
LA MIA OPINIONE
Hyperion è un romanzo lungo. E non
solo per il numero di pagine, che è comunque discreto, ma anche in relazione ai
fatti raccontati. Hyperion è soltanto una enorme premessa a quella che è
la trama principale, che sostanzialmente ha inizio alla fine del libro, quando
i protagonisti arrivano finalmente alle Tombe del Tempo. Non serve che mi metta
io a sottolineare perché questa non è una buona idea. Magari sono ingenuo io,
ma mi verrebbe da pensare che uno scrittore dalla fama e dai riconoscimenti di
Dan Simmons dovrebbe sapere che un romanzo fatto di flashback e spezzoni di
viaggio dove non succede nulla di interessante, un romanzo dove sostanzialmente
la trama non procede di una virgola dall’inizio alla fine, non è proprio il
massimo.
Comunque, facciamo finta di niente. Facciamo finta
che siccome lo scopo del romanzo è raccontare i passati dei protagonisti uno
dovrebbe fregarsene della trama principale. D’altra parte, Stephen King ha
scritto La sfera del buio e nessuno ce l’ha con lui per questo, a me è
piaciuto e l’ho pure recensito positivamente qui su questi schermi. Il punto è
che anche così il libro non ne esce bene per niente. Su sei racconti ne salvo
in toto soltanto uno, il quarto, il racconto di Sol Weintraub, che ho trovato
intenso e coinvolgente. Il tema non è originale, in pratica la figlia di
Weintraub riceve una maledizione che la costringe a perdere ogni giorno un
giorno della propria vita, fino a regredire allo stato di bebé e dunque, prima
o poi, morire. Beniamina Button, praticamente. Qualche aspetto nel racconto non
funziona, ma nel complesso è davvero ben scritto e ben strutturato. Tuttavia, è
l’unico su cui posso esprimermi in toni così lusinghieri. Il primo racconto,
quello del prete cattolico Lenar Hoyt è discreto, con qualche caduta di stile
qua e là e un finale poco coerente e un filino di cattivo gusto, che
controbilanciano uno sviluppo coinvolgente con un mistero che riesce a
interessare il lettore e che viene svelato poco a poco. Il secondo
racconto, quello del colonnello Fedhman
Kasssad, è una Waterloo. Parlarne male è sparare sulla croce rossa, vi basti
sapere che inizia con Kassad che partecipa a una simulazione virtuale di guerra
per allenamento, incontra una donna in una radura e senza nemmeno rivolgerle
parola (!) inizia a copularci come un coniglio. E lei è consenziente. E questo
succede più volte. Come dicevo, sparare sulla croce rossa.
"Cirano, amico mio, abbracciami, guascone!" |
Il quarto racconto è quello di Weintraub, il quinto
è quello di Brawne Lamia, e non è proprio al livello di quello di Kassad ma è
sotto quello di Sileno. Che non è molto in alto. In poche parole, è una storia
che vorrebbe essere thriller ma anche qui la gente ha il vizio di fare cose
stupide a caso. Lamia viene incaricata di scoprire chi ha cercato di uccidere
un suo cliente, ma presto la sua indagine inizierà a prendere pieghe random
senza senso. Ah, so che è uno spoiler ma chissene, a un certo punto viene messa
incinta da un cyborg.
L’ultimo racconto è quello del Console, ed è in
tutta sincerità dimenticabile e poco interessante. Come potete vedere, dunque,
il livello complessivo delle storie è molto basso. E oltre a questo nemmeno i
personaggi che le raccontano sono caratterizzati in modo particolare. Alcuni
hanno giusto quelle due o tre caratteristiche che lo distinguono dagli altri e
basta, come per esempio Sol Weintraub, che è pacato e tranquillo, e Kassad, che
è quello freddo e duro, e basta, altri invece sono anonimi del tutto, come
Lamia o il Templare di cui non ricordo il nome, il settimo pellegrino che
sparisce prima di poter raccontare la sua storia. L’unico che Simmons riesce a
caratterizzare un filo meglio degli altri (rimanendo comunque sotto la soglia
dell’accettabile) è Martin Sileno. C’è da dire però che Sileno mi ricorda molto
lo stile di certi autori italiani, che rendono volgari i propri personaggi a
caso e quindi più che caratterizzarli li fanno essere costantemente fuori
luogo. Ecco, Sileno mi ha dato proprio quest’impressione. Ok, è un personaggio
sopra le righe, ma la sua volgarità e i suoi eccessi stonano, perché sono senza
senso. In altri casi l’avrei chiamata ipercaratterizzazione, a questo giro non
me la sento e dirò soltanto che è l’ennesimo caso di caratterizzazione non
riuscita.
Lo stile di Simmons non è nulla di particolare.
Come ho già avuto modo di sottolineare, tende a essere prolisso e a soffermarsi
per secoli su descrizioni di dettagli di poca importanza, che quindi potrebbe
evitare e rendere così più agile la narrazione. In generale, anche quando non
ci sono descrizioni, la storia procede in maniera lenta e coinvolgente solo a
sprazzi, mentre per il resto l’interesse del lettore non viene per nulla
stuzzicato.
Simmons sembra avere una predilezione per le
citazioni e i riferimenti ai classici della letteratura inglese. I titoli dei
romanzi di tutta la saga si riferiscono alle opere del poeta John Keats, che
appare come personaggio (in un modo che è complicato spiegare) nella storia di Brawne Lamia. Altre citazioni sono sparse qua e là in tutto il romanzo. Per
quanto mi riguarda, tutto questo aggiunge poco al libro in sé, sia in positivo
che in negativo. Non capisco bene il motivo per cui Simmons li abbia inseriti,
ma sono abbastanza ininfluenti a livello di apprezzamento della storia.
IN CONCLUSIONE
Come romanzo a sé stante Hyperion è un
totale buco nell’acqua, come inizio di una saga non è per nulla entusiasmante,
visto che in pratica rimanda tutta la trama ai libri successivi. La coerenza
interna è quasi del tutto inesistente e i personaggi non sono per nulla
caratterizzati, e questa situazione diventa ancora più imbarazzante se
considerata la supposta bravura del suo autore. Insomma, una lettura che
sconsiglio sotto tutti i punti di vista. Io però avevo comprato anche il
seguito quindi me lo sono letto e voi vi beccate la recensione. In realtà non
l’ho finito perché non ce la facevo più, è ancora peggio di questo, quindi non
so se lo recensirò. Altrimenti passerò a Lazarus Long, vediamo.
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