Voglio
soffermarmi a parlare un po’ di Bacchilide e di Pindaro, i due maggiori
esponenti del cosiddetto secondo periodo della lirica corale nonché gli autori
dei praticamente unici epinici che ci siano giunti. In particolare, voglio
esaminare certi aspetti della poesia di Bacchilide e osservare se e quante
differenze esistano con la poetica di Pindaro.
Per parlare
di questo tema voglio, come accennavo prima, commentare un brano di un libro,
che mi è capitato casualmente sotto gli occhi qualche giorno fa. Si tratta di
poche righe tratte dal manuale di letteratura greca che usavo al liceo, Storia e testi della letteratura greca
di Casertano e Nuzzo. Prima di passare a questo però, ritengo utile una breve
panoramica sui due autori che prenderò in esame.
Il responsabile del delitto. |
“Εν μελεσι μαλλον αν ειναι Βακχυλιδης ελοιο η Πινδαρος, και εν τραγωδια Ιων ο Χιος η εν Δια Σοφοκλης; Επειδη οι μεν αποδιαπτωτοι και εν τω γλαφυρω παντη κεκαλλιγραφημενοι, ο δε Πινδαρος και ο Σοφοκλης οτε μεν οιοω παντα επιφλεγουσι τη φορα, σβεννυνται δαλογως πολλακις και πιπτουσιν ατυχεστατα.„
“Nella
poesia preferiresti essere Pindaro o Bacchilide, e nella tragedia Ione di Chio
o Sofocle? I primi non hanno difetti e nella loro eleganza hanno scritto
ovunque con bello stile, mentre i secondi bruciano tutto con la loro foga, ma
spesso si spengono in modo stupido e cadono nella maniera più infelice.„
Ecco, questo
giudizio è un po’ passato anche a noi, e ha contribuito a una più estesa
svalutazione di Bacchilide: gli viene riconosciuta abilità ma risulta comunque
meno impegnato di Pindaro, che invece viene visto come poeta più alto,
scrittore di argomenti più elevati, grande cantore dai valori incrollabili e
dalla voce profetica. E da qui deriva anche il giudizio espresso in Storia e testo della letteratura greca,
che ora voglio riportare.
“Ciò
[l’ampio spazio dedicato al mito negli epinici di Bacchilide] non deve far
pensare però a una maggiore religiosità di Bacchilide, ché anzi in lui il
racconto mitico ha perduto quasi del tutto il suo carattere di storia sacra,
per divenire bella favola, narrata con quel gusto per il meraviglioso ed il
fiabesco che è caratteristica dell’anima ionica. A differenza di Pindaro,
Bacchilide non cerca nelle saghe eroiche paradigmi etici ed esistenziali„
Io non sono
d’accordo con questa idea, anzi, la penso in modo esattamente opposto.
Povero Bacchilide! È davvero sottovalutato, davvero oscurato dall’ombra di
Pindaro, che invece si erge come una monumentale figura insuperabile, dalla
moralità granitica. Invece il tono più disteso della poesia
di Bacchilide, in un passo che non ho riportato, Storia e testo della letteratura greca non esita a definirlo mollezza.
Ma perché mi
oppongo a questa idea? Bé, le ragioni sono semplici: un paio di anni fa ho
letto i frammenti di Bacchilide nell’edizione pubblicata dalla bur, e posso
affermare che la realtà è ben diversa da come viene descritta. Vediamo di
capire perché, e voglio farlo prendendo in esame l’epinicio 3. Non riporterò
tutto il testo, mi limiterò a citare i punti che mi interessano sia in greco
che in traduzione, né è mia intenzione fare un commento esteso, ma sottolineerò
soltanto quegli elementi che sono utili al sostegno della mia tesi.
L’epinicio
comincia con l’esaltazione del dedicatario, Ierone di Siracusa,
vincitore con il carro alle Olimpiadi. In seguito ad alcuni versi di sapore sentenzioso
in cui si dice beato chi è in grado di tenere lontane le proprie ricchezze
dalle avversità della sorte viene lasciato intendere che Ierone sia tra questi
beati, e viene poi spiegato come ottiene questo. Comincia così la descrizione
delle feste che egli ha fatto celebrare e del santuario di Delfi, dove ha
mandato molti doni.
“βρυει μεν ιερα βουηθτοις εορτοις,
βρυουσι φιλονεξιας αγυιαι:
λαμπει δ'υπο μαρμαρθγαις, ο χρυσος
υψιδαιδαλτων τριποδων σταθεντων
παροιθε ναου, τοθι μεγιστον αλσος,
Φοιβου παρα Κασταλιας ρεεθροις
Δελφοι διεπουσι. Θεον, θεον τις
αγλαιζετω, ο γαρ αριστος ολβων.„
“I templi sono ricolmi di feste dove si sacrificano buoi,
le strade sono ricolme di gesti d’ospitalità,
l’oro splende tra i scintillii
tra i tripodi alti e istoriati
davanti al tempio, dove il grandissimo bosco
di Febo controllano di Delfi,
presso le correnti di Castalia. Il dio,
si glorifichi il dio: è la più grande delle fortune.„
Questi sono
i versi dal 15 al 22. Li ho riportati principalmente per dare un esempio della
poesia di Bacchilide, che non è affatto di basso profilo: come si vede da
questo breve estratto sono presenti descrizioni ricche ed efficaci (in
particolare, io apprezzo il modo in cui è rappresentato il tempio con i tripodi
e il rapido susseguirsi delle scene che rende l’idea dell’atmosfera incalzante
e trepidante che regna). Il dio che si dice celebrato in questi versi è Apollo,
e proprio questo offre a Bacchilide l’occasione per introdurre un racconto:
come Ierone, anche un altro personaggio offriva molti doni ad Apollo, ed è
Creso di Lidia. È curioso che lo spazio che normalmente è riservato al mito qua
sia dedicato alla narrazione delle vicende di un personaggio storico, ma questo
non cambia nulla, visto che gli altri epinici trattano i racconti mitici come
qui viene trattato il racconto storico.
Bacchilide
racconta che, quando Ciro di Persia conquista la Lidia, Creso e la sua famiglia
vengono condotti su un cumulo di legna perché muoiano in un rogo. In questa
situazione Creso rivolge un’invocazione al tanto venerato Apollo.
“Χερας δ'ες αιπυν αιθερα σφετερας αειρας
γεγωνεν: υπερβιε δαιμον,
που θεων εστι Χαρις;
ποθ δε Λατοιδας αναξ;
πιτνουσιν Αλυαττα δομοι
[...]
φαινισσεται αιματι χρυσονιδας
Πακτωλος: αεικελιως γυναικες
εξ ευκτιτων μεγαρων αγονται:
τα προσθε δ'εχθρα φιλα, θανειν γλυκιστον.
[...]
απιστον ουδεν, ο τι θεων μεριμνα
τευχει: τοτε Δαλογενης Απολλων
φερων ες Υπερβουρεος γεροντα
συν τανισφυροις κατενασσε κουραις
διευσεβειαν, οτι μεγιστα θνατων
ες αγαθεαν ανεπεμψε Πυθω „
“e sollevate le mani all’alto cielo
grida:«O divinità potente,
dov’è la gratitudine degli dèi?
Dov’è il signore figlio di Leto?
Crollano le case di Aliatte
[…]
Si tinge di sangue il Pattolo
dalle correnti d’oro; con le vergogna
le donne vengono portate via dalle case ben costruite,
ed è bello ciò che prima era odioso: cosa assai dolce è
morire
[…]
niente è incredibile di ciò che architetta
la cura degli dèi: allora Apollo, generato a Delo,
portò il vecchio presso gli Iperborei
con le fanciulle dalle belle caviglie
per la sua devozione, poiché i doni più grandi
tra i mortali aveva inviato alla santa Pito.„
Torniamo un
po’ a vedere che cosa diceva Storia e
testo della letteratura greca. C’era scritto che Bacchilide non cerca nel
mito paradigmi etici o esistenziali. Niente di più falso! Non si può parlare di
paradigma etico, ma è indubbio che qui Creso rappresenta le persone che, nel
momento nella disperazione, si rivolgono con delusione agli dèi pensando di
essere stati abbandonati. Si può parlare io credo di paradigma esistenziale al
proposito senza forzare in alcun modo il testo, lo dimostra la chiusa
sentenziosa dell’invocazione. Ed è paradigmatica anche la fine dell’episodio,
che, in una visione della vita come sarà esposta anche negli altri epinici
sostanzialmente negativa, rappresenta un raggio di luce. L’esistenza è sì
dolore su dolore ma la devozione nei confronti degli dèi ricompensa, anche
quando non ci si aspetta che accada. E Bacchilide sottolinea come non è il dio
che viene piegato dalle parole di Creso, ma era già nei suoi piani andare a
salvarlo, rappresentando così Creso e quindi l’uomo come in balia di forze, a
lui sia opposte che favorevoli, che sono del tutto fuori dal suo controllo.
Credo che
questo sia sufficiente a dimostrare come non sia vero che per Bacchilide il
mito sia soltanto una storiella, ma anzi, il suo valore esemplificativo, come
del resto in Pindaro, è decisamente presente. Dire che per Bacchilide il
racconto mitico è una bella favola significa privarlo del messaggio che
l’autore gli affida, che acquista in questo caso ancora maggior valore in
quanto il personaggio del mito va a sovrapporsi con il dedicatario
dell’epinicio: Creso e Ierone venerano lo stesso dio, e quindi a entrambi è riservato
lo stesso destino di essere protetti da lui.
La poesia
prosegue con alcuni versi frammentari, nei quali probabilmente veniva riportato
un discorso di Apollo ad Admeto. Dopo il discorso una serie di versi
sentenziosi che introducono un nuovo tema.
“φρονεοντι συνετα γαρυω: βαθυς μεν
αιθερ αμιαντος: υδωρ δε ποντου
ου σαπεται: ευφροσυνα δ'ο χρυσος:
ανδρι δου θεμις, πολιον παρεντα
γηρας, θαλειαν αυτις αγκομισσαι
ηβαν. Αρετας γε μεν ου μινυθει
βροτων αμα σωματι φεγγος, αλλα
Μουσα νιν τρεφει.„
“canto parole comprensibili a chi ha senno:
il cielo profondo è puro, l’acqua del mare
non si corrompe, l’oro è gioia.
È vietato all’uomo deporre la canuta
vecchiaia e riprendere la fiorente
giovinezza. Ma lo splendore della virtù
non muore con il corpo dei mortali,
lo nutre la Musa.„
Abbiamo qui
una dichiarazione di poetica ben precisa: il poeta è colui che parla ai pochi
che possono comprenderlo, la cui voce è profetica nella misura in cui svela
verità a chi è d’animo abbastanza elevato per poterle abbracciare. Nulla dunque
a che vedere con la mollezza ionica che gli viene imputata, anzi, Bacchilide è
un cantore tutto d’un pezzo, un profeta delle parole delle Muse, che egli
riporta nella sua poesia.
A questa
dichiarazione seguono delle sententiae il
cui scopo è quello di dimostrare come, a differenza del mondo, l’uomo si
deteriora e muore, e l’unico modo per renderlo immortale è celebrarne la virtù
attraverso la poesia. Lo scopo degli epinici di Bacchilide è quindi elevato, il
più alto possibile, rendere eterno chi viene celebrato, un po’ come accade,
indovina indovinello, negli epinici di Pindaro. Quello che da sempre è ritenuto
superiore. E che a quanto pare dice quasi le stesse cose.
Il
componimento si conclude poi con un nuovo elogio di Ierone come colui che,
grazie alla sua virtù, renderà grande
anche il poeta che lo celebra.
Alla luce di
quello che ho scritto, e soprattutto delle parole dell’epinicio, è chiaro che
il ruolo di poeta di secondo livello affidato a Bacchilide da Storia e testi della letteratura greca e
più in generale dalla critica antica e moderna è fondamentalmente immeritato,
in quanto Bacchilide non è inferiore o diverso né per uso del mito né per
visione della poesia e del poeta dal suo rivale Pindaro. Perciò, invito chi sia
interessato a leggere le sue opere, quelle che ci sono giunte le trovate nella
stessa edizione che ho letto io e che citavo prima, ne vale davvero la pena.
Ora sapete che Bacchilide a Pindaro non ha nulla da invidiare, e potete
ammirare il canto dolce e possente dell’usignolo di Chio, come lui stesso si
definisce.
Ton, mi fanno sempre morire le immagini che metti e i loro sottotitoletti!
RispondiEliminaSpero ti piacciano anche gli articoli!
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