mercoledì 3 aprile 2019

Recensione - Hyperion di Dan Simmons

Dan Simmons è un grande nome della fantascienza, ma non solo. Ha spaziato attraverso vari generi, passando per l’horror e per il noir. Vanta una collezione di premi letterari notevole e, pensate un po’, come mi riferisce la mia personale rete di spie incaricata di pedinare gli scrittori che recensisco, – oppure come ho letto su Wikipedia, a voi la scelta – ha addirittura ricevuto un dottorato ad honorem. Insomma, sembrerebbe proprio trattarsi di un pezzo grosso della scrittura.

Quando ho comprato il romanzo di cui voglio parlare oggi, Hyperion, non sapevo nulla sul suo autore, e in realtà sapevo ben poco anche riguardo al libro. Ero a conoscenza del fatto che fosse l’inizio di un ciclo, i Canti di Hyperion, e che fosse di genere fantascientifico, e forse nient’altro. Sta di fatto che, se al momento mi ha attirato a tal punto da acquistarlo, l’ho lasciato perdere per alcuni mesi, perché ero impegnato a leggere la tappa finale della storia futura del nostro pianeta secondo Robert Heinlein, ovvero le scappatelle incestuose di Lazarus Long (scherzi a parte, avevo detto che avrei recensito Time enough for love e lo farò, prima o poi, perché è un libro che mi ha lasciato dall’inizio alla fine con due punti interrogativi al posto degli occhi). Quando ho deciso di prendere finalmente in mano Hyperion e leggerlo, dunque, ne sapevo tanto quanto nel momento in cui l’ho comprato. Ci è voluto molto poco però perché me ne facessi un’idea. E quest’idea non è proprio lusinghiera, diciamo, come invece potrebbe suggerire la sfilza di premi che Dan Simmons ha collezionato nel corso della sua carriera.
_____________________________________________
Titolo: Hyperion
Autore: Dan Simmons
Anno: 1989                                       
Editore: Fanucci (precedentemente editato da Interno Giallo)
Pagine: 536. Sarebbero potute essere 500 in meno e non sarebbe cambiato nulla.



TRAMA

Il romanzo comincia con un certo Console che si trova da qualche parte a suonare il pianoforte, circondato da descrizioni inutili e pompose di stratocumuli, gimnosperme e tante altre cose di cui al lettore interessa poco. Il Console scopre di essere stato convocato per un pellegrinaggio sul pianeta Hyperion, insieme ad altri sei pellegrini. Le regole per i pellegrinaggi sono semplici: la Chiesa Shrike seleziona sette pellegrini tra coloro che fanno la richiesta e consente loro di visitare le Tombe del Tempo, dove potranno incontrare la misteriosa creatura denominata Shrike. Di questi pellegrini sei verranno uccisi, mentre uno vedrà realizzato un proprio desiderio. Il pellegrinaggio del Console è l’ultimo, poiché i barbari Ouster stanno per invadere Hyperion e le Tombe del Tempo, che viaggiano a indietro nel tempo dal futuro, stanno per aprirsi, ovvero riallinearsi con il presente.

Risultati immagini per dan simmons
Descrizioni inutili di stratocumuli e gimnosperme, che felicità!

Tutto questo non è spiegato all’inizio, e infatti sulle prime è piuttosto difficile mettere insieme tutti i pezzi e capire che cosa sta succedendo. Comunque, l’azione si sposta sulla nave spaziale in viaggio verso Hyperion con i sette pellegrini a bordo. Dopo un’infinita descrizione dei sette pellegrini e dello spazio, della luce, dei pianeti e bla bla bla, l’allegra combriccola decide di ammazzare il tempo cercando di capire perché, tra tutte le persone che vogliono fare il pellegrinaggio, siano stati scelti proprio loro, che neppure aderiscono al culto Shrike. Uno dei membri, Sol Weintraub, suggerisce pure che debba esserci un qualche legame tra loro (perché? Non viene mai spiegato) e che quindi valga la pena che ciascuno racconti la sua storia. Il romanzo è quindi composto quasi interamente dalle storie raccontate dai pellegrini, intervallate dal viaggio verso le Tombe del Tempo.

LA MIA OPINIONE


Hyperion è un romanzo lungo. E non solo per il numero di pagine, che è comunque discreto, ma anche in relazione ai fatti raccontati. Hyperion è soltanto una enorme premessa a quella che è la trama principale, che sostanzialmente ha inizio alla fine del libro, quando i protagonisti arrivano finalmente alle Tombe del Tempo. Non serve che mi metta io a sottolineare perché questa non è una buona idea. Magari sono ingenuo io, ma mi verrebbe da pensare che uno scrittore dalla fama e dai riconoscimenti di Dan Simmons dovrebbe sapere che un romanzo fatto di flashback e spezzoni di viaggio dove non succede nulla di interessante, un romanzo dove sostanzialmente la trama non procede di una virgola dall’inizio alla fine, non è proprio il massimo.

Comunque, facciamo finta di niente. Facciamo finta che siccome lo scopo del romanzo è raccontare i passati dei protagonisti uno dovrebbe fregarsene della trama principale. D’altra parte, Stephen King ha scritto La sfera del buio e nessuno ce l’ha con lui per questo, a me è piaciuto e l’ho pure recensito positivamente qui su questi schermi. Il punto è che anche così il libro non ne esce bene per niente. Su sei racconti ne salvo in toto soltanto uno, il quarto, il racconto di Sol Weintraub, che ho trovato intenso e coinvolgente. Il tema non è originale, in pratica la figlia di Weintraub riceve una maledizione che la costringe a perdere ogni giorno un giorno della propria vita, fino a regredire allo stato di bebé e dunque, prima o poi, morire. Beniamina Button, praticamente. Qualche aspetto nel racconto non funziona, ma nel complesso è davvero ben scritto e ben strutturato. Tuttavia, è l’unico su cui posso esprimermi in toni così lusinghieri. Il primo racconto, quello del prete cattolico Lenar Hoyt è discreto, con qualche caduta di stile qua e là e un finale poco coerente e un filino di cattivo gusto, che controbilanciano uno sviluppo coinvolgente con un mistero che riesce a interessare il lettore e che viene svelato poco a poco. Il secondo racconto,  quello del colonnello Fedhman Kasssad, è una Waterloo. Parlarne male è sparare sulla croce rossa, vi basti sapere che inizia con Kassad che partecipa a una simulazione virtuale di guerra per allenamento, incontra una donna in una radura e senza nemmeno rivolgerle parola (!) inizia a copularci come un coniglio. E lei è consenziente. E questo succede più volte. Come dicevo, sparare sulla croce rossa.

"Cirano, amico mio, abbracciami, guascone!" 
Il terzo racconto è del poeta Martin Sileno (personaggio su cui avrò modo di tornare in seguito), ed è un enorme boh. Succedono le peggio cose, tra cui anche un bel genocidio degli abitanti di una città, tanto per gradire, gli eventi non hanno un legame logico e i personaggi si comportano come degli idioti. Un esempio su tutti, il re Billy, che quando rimane soltanto Martin Sileno nella città e tutti gli altri abitanti sono stati uccisi, invece che farlo arrestare si beve le sue idiozie su “lo Shrike non mi uccide perché è la mia musa” (cosa vuol dire? Simmons non lo spiega mai). Ora, Sileno non è davvero responsabile degli omicidi, ma quale persona sana di mente gli crederebbe? Invece re Billy lo ascolta e poi viene ucciso pure lui. Karma.

Il quarto racconto è quello di Weintraub, il quinto è quello di Brawne Lamia, e non è proprio al livello di quello di Kassad ma è sotto quello di Sileno. Che non è molto in alto. In poche parole, è una storia che vorrebbe essere thriller ma anche qui la gente ha il vizio di fare cose stupide a caso. Lamia viene incaricata di scoprire chi ha cercato di uccidere un suo cliente, ma presto la sua indagine inizierà a prendere pieghe random senza senso. Ah, so che è uno spoiler ma chissene, a un certo punto viene messa incinta da un cyborg.

"Il tuo padrone era un pignolo..."
L’ultimo racconto è quello del Console, ed è in tutta sincerità dimenticabile e poco interessante. Come potete vedere, dunque, il livello complessivo delle storie è molto basso. E oltre a questo nemmeno i personaggi che le raccontano sono caratterizzati in modo particolare. Alcuni hanno giusto quelle due o tre caratteristiche che lo distinguono dagli altri e basta, come per esempio Sol Weintraub, che è pacato e tranquillo, e Kassad, che è quello freddo e duro, e basta, altri invece sono anonimi del tutto, come Lamia o il Templare di cui non ricordo il nome, il settimo pellegrino che sparisce prima di poter raccontare la sua storia. L’unico che Simmons riesce a caratterizzare un filo meglio degli altri (rimanendo comunque sotto la soglia dell’accettabile) è Martin Sileno. C’è da dire però che Sileno mi ricorda molto lo stile di certi autori italiani, che rendono volgari i propri personaggi a caso e quindi più che caratterizzarli li fanno essere costantemente fuori luogo. Ecco, Sileno mi ha dato proprio quest’impressione. Ok, è un personaggio sopra le righe, ma la sua volgarità e i suoi eccessi stonano, perché sono senza senso. In altri casi l’avrei chiamata ipercaratterizzazione, a questo giro non me la sento e dirò soltanto che è l’ennesimo caso di caratterizzazione non riuscita.

Lo stile di Simmons non è nulla di particolare. Come ho già avuto modo di sottolineare, tende a essere prolisso e a soffermarsi per secoli su descrizioni di dettagli di poca importanza, che quindi potrebbe evitare e rendere così più agile la narrazione. In generale, anche quando non ci sono descrizioni, la storia procede in maniera lenta e coinvolgente solo a sprazzi, mentre per il resto l’interesse del lettore non viene per nulla stuzzicato.  

Simmons sembra avere una predilezione per le citazioni e i riferimenti ai classici della letteratura inglese. I titoli dei romanzi di tutta la saga si riferiscono alle opere del poeta John Keats, che appare come personaggio (in un modo che è complicato spiegare) nella storia di Brawne Lamia. Altre citazioni sono sparse qua e là in tutto il romanzo. Per quanto mi riguarda, tutto questo aggiunge poco al libro in sé, sia in positivo che in negativo. Non capisco bene il motivo per cui Simmons li abbia inseriti, ma sono abbastanza ininfluenti a livello di apprezzamento della storia.

IN CONCLUSIONE


Come romanzo a sé stante Hyperion è un totale buco nell’acqua, come inizio di una saga non è per nulla entusiasmante, visto che in pratica rimanda tutta la trama ai libri successivi. La coerenza interna è quasi del tutto inesistente e i personaggi non sono per nulla caratterizzati, e questa situazione diventa ancora più imbarazzante se considerata la supposta bravura del suo autore. Insomma, una lettura che sconsiglio sotto tutti i punti di vista. Io però avevo comprato anche il seguito quindi me lo sono letto e voi vi beccate la recensione. In realtà non l’ho finito perché non ce la facevo più, è ancora peggio di questo, quindi non so se lo recensirò. Altrimenti passerò a Lazarus Long, vediamo.

VOTO: 

Nessun commento:

Posta un commento