sabato 4 giugno 2016

Perché leggere i classici?

Ok, in realtà il titolo non è del tutto esatto. Non voglio parlare delle ragioni oggettive e assolute per le quali bisogna leggere le opere della letteratura antica, anche perché non credo ci siano. Quindi il titolo ideale sarebbe “perché leggo i classici”. L’obiettivo è evidenziare le motivazioni che spingono me a farlo, e sperare così di trovare qualcuno che la pensi allo stesso modo. E magari, che c’è di male a sperare?, dare a qualcuno delle ragioni per cominciare.
Calvino ha preso ispirazione dal mio post
Per amor di precisione, specifico che quando parlo di classici mi riferisco principalmente alla letteratura greca e latina, perché è da quell’ambito che attingo la maggior parte delle mie letture. Questo naturalmente non esclude, anzi presuppone, che il mio discorso possa essere applicato anche a tutte le altre letterature. Perciò, quello che voglio dire pone le sue basi in una riflessione sui classici greci e latini, ma può essere esteso tranquillamente anche, che ne so, a Leopardi, o a qualunque altro autore italiano. Lo dico perché nel caso ipotetico e insperato in cui qualcuno si convincesse a dare una chance ai classici leggendo quello che scrivo non si limiti a porre la sua attenzione a quello che è stato composto tra Omero e Apuleio ma anzi, allarghi i propri orizzonti più che può.

Il mio primo contatto con i classici é stato quando avevo quindici anni. Avevo scoperto l'esistenza delle edizioni con il testo a fronte, e questo mi aveva gasato da morire. Perciò, ero corso in libreria a comprare un'edizione dell'Odissea che avesse sia testo italiano che testo greco e l'avevo letta avidamente. Ci avevo impiegato qualcosa come due mesi e mezzo, ma soltanto perché leggevo prima in greco e poi in italiano. E le parti in greco mi mettevano in enorme difficoltà. Ma la mia voglia di proseguire fino a portare a termine la lettura era enorme.

Il mio interesse all'epoca era prevalentemente linguistico: era un anno e mezzo che studiavo greco ma non avevo mai visto un testo scritto e concepito in quella lingua da una persona che la parlava quotidianamente. Fino a quel momento greco era stata soltanto una materia scolastica. Invece, trovarmi di fronte l'Odissea interamente in greco mi ha posto di fronte l'intera situazione in modo assai diverso. Mi ha fatto comprendere che greco non é soltanto qualcosa che resta chiuso nell'ambito della scuola, ma una cultura. Non un mero strumento per esercitare la mia mente, ma qualcosa che era stato vivo, concreto, reale.
Omero e Apuleio
Questo dunque è stato il primo approccio, quello che rappresenta in un certo senso la mia scoperta dei classici. Per il Natale successivo mi sono fatto regalare altri libri con il testo a fronte (mi ricordo di aver chiesto il De bello gallico e l’Iliade, ma non sono gli unici) e li ho letti avidamente. In parallelo, sono passato dalla quinta ginnasio al primo anno di liceo, e il modo in cui venivano svolte le materie di greco e latino è cambiato: se prima ci si concentrava sulla grammatica, ora si passava a studiare la letteratura. Mi sono trovato di fronte a delle idee, non più regole grammaticali, non più sistemi meccanici da conoscere per interpretare ciò che avevo scritto di fronte. C’era un salto di qualità. A quel punto mi si chiedeva di ragionare non su come era scritto il testo, ma su cosa c’era scritto.

Inoltre, fatto non da trascurare, ho cominciato anche a studiare la filosofia, che consiste proprio in questo, nel confrontarsi con le opinioni di persone del passato. Persone che avevano studiato e ragionato, persone di una certa levatura. In sostanza, la vera novità del primo anno di liceo è che sono stato messo di fronte ai pensieri di altri riguardo alle domande che tutti ci poniamo più o meno in quel periodo di età, ovvero che senso ho, dove vado, e quant’altro.

Talete
Ho visto tante persone (la maggioranza dei miei compagni di classe, a dirla tutta) imparare senza assimilare. Conoscevano benissimo, che ne so, quello che dice Solone nell’Elegia alle Muse, oppure quello che pensa Talete sull’arché. Ma di questo a loro non restava nulla. Era come se avessero imparato una serie di parole a caso una dietro l’altra: potevano ricordarle meglio o peggio, potevano anche trovare dei collegamenti tra di loro, ma di certo non assimilavano nulla. La loro conoscenza era nozionistica e sterile, era la conoscenza intrapresa per dovere, per ottenere un voto alto magari, ma non per passione. Era la conoscenza senza amore per                                  l’oggetto conosciuto.

Quello che ho sentito succedere in me era diverso, e la ragione è molto semplice: io di carattere sono un tremendo rompiscatole, e per me è davvero difficile, nel momento in cui mi trovo a contatto con un’opinione, non tentare di capire quanto io sia d’accordo ed eventualmente contestarla. In sostanza, sono uno che deve sempre dire la sua. Perciò, quando mi sono trovato di fronte la letteratura latina e quella greca e poi la filosofia (forte già della passione che avevo provato gli anni precedenti studiando la grammatica) non ho potuto che cercare di capire quanto io fossi d’accordo con quello che studiavo. Non riuscivo a imparare asetticamente, era qualcosa che proprio non rientrava nelle mie corde. E qui è successo il miracolo.

Mi sono reso conto che quello che leggevo non solo non doveva essere contestato, anzi. Ho trovato tanta verità, tanta profondità, tanta bellezza come mai da nessun’altra parte.Quei testi esercitavano su di me un doppio fascino: da un lato erano scritti in quelle lingue che avevo amato quando le avevo studiate i due anni precedenti, dall'altro contenevano idee che in qualche modo andavano incontro a quello che era (e per molti aspetti é ancora) il mio modo di vedere il mondo. Trovavo disprezzato il modo di vivere superficiale che ho sempre visto intorno a me e ho sempre detestato, ed esaltato invece quello che mi è sempre sembrato più congeniale e più vero, e che consiste nel non fermarsi alla scorza delle cose, al piacere del qui e ora ma cercare qualcosa di più alto, qualcosa di stabile che non sia solo piacere dei sensi ma sia soddisfazione a tutto tondo. La ricerca di emozioni intense come quelle che mi può suscitare una poesia o un quadro, e contemporaneamente la necessità di una crescita interna volta al miglioramento dell’individuo.

Ho visto fin dall’inizio i classici come una fonte inesauribile di insegnamenti, come uno specchio in cui si riflette quella parte dell’uomo che si interroga su sé stessa e sul proprio ruolo nel mondo, quella parte che non è mai cambiata (e mai cambierà!) col trascorrere dei secoli. Perciò, la prima e più importante ragione per la quale leggo i classici è che grazie a loro mi trovo in costante confronto con quello che dovrei essere e che voglio diventare, è che facendo mie quelle che sono le loro idee posso davvero crescere e migliorare sempre di più. I classici sono la scuola di vita più importante, più vera e più sentita che io abbia mai visto.
Il monumento funebre di Leonardo Bruni,
colui che più di tutti nel rinascimento ha desiderato
un'unione tra cultura classica e moderna,
volta al miglioramento dell'individuo
Questo si colloca all’opposto del sapere nozionistico cui accennavo prima, e che io disprezzo, e che invece purtroppo è un fenomeno diffuso. A che cosa serve conoscere a memoria gli argomenti dei libri di Erodoto? Leggine un passo, un passo importante, medita sul suo significato, fallo tuo, vedi come puoi inserirlo nella tua vita. Questo è un modo corretto di leggere una letteratura che nasceva con l’intento di insegnare qualcosa. Altrimenti la tua non è conoscenza, è nozionismo fine a sé stesso, è puro divertimento della mente.

Leggere i testi antichi così, senza trarne nulla, per una forma di conoscenza fine a sé stessa è un insulto ai testi stessi e a coloro che li hanno scritti.

La cosa davvero affascinante è osservare come uomini con una cultura profondamente diversa dalla nostra si siano posti le nostre stesse domande, e abbiano trovato la propria risposta, che, seppur molto spesso ovviamente intrisa di elementi del contesto storico in cui viene formulata, risulta ancora alla nostra epoca attuale e in grado di offrire non indifferenti spunti di riflessione. Rispondendo a queste domande gli autori classici hanno parlato al cuore, hanno offerto soluzioni e idee in grado di sfidare qualunque possibile differenza generata dallo spazio e dal tempo. Hanno racchiuso l’eternità nell'attimo, il diverso nell’unico mantenendo tutte le possibili diversità. Hanno parlato non ai singoli uomini ma all’Uomo vero che è in ciascuno di noi e che palpita di stupore e meraviglia di fronte a un cielo stellato o a un campo di fiori. Per questa ragione sono universali, per questa ragione si chiamano classici: perché sono sempre attuali, non passeranno mai di moda, almeno finché esisterà l’uomo avranno ancora qualcosa da dire a chi saprà ascoltarli.


I classici sono il nostro passato, e il nostro passato siamo noi. Il mondo di adesso vorrebbe tagliare con il passato, lo trova un ostacolo scomodo all'evoluzione. Basta pensare a una cosa semplice e banale: tutto ciò che usiamo viene superato da un modello migliore nel giro di pochissimo tempo. Il nostro mondo teme la stabilità, vuole andare avanti con talmente tanta foga da dimenticare che a volte è piacevole anche fermarsi a guardare il panorama. E questo lo vediamo nel fatto che il passato diventa sempre meno importante: del resto, se ciò che conta è soltanto l’evoluzione, il crescere verso il meglio, che cosa importa di ciò che è venuto prima? Non potrà che essere peggiore.

E non è così sbagliato come principio, ma se applicato con parsimonia. Dimenticare il passato significa dimenticare gli errori commessi, significa dimenticare il percorso tracciato come se ad essere importante fosse solo la destinazione. Significa restare totalmente impotenti e incapaci di rispondere di fronte ai problemi che non sappiamo risolvere. La riflessione sul passato, invece, è in primo luogo una riflessione metodologica. La riflessione sul passato comporta un tornare sui propri passi per cogliere il buono dagli errori commessi ed evitare di commetterli di nuovo in futuro. La riflessione sul passato è fondamentale per evitare di crollare su sé stessi.
Cicerone, che con la sua frase "historia magistra vitae" ha espresso
l'idea del passato come strumento della realizzazione del futuro
Per questa ragione i classici sono importanti, perché sono il primo strumento utile a ragionare su quanto è successo prima di noi. Sono un patrimonio infinito e quasi inesauribile che ci pone di fronte a situazioni e problemi già affrontati, e permette dunque di osservare cosa nell’approccio usato in passato vada cambiato e cosa possa essere conservato e riutilizzato. Rifiutare i classici vuol dire rifiutare la memoria, equivale a dichiarare di pensare che se ci svegliassimo un giorno senza ricordare assolutamente nulla di quanto successo nella nostra vita prima di quel momento potremmo continuare la nostra vita senza particolari ostacoli. Io credo che ci troveremmo spersi e spaesati, non sapremmo che cosa fare, e non sapendo come funziona ciò che abbiamo intorno sbaglieremmo a usarlo, come si fa da bambini. Ecco, vivere come in tanti fanno ora, rifiutando completamente il confronto con il passato del mondo equivale proprio a questo.

Terenzio, il maggior sostenitore
del concetto di humanitas
Come dicevo prima, i classici siamo noi, così come siamo anche i bambini che fummo e i vecchi che saremo. I classici sono l’umanità intera e ciascuno di noi singolarmente, sono il nostro più grande patrimonio che ci dà una profondissima e radicata identità culturale, che ci unifica al di là ti tutte le differenze. Per essere una persona migliore ciascuno di noi deve avere presente il proprio passato e riutilizzarlo come strumento per creare il nuovo sé del futuro. E per essere un’umanità migliore tutti dobbiamo avere presente ciò che siamo stati per creare l’umanità che verrà. Ciascuno di noi può essere testimone della memoria, portatore di una piccola fiamma di conoscenza e humanitas che rischiarerà la via del futuro. Possiamo tutti essere le singole fiamme di un immenso fuoco che arde e devasta le radici sterili dei nostri errori, e da loro trae ancora maggior forza per continuare a bruciare. Possiamo scegliere se diventare i portatori del ricordo che rinnova, che muta e che trasforma, oppure se fermarci alle nostre piatte vite che non aspirano a null'altro che a sé stesse, che non escono dal seminato, che si esauriscono nell'attimo della loro esistenza e non si estendono né all'indietro né in avanti. Possiamo scegliere se tentare di lasciare una nostra labile impronta nell'immenso percorso dell’uomo oppure se svanire come polvere al vento.

È in mano nostra. Vediamo che succederà.

Per questo io leggo i classici. Per questo non smetterò mai di leggerli.

7 commenti:

  1. Mi hai fatto venire voglia di rileggere i classici, grazie.
    Qualche consiglio per ricominciare?

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  2. Ciao! Benvenuta sul blog.

    Dunque, sono felice che il mio post abbia raggiunto il risultato che si era prefisso, e ti consiglio anche volentieri qualcosa da leggere.

    In realtà dipende molto da dove vuoi orientarti. Se vuoi limitarti ai classici antichi, posso consigliarti Le nuove (Aristofane) se vuoi farti quattro risate, Orestea (Eschilo) se vuoi restare sul serio. Cominciare dal teatro è comunque in generale una buona idea: sono opere agevoli che si leggono in poco tempo. Quelle che ti ho consigliato io sono soltanto esempi.

    Se invece vuoi leggere qualcosa di italiano, per cominciare non c'è niente di meglio che un romanzo di Pirandello (Il fu Mattia Pascal in primis, Uno, nessuno e centomila dopo): rapido, efficace, ben scritto e pieno di significato.

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  3. Tony suvvia non essere così formale! comunque grazie!
    (intendi le nuvole?)

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  4. Ciao Andrea, benvenuto!

    Ti ringrazio per i complimenti! Sono felice che il post abbia colto nel segno. Anche io credo che le scuole dovrebbero riflettere molto sull'uso del passato e su quello che da esso si può cogliere. Le scuole sono il luogo dove, volenti o nolenti, veniamo formati e dove si sviluppa il nostro pensiero. Purtroppo spesso capita nelle scuole che si diffonda un insegnamento fortemente nozionistico, vuoi per via del poco tempo che gli insegnanti hanno per trasmettere i loro messaggi vuoi per via della struttura stessa dell'insegnamento che non rende semplice un'istruzione che vada oltre le informazioni nude e crude. Avevo anche una mezza idea su un paio di cose che si potrebbero fare in questo senso, ma mi sa che resteranno idee nella mia testa!

    È inoltre importante che persone di formazione umanistica non perdano di vista ciò che è scientifico, così come che persone di formazione scientifica non perdano di vista ciò che è umanistica. I saperi umani sono tutti diversi, ma sono uguali nella misura in cui tutti puntano a scoprire la verità, a conoscere meglio l'uomo e il mondo. Perciò mi fa piacere che anche uno scienziato come te possa apprezzare!

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  5. Ciao Daniele!
    Ti ho già detto in privato cosa ne penso, ma volevo rendere pubblico il mio pensiero. Condivido tutto quello che hai scritto e sono onorata di avere un compagno (non mi abituerò mai a "collega") come te in università. Ho letto quello che hai scritto più volte, e ogni volta volta mi viene voglia di prendere in mano un libro qualsiasi e leggere. Anche difficilmente nella mia vita ho trovato le parole giuste per esprimerlo, nella mia esperienza del liceo ho provato le stesse cose che hai provato tu. Avrei tanto voluto avere la lucidità e la chiarezza che hai tu nell'esprimerle: l'emozionarsi leggendo i testi in lingua originale, gli infiniti dialoghi interiori con i classici, le domande e le riflessioni su me stessa e sulla nostra vita. I classici, laboratori di idee, che ho voluto inseguire anche in università (e fino a quando avrò respiro e intelligenza). Dovremmo innalzare questo testo a manifesto di tutti i classicisti!
    Vorrei dire altro, ma ne avremo tutto il tempo in questi lunghi anni di studio e di esami.
    Per ora ti mando un abbraccio e ne approfitto per augurarti buone vacanze!
    Fabiola :*

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  6. Ciao Fabiola,
    sono molto felice che tu abbia apprezzato. È davvero importante superare i limiti dell'istruzione liceale (che per sua natura ha molte difficoltà a dare una visione più che nozionistica di ciò che insegna) e giungere a metterci del proprio in ciò che si impara, ragionando e comprendendo. Nemmeno nelle nostre università è così facile un apprendimento che non sia conoscenza fine a sé stessa. Serve che ci mettiamo noi, come del resto stai facendo tu!
    Esortare alla lettura era lo scopo del post. Quindi sono felice che abbia avuto effetto!

    Buone vacanze anche a te!

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