giovedì 30 marzo 2017

Recensione - Il richiamo del cuculo di Robert Galbraith (J.K. Rowling)

Facciamo un gioco. Immaginate di essere una donna di 52 anni qualunque, dove per qualunque intendo “più ricca della regina d’Inghilterra”. Immaginate di avere alle spalle sette libri che hanno venduto 450 milioni di copie, sono stati tradotti in 77 lingue e sono stati spunto per otto film di altrettanto successo. Immaginate che dopo tutto questo vi venga di nuovo voglia di scrivere, perché per voi scrivere prima che un lavoro è un piacere. Scrivereste inevitabilmente qualcosa di del tutto diverso dai famosi sette libri precedenti, no? Perché volete staccarvi quel marchio che ingombra, che viene prima di voi. Volete dimostrare che siete bravi anche con altri generi e non solo con il fantasy, che vendete perché avete talento e non per il vostro nome.

Ecco, immaginate tutto questo e sarete J. K. Rowling dopo che ha scritto il suo primo romanzo giallo, Il richiamo del cuculo. Che oggi è qui su questi schermi.
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Titolo: Il richiamo del cuculo
Autore: Robert Galbraith (la carissima zia Jo sotto pseudonimo)
Anno: 2013                                                         
Editore: Salani
Pagine: 547




TRAMA 

Cormoran Strike è un investigatore privato, e non se la sta passando bene in questo periodo. Ha poco lavoro, pochi soldi e una fidanzata con cui le cose vanno sempre peggio. Quando perciò incontra la sua nuova segretaria temporanea, Robin, non pensa che da lì a poco la sua vita prenderà una svolta, per quanto difficile, e lei ne sarà parte integrante.

Lula Laundry, famosa modella, è morta, è caduta dalla finestra del suo appartamento. Secondo la polizia è suicidio, ma il fratello John non è convinto. Per questo si reca da Strike: vuole che sia lui a indagare e a svelare la verità. Per Strike questa è l’occasione d’oro per guadagnare un po’ di soldi, rimettere in sesto la sua vita e rendersi conto se quello che è adesso e il mestiere che fa sono davvero ciò che desidera oppure solo il ripiego per qualcosa che non è mai riuscito a realizzare.

Il detective Cormoran mentre cattura un colpevole.

LA MIA OPINIONE


Il richiamo del cuculo è stato scritto sotto lo pseudonimo di Roberth Galbraith, e le ragioni di questa scelta le ho spiegate prima. Sta di fatto che prima che la Rowling facesse il coming out il romanzo aveva venduto pochino, qualcosa come 1500 copie cartacee (inutile dire che dopo invece le vendite sono salite alle stelle). La prima ragione che viene in mente a chiunque, la stessa che era venuta in mente a me, era che mentre Rowling è un nome che conoscono anche i sassi, Galbraith lo conoscono soltanto gli economisti e non si aspettano certo che pubblichi un giallo. Se poi si aggiunge che probabilmente il romanzo di un esordiente aveva ricevuto una pubblicità scadente, ecco spiegate le cause del flop. Bé, questo lo pensavo prima di leggere il libro, dopo che l’ho letto posso dire che la situazione, almeno a parer mio, è diversa.

Ora che tutti sanno che la Rowling è Galbraith l’intento iniziale dello pseudonimo è andato a farsi friggere. Infatti Il richiamo del cuculo è un libro che campa sul nome che l’autrice si è creata.

A me piace la Rowling. Ho adorato i libri di Harry Potter, ho cominciato il primo a sei anni e finito l’ultimo a dodici. Li avrò letti tantissime volte, non scherzo se dico che avrò superato la decina per ciascuno. Ok, non saranno dei capolavori di stile, ma hanno millemila altri pregi che  fanno dimenticare presto il fatto che, per esempio, la Rowling usi puntini di sospensione molto spesso dove non servono. Sono degli ottimi libri, che bilanciano uno stile non eccellente con ottime idee, una eccellente caratterizzazione dei personaggi, trame non scontate e molta ironia. Il richiamo del cuculo è invece un tremendo passo indietro. Quindi non è che non ha venduto perché povero caro non lo conosceva nessuno. Anche per quello, ma anche perché a conti fatti è un brutto romanzo, almeno secondo me.

E non è che la Rowling sia diventata di colpo stupida e abbia dimenticato come caratterizzare un personaggio. Strike è ben costruito, non è di certo un protagonista memorabile ma fai il suo sporco lavoro. I momenti in cui ricorda i tempi nell’esercito, in cui riflette su cosa fare di sé stesso, in cui ricorda la storia con la sua fidanzata, sono tutte parti in cui a parlare è una voce ben precisa, una voce che il lettore ha imparato a conoscere, non un punto di vista generico e asettico. Anche Robin, per quanto sia un po’ meno approfondita, va bene. E anche l’ambiente delle super modelle e degli stilisti in cui si svolge gran parte della storia è rappresentato con una precisione e una efficacia non da poco. Le scene rappresentate sono vivide e realistiche. Per dirne una, i personaggi sono tutti volgari e fumano tutti come dei turchi. Sembrano dettagli scontati, sembrano quelle cose che gli scrittori italiani inseriscono a caso nei loro romanzi per fare i trasgressivi, ma in realtà ci stanno molto bene. Del resto non credo che tra gli stilisti e le super modelle regnino una sobrietà e un’astinenza monacali, eppure sarebbe stato facile sfociare nell’eccessivo, nell’ipercaratterizzazione, nel troppo che suona surreale tanto quanto il poco. La Rowling evita tutto questo. Ma il libro non funziona comunque.

Avete mai letto un libro di Agatha Christie? Io tra la prima e la seconda superiore ho avuto il periodo in cui mangiavo pane e Agatha Christie. Li ho letti praticamente tutti nel giro di circa un anno, ne leggevo quasi uno al giorno. E non è che io avessi tanto tempo libero e non facessi altro che leggere, semplicemente i romanzi della Christie si leggono da soli. Ne cominci uno, ti prende e non fai in tempo a dire bah che toh, è finito ed era fantastico, avanti il prossimo. E sapete perché è così? Perché i gialli di Agatha Christie sono abbastanza brevi e vi succedono un sacco di cose. Nel giro di duecento pagine scarse c’è tempo per tre omicidi, caratterizzazione dei personaggi, approfondimento psicologico, evoluzione dei personaggi, gente che si sposa, gente che si lascia, gente che litiga, Hastings che ride dietro a Poirot per le sue manie, e venti-trenta pagine di spiegazione che tengono il lettore con il fiato sospeso. Il richiamo del cuculo è l’esatto opposto.

Ancora una volta mi sono lasciata prendere la mano...

Se tornate alla scheda del libro a inizio recensione vedrete che il dura la bellezza di 547 pagine. Più del doppio dei romanzi più lunghi della Christie. Cominciate già a intuire qual è il problema? È proprio come state pensando. Il richiamo del cuculo è un inutile polpettone.

Un romanzo giallo deve tenere viva l’attenzione del lettore e deve essere ricordabile. Perché lo scrittore di gialli è un prestigiatore che deve mostrare al lettore una magia e al tempo stesso ingannarlo, spostare la sua attenzione su certi dettagli e nasconderne altri in modo da rendere più difficile possibile capire il trucco. Se però il lettore non ricorda i punti salienti della vicenda come potrà partecipare alla sfida di capire l’assassino prima dell’investigatore? È come guardare lo spettacolo del prestigiatore al buio totale. Invece ciò che è affascinante è poterlo osservare sotto ogni aspetto e rendersi conto che è nella sua limpidezza che consiste l’inganno, che il trucco è in qualche modo pulito, è onesto, perché è essenziale ma allo stesso tempo in grado di illuderti. La bellezza di leggere un libro della Christie è proprio questa, che per duecento pagine ti fa credere una cosa e poi ti svela che non era vera, e lo si poteva capire, tutti gli elementi erano in bella vista, non nascosti sotto un cumulo di inutilità.

Tutto questo per dire che Il richiamo del cuculo è troppo lungo per quello che ha da raccontare. Il centro del romanzo è occupato dagli interrogatori, e dura qualcosa come 350 pagine. E questo è dannoso per due motivi. Il primo, perché impedisce ai dettagli di essere ricordabili: di un interrogatorio di due o tre pagine è facile tenere a mente tutti gli elementi, anche quando magari di interrogatori così ce ne sono cinque o sei. Ma quando ci sono dieci interrogatori di quasi trenta pagine l’uno, inframmezzati per altro da altre vicende che non c’entrano niente, tipo i problemi di Strike o roba simile bé, la situazione è ben diversa. Il lettore non può gareggiare con l’investigatore, sente qualcosa che si va a contraddire con quello che ha dichiarato un altro personaggio ma non può rendersene conto perché magari ha sentito dire quella cosa duecento pagine prima, e così piano piano perde coinvolgimento in quello che legge. Sia ben chiaro, non sto dicendo che in un giallo gli indizi non debbano essere nascosti, sto dicendo che esistono modi eleganti per nasconderli. E allungare il brodo a dismisura non rientra tra questi.

La reazione di zia Jo alla mia recensione.

Il secondo motivo è che gli interrogatori sono una fase di stallo. Vengono ascoltate le versioni di ognuno dei sospettati e quindi per forza di cose la trama non può andare avanti. Anche per questo devono essere corti, perché non è piacevole leggere una storia dove non succede niente. Quindi, trenta pagine di interrogatori possono avere un senso, 300 e passa invece no, anzi, sono un ottimo modo per uccidere l’interesse del lettore e per affossare la sua voglia di continuare la lettura.

Tutto questo rende nullo il buono di cui ho parlato prima. Perché va bene, Strike è caratterizzato, ma leggere 300 pagine di nulla su un personaggio ben caratterizzato è comunque noioso. Anche quando verso pagina 440 la Rowling si decide a far succedere qualcosa è comunque una ripresa fiacca e che viene salutata con freddezza dal lettore ormai sfinito. Anche Harry Potter aveva dei punti meno entusiasmanti di altri, ma lì c’era l’ironia oppure la trovata bizzarra che mantenevano vivo l’interesse, che facevano venir voglia di continuare la lettura. Qui per forza di cose non c’è nulla di tutto ciò, e quindi la noia è dietro l’angolo.

E poi arriviamo al finale. Non voglio fare spoiler, per quanto se vi dicessi chi è l’assassino vi risparmierei noia e tempo. Semplicemente, vi basti sapere che per quante spiegazioni si tenti di dare il tutto continua a suonare abbastanza stupido. Non perché la soluzione di per sé non abbia senso, credo che lo abbia (non ne sono sicuro perché grazie alle famose 300 pagine di interrogatori non ricordo tutti gli elementi fondamentali del caso), il fatto è che c’è un incoerenza di fondo che, per quanto si noti che specie verso la fine l’autrice abbia cercato di giustificarla, in pratica continua a suonare senza senso. Non dico di più, se lo leggete capirete subito di cosa sto parlando.

Conan dopo aver letto chi è l'assassino.

IN CONCLUSIONE


Il richiamo del cuculo è un romanzo noioso, troppo lungo e pieno di parti inutili. Ha delle qualità positive che gli impediscono di cadere negli Abyssi della brutta letteratura e lo stile funziona, ma comunque non è riuscito a piacermi. Non è il male assoluto, questo no, ma è ben lontano dall’essere anche solo accettabile. Quindi in caso ve lo steste chiedendo no, non ho al momento intenzione di leggere i due seguiti (anche se il secondo me lo ha regalato qualcuno in qualche occasione) ne ho avuto abbastanza per un po’ di Cormoran Strike e di Robin.  Peccato, dalla Rowling mi sarei aspettato di più, almeno a livello di idee e coinvolgimento.

VOTO:
 

2 commenti:

  1. Premettendo che a me non piacciono i libri troppo descrittivi (tanto per dire: il Signore degli Anelli io non riesco proprio a leggerlo), ho invece molto apprezzato lo stile di questo libro. Le descrizioni (per quanto molte e lunghe) sono piacevoli: ti sembra proprio di vivere dentro il libro.
    Ho letto pochi tuoi prodotti, ma ho trovato che questo libro abbia uno stile particolarmente simile al tuo.

    Il caso non è incredibile (i gialli di Agatha Christie o Conan Doyle sono su un altro livello), ma mi ha comunque intrigato e appassionato e la soluzione, per quanto non sia questo colpo di scena e possa sembrare un pochetto tirata, non mi ha lasciato troppo deluso.
    Non mi è piaciuto come giallo ma come romanzo.

    Le volgarità le ho trovate realistiche, ma forse un po' di troppo.

    Avevo sentito parlare bene di questo libro (che ora avrà una trasposizione televisiva) già prima che si rivelasse lo pseudonimo. Finito questo libro, ho subito comprato i sequel.

    P.S. è Lula Landry, non Lula Laundry.

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    1. Ciao! Benvenuto sul blog!

      Allora, io tendenzialmente apprezzo le descrizioni, il fatto è che ho trovato che la maggior parte di questo libro potesse essere eliminata senza nulla togliere alla comprensione della trama. È vero, come dicevi tu sembra di esserci dentro, l'ambientazione è particolarmente viva, ma la narrazione è statica. Il problema secondo me non è che si dilunga, è che si dilunga su cose che poteva non dire. Gli interrogatori a parer mio sono un ottimo esempio di questo: durano tutti attorno alle 27 pagine. Non ci credo che tutte le cose che vengono dette in queste 27 pagine sono fondamentali! Che non si poteva levare nemmeno una frase senza compromettere tutto!

      Se fosse stato più snello avrei apprezzato di più, perché, come dicevi tu, il caso non è nulla di particolare, ma l'ambientazione così vivida aveva tutte le premesse per intrattenere.

      P.S. Ops! Mea culpa!

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