Eccoci di
nuovo nel nostro infinito e faticosissimo viaggio attraverso il Liber di
Catullo. Dopo la bilogia del passero, ora l’argomento cambia completamente.
Naturalmente non muta lo spirito con cui Catullo affronta questa nuova
tematica, e gli strumenti espressivi di cui si serve per declinarla al meglio
in modo originale, rimaneggiando gli elementi della tradizione. Questo carme è
più lungo dei tre che lo precedevano, quindi mi zittisco subito e passiamo al
testo.
Phaselus ille, quem videtis, hospites,
ait fuisse navium celerrimus,
neque ullius natantis impetum trabis
nequisse praeterire, sive palmulis
opus foret volare sive linteo.
et hoc negat minacis Hadriatici
negare litus insulasve Cycladas
Rhodumque nobilem horridamque Thraciam
Propontida trucemve Ponticum sinum,
ubi iste post phaselus antea fuit
comata silva; nam Cytorio in iugo
loquente saepe sibilum edidit coma.
Amastri Pontica et Cytore buxifer,
tibi haec fuisse et esse cognitissima
ait phaselus: ultima ex origine
tuo stetisse dicit in cacumine,
tuo imbuisse palmulas in aequore,
et inde tot per impotentia freta
erum tulisse, laeva sive dextera
vocaret aura, sive utrumque Iuppiter
simul secundus incidisset in pedem;
neque ulla vota litoralibus deis
sibi esse facta, cum veniret a mari
novissimo hunc ad usque limpidum lacum.
sed haec prius fuere: nunc recondita
senet quiete seque dedicat tibi,
gemelle Castor et gemelle Castoris.
Quel battello che vedete, miei ospiti,
dice d’essere stata la più veloce delle navi,
e che lo slancio di nessuna barca lo abbia
mai battuto, sia che volasse
sui remi o con la vela. E questo
non può non confermarlo la spiaggia del minaccioso
Adriatico, le Cicladi e la splendida Rodi, la terribile Tracia,
la Propontide e il nero golfo pontico,
dove prima che battello fu
foresta frondosa; infatti sul monte Citoro
fischiava spesso la voce delle foglie.
Amastri sul Ponto, bossi del Citoro,
dice il battello che sono cose vostre, queste,
e le conoscete assai bene: dice ai tempi
di essere stato sulla tua cima,
di avere immerso i remi nella tua acqua,
e poi per mari furiosi di aver condotto
il tuo padrone, sia che favorevole o contrario
soffiasse il vento, sia che Giove benigno
tendesse al tempo stesso entrambe le scotte;
nessun voto fu fatto agli dèi
della spiaggia, quando giunse da quel mare
lontano fino a questo limpido lago.
Ma questo fu prima: ora invecchia
in una pace solitaria, e si dedica a te,
gemello Castore, e al gemello di Castore.
C’è nel testo un altro riferimento erudito, ancora più importante per la comprensione globale del carme. Si dice più volte che il battello parla, e a cosa poteva pensare il lettore colto se non a un'altra e ben più famosa nave parlante, la nave per eccellenza, la prima nave mai costruita, la nave Argo? Questo collegamento è reso poi sicuro da alcuni punti di contatto con il carme 64, in particolare con i versi in cui viene raccontata la costruzione di Argo.
Questo aspetto è fondamentale per un'interpretazione diretta del carme intero. L'assimilazione tra il phaselus, il battello protagonista della poesia, e la nave Argo non può che suonare ironica: abbiamo un ex-voto che viene paragonato alla prima nave della storia, all'imbarcazione che ha soldato i mari carica dei più grandi eroi del tempo. Le motivazioni di questo accostamento sproporzionato risiedono nelle intenzioni di Catullo, che dà in questo modo un esempio di quello che vuole essere una certa parte della poesia neoterica. Abbiamo visto che i portare novi facevano dell'erudizione e dei riferimenti sotto un cardine della loro poesia, ma abbiamo anche visto come un Catullo il riferimento sotto non sia presente in modo casuale ma sì adatti a uno scopo letterario. In questo carme si verifica la stessa cosa. Vediamo come.
Il viaggio degli Argonauti era tema tipico della poesia epica. Le Argonautiche di Apollonio Rodio che ci sono giunte sono solo una singola opera che tratta questo mito, ma il mondo antico ne conosceva di più, sia in ambito greco che romano. Tra queste voglio ricordare quella che ci verrà utile tra non molto, ovvero la versione che viene proposta da Callimaco nei suoi Aitia, che a noi sono giunti frammentari. Infatti la critica è concorde, almeno a quel che ne so, nel ritenere che Catullo avesse presente quest'opera di Callimaco nella stesura di questo carme. Lo testimonia il fatto che il tragitto che il battello descrive è molto simile a quello che sappiamo che Callimaco faceva percorrere agli Argonauti, in netta contrapposizione con Apollonio, che invece proponeva un itinerario diverso. La scelta quindi di una fonte piuttosto che dell'altra costituisce una presa di posizione da parte di Catullo in ambito mitografico, aspetto che a noi può sembrare marginale, ma che è invece di importanza capitale per un autore che faceva dei riferimenti colti una colonna portante della sua poetica.
La scelta di una fonte non significa però il totale disprezzo dell'altra. La tappa a Rodi, che non è presente in altre fonti, risulta un tributo ad Apollonio, che a Rodi aveva trascorso una parte della sua vita. Possiamo pensare che anche i riferimenti all'Adriatico, più che a una reale volontà di distaccarsi da Callimaco, siano motivato dalla volontà di un tributo.
La contaminazione di fonti era un'operazione tipica della poesia dotta, e qui viene attuata da Catullo non soltanto per mostrare la sua erudizione ma in base a un preciso ordine di idee di carattere letterario. Quali sono queste idee? In altri termini, a quale scopo paragonare il battello alla nave Argo? Per rispondere dobbiamo fare una considerazione. Il lessico di questa poesia è molto particolare, nel senso che si rifà in modo massiccio alla linguaggio dell’epica. Valga come esempio l'uso del termine “volare” riferito alla nave, che ha una lunga tradizione che risale addirittura a Ennio. Bene, se Catullo usa un linguaggio epico per riproporre i viaggi argonautici (e dunque eroici e avventurosi) di una nave finta, l'unica soluzione che faccia quadrare tutto gli elementi è che l'intenzione del poeta sia di generare una sproporzione tra materia e stile che porti a un effetto ironico. Ci troviamo perciò di fronte a una sottile parodia, una presa in giro degli stilemi epici realizzata attraverso il loro utilizzo per dei contenuti di livello inferiore.
Questa rivisitazione dei topoi della tradizione rientra nella poetica dell’erudizione di cui Catullo si fa portatore. Dobbiamo, a parer mio, vedere in questa parodia l’intenzione di Catullo di scherzare con la poesia alta e solenne, di mostrare la propria conoscenza attraverso un gioco di riadattamento di quegli elementi che nella mente del lettore accompagnavano tutt’altro tema. Giocare con la tradizione non significa deriderla, anzi, significa riproporla in un modo diverso, e attraverso altri mezzi, ovvero quelli che offriva la nuova poesia neoterica, che focalizzava la propria attenzione sul quotidiano e sul piccolo, invece che sul grandioso ed elevato.
La ripresa dei topoi della poesia del passato non si ferma qui. Anche il modulo dell’oggetto parlante trova degli antecedenti, in particolare, per quello che possiamo sapere noi, in alcuni epigrammi di Callimaco che ci sono stati tramandati nell’Antologia Palatina. In realtà anche altri epigrammi di altri autori possono essere presi a confronto, ma quelli di Callimaco sono senza dubbio i più significativi. Quindi, negli epigrammi di Callimaco l’oggetto votivo ricorda la propria “vita passata” come oggetto reale, ora che è solo una rappresentazione. L’oggetto votivo quindi si sovrappone a ciò che rappresenta, né è la naturale continuazione. Nel caso di Catullo è l’opposto, l’oggetto non ricorda con nostalgia un passato che non è più, ma anzi, vanta le proprie abilità e la propria grandezza in modo evidentemente esagerato. Il phaselus di Catullo è un phaselus gloriosus potremmo dire, fanfarone, che finge di essere grande come e più della nave Argo, mentre invece è solo un oggetto votivo. In questo senso, intuiamo anche che la parodia epica assume un significato in più, perché diventa funzionale a rendere eccessive le affermazioni del battello.
In questo senso assume un significato anche il fatto che l’io parlante della poesia, mai individuato, sottolinea più volte che quello che racconta siano solo le parole del battello. Come dicevamo prima, appare evidente come quello che racconta il battello sia falso, che siano le vanterie di un ex-voto che millanta di essere un oggetto reale. L’uso ripetuto della formula “dice” (sottintendendo ovviamente il battello) quindi serve al parlante a creare rispetto alle informazioni che riporta un grado maggiore di distacco. Se è il battello a dirle, e il parlante si limita a riportare le sue parole, allora il battello e solo il battello è garante della loro veridicità. E ciò dunque contribuisce ancora di più a sottolineare la falsità delle sue affermazioni.
Per tirare le somme, il carme 4 di Catullo si configura come una poesia in cui l’autore mostra la sua erudizione rielaborando e riproponendo in tono ironico i moduli della poesia passata. Questo gioco letterario è tipico dell’esibizione di doctrina che caratterizzava i poetae novi in generale, e non solo Catullo. La rielaborazione trova quindi in sé stessa la propria forma di originalità, e rende Catullo un poeta innovativo e interessante, quanto più distante possibile dall’essere un mero imitatore.
In questo periodo sono pieno di esami, visto che vorrei laurearmi il prima possibile sto cercando di dare i pochi che mi restano tutti insieme. Quindi la pubblicazione sarà molto irregolare, anche se conto di essere più costante possibile. Ce la posso fare. Spero quindi di riproporre un altro Catullo tra tre settimane circa. Vedremo se ce la farò.
Questa rivisitazione dei topoi della tradizione rientra nella poetica dell’erudizione di cui Catullo si fa portatore. Dobbiamo, a parer mio, vedere in questa parodia l’intenzione di Catullo di scherzare con la poesia alta e solenne, di mostrare la propria conoscenza attraverso un gioco di riadattamento di quegli elementi che nella mente del lettore accompagnavano tutt’altro tema. Giocare con la tradizione non significa deriderla, anzi, significa riproporla in un modo diverso, e attraverso altri mezzi, ovvero quelli che offriva la nuova poesia neoterica, che focalizzava la propria attenzione sul quotidiano e sul piccolo, invece che sul grandioso ed elevato.
La ripresa dei topoi della poesia del passato non si ferma qui. Anche il modulo dell’oggetto parlante trova degli antecedenti, in particolare, per quello che possiamo sapere noi, in alcuni epigrammi di Callimaco che ci sono stati tramandati nell’Antologia Palatina. In realtà anche altri epigrammi di altri autori possono essere presi a confronto, ma quelli di Callimaco sono senza dubbio i più significativi. Quindi, negli epigrammi di Callimaco l’oggetto votivo ricorda la propria “vita passata” come oggetto reale, ora che è solo una rappresentazione. L’oggetto votivo quindi si sovrappone a ciò che rappresenta, né è la naturale continuazione. Nel caso di Catullo è l’opposto, l’oggetto non ricorda con nostalgia un passato che non è più, ma anzi, vanta le proprie abilità e la propria grandezza in modo evidentemente esagerato. Il phaselus di Catullo è un phaselus gloriosus potremmo dire, fanfarone, che finge di essere grande come e più della nave Argo, mentre invece è solo un oggetto votivo. In questo senso, intuiamo anche che la parodia epica assume un significato in più, perché diventa funzionale a rendere eccessive le affermazioni del battello.
In questo senso assume un significato anche il fatto che l’io parlante della poesia, mai individuato, sottolinea più volte che quello che racconta siano solo le parole del battello. Come dicevamo prima, appare evidente come quello che racconta il battello sia falso, che siano le vanterie di un ex-voto che millanta di essere un oggetto reale. L’uso ripetuto della formula “dice” (sottintendendo ovviamente il battello) quindi serve al parlante a creare rispetto alle informazioni che riporta un grado maggiore di distacco. Se è il battello a dirle, e il parlante si limita a riportare le sue parole, allora il battello e solo il battello è garante della loro veridicità. E ciò dunque contribuisce ancora di più a sottolineare la falsità delle sue affermazioni.
In questo periodo sono pieno di esami, visto che vorrei laurearmi il prima possibile sto cercando di dare i pochi che mi restano tutti insieme. Quindi la pubblicazione sarà molto irregolare, anche se conto di essere più costante possibile. Ce la posso fare. Spero quindi di riproporre un altro Catullo tra tre settimane circa. Vedremo se ce la farò.
Manca il riferimento ad un analogo passo della letteratura poetica greca.
RispondiEliminaCiao Francesco, riesci a segnalarmi quale riferimenti hai presente?
RispondiEliminaHo qualche dubbio sulla interpretazione. Scrive Catullo:
RispondiElimina"quando giunse da quel mare
lontano fino a questo limpido lago".
Catullo scrive dalla sua villa a Desenzano, affacciata sul lago di Garda. E quindi ritengo che lui stia effettivamente indicando l'imbarcazione ai suoi amici, ormeggiata nella rada sotto alla sua villa. L'imbarcazione dall'Adriatico ha risalito il Po fino al Mincio e quindi fino al lago di Garda. Acquista quindi ancora più valore poetico l'accorato appello agli amici che lo circondano quando lui esclama "vedete amici quel battello ...?". Ed è una sorta di identificazione tra la vita dell'imbarcazione e la vita dello stesso poeta: entrambi, dopo aver sfidato i mari e percorso luoghi esotici vivono al presente in una dimensione nostalgica.
Proprio così. Sento un sapore sutobiografico in questi splendidi versi che può essere paradigma universale. Lo ho adattato a me facendone allegoria della mia esistenza ora che,dopo una vita orgogliosa e financo corsara,tra flutti e venti, poso i miei remi in acque chete
RispondiEliminain attesa di consacrarmi.