mercoledì 10 maggio 2017

Commento integrale al Liber di Catullo. Carme 3.

L’altra volta avevo pronosticato il prossimo post su Catullo nel giro di due settimane. È passato un mese. La puntualità non è il mio forte, ma non importa! Vediamo subito che cosa ha in serbo per noi il carme 3 di Catullo!

Il carme 2 e il carme 3 costituiscono il dittico del passero della donna amata. Nel carme 2 abbiamo visto la descrizione di un momento di gioco della donna con il suo animaletto, e abbiamo visto come negli ultimi versi quello che pareva solo un quadretto raffinato diventava specchio dell’insoddisfazione del poeta. Nel carme 3 troviamo raccontata la morte del passero. Vediamo come Catullo tratta questo tema, e come lo interpreta attraverso le istanze della poesia neoeterica e attraverso la sua spiccata sensibilità artistica.

Lugete o Veneres Cupidinesque
et quantum est hominum uenustiorum.
passer mortuus est meae puellae.
passer deliciae meae puellae.
quem plus illa oculis suis amabat.
nam mellitus erat suamque norat
ipsam tam bene quam puella matrem.
nec sese a gremio illius mouebat
sed circumsiliens modo huc modo illuc
ad solam dominam usque pipiabat.
qui tunc it per iter tenebricosum
illuc unde negant redire quemquam.
at uobis male sit malae tenebrae
Orci. quae omnia bella deuoratis.
tam bellum mihi passerem abstulistis.
o factum male. o miselle passer.
tua nunc opera meae puellae
flendo turgiduli rubent ocelli.

Piangete, Veneri e Amori,
e tutti quanti gli uomini gentili.
È morto il passero della mia ragazza,
il passero, delizia della mia ragazza,
che lei amava più dei suoi stessi occhi.
Era dolce, e conosceva la sua padrona
tanto bene quanto una figlia conosce la madre.
Non si allontanava mai dal suo grembo,
ma saltando qua e là
pigolava sempre alla sua sola padrona.
Ora lui attraversa quel sentiero irto d’ombra
dal quale si dice che non torni mai nessuno.
Maledette siate voi, malvagie ombre
dell’Orco, che divorate tutto quanto è grazioso;
tanto grazioso era il passero che vi siete prese.
O triste evento! O passero infelice,
per causa tua i piccoli occhi della mia ragazza
si gonfiano e arrossiscono dal pianto.

Inutile ribadire che la traduzione non ha nessuna velleità artistica, ormai lo sapete. Quello che mi interessa è offrire un testo chiaro su cui poter lavorare.


Come dicevo prima, carme 2 e 3 sono collegati, ma questo collegamento non è soltanto tematico, ma si riflette anche nell’operazione letteraria che viene attuata attraverso la loro composizione. Nello scorso articolo spiegavo come il carme 2 fosse la parodia degli inni agli dèi. Bene, anche il carme 3 è una parodia, ma di un altro genere letterario, l’epicedio, ovvero il canto di lamento per la morte di una persona. La parodia viene attuata qui come nel carme 2, ovvero attraverso la sproporzione tra la materia e lo stile. L’epicedio è per sua natura un genere altisonante e pomposo, si tratta di una lamentazione funebre del resto, e qui viene dedicato a un ben misero defunto, ovvero un passero. Le invocazioni del primo verso, quindi, risultano eccessive ed esagerate, addirittura per un animaletto vengono tirati in ballo Venere e gli amori! Anche il verbo lugete contribuisce a rendere maestoso il tono in modo ridicolo: lugere infatti significa piangere, ma non è un pianto sommesso, quanto un pianto urlato e disperato. Più in generale, tutto il componimento suona altisonante, per via delle immagini iperboliche che vengono usate, e della maledizione finale alle ombre infernali.

In questo contesto di stile elevato Catullo non dimentica di essere un neoterico, e perciò, in un’operazione molto efficace, inserisce in stilemi alti parole del lessico comune e quotidiano, che poi, come abbiamo visto negli articoli scorsi, sono una caratteristica particolare della lingua dei poetae novi. Tra queste parole possiamo citare come esempi il verbo pipio al verso 10, l’aggettivo bellus ai versi 14 e 15(che significa carino, grazioso, e che poi è diventato il “bello” italiano, assumendo però un significato più affine a formosus), il verbo fleo all’ultimo verso, che non è popolare ma è sicuramente meno alto di lugeo, e infine tutti i diminutivi dell’ultimo verso, ocelli e turgiduli. Questa opposizione tra linguaggio e stile non fa altro che accentuare lo scarto che genera la parodia.

Non dimentichiamo inoltre che il neoterismo si rifaceva alla poesia alessandrina. L’alessandrinismo di questa poesia è duplice: da un lato nel contenuto, infatti la lamentazione per la morte di animali è frequente nella poesia ellenistica, come dimostrato dall’Antologia Palatina, dall’altro nei riferimenti dotti che emergono di tanto in tanto. L’esempio più lampante è l’invocazione a più Veneri e a più Amori. Infatti, la tradizione mitica voleva che Venere e Amore fossero unici, come del resto sono unici tutti gli altri dèi, non è che esistono due Nettuno. Tuttavia, una certa tradizione di poesia erudita ellenistica aveva moltiplicato queste figure, come per esempio ci dimostra un frammento di Callimaco. Se quindi qui Catullo parla al plurale è perché vuole mostrare di avere accolto la lezione più dotta e meno vulgata del mito.


Il verso 2 è un grande omoteleuto, visto che su cinque parole le tre più lunghe finiscono tutte con la stessa sillaba. L’omoteleuto ha qui lo scopo di cadenzare il verso, dando l’impressione di scandire il ritmo di una marcia. La parola venustus è molto importante, perché si riferisce agli uomini eleganti, raffinati. Nella traduzione ho usato la parola gentile nel senso in cui la usano i poeti del ‘300, perché mi sembrava ci stesse bene e rendesse in modo efficace il significato della parola latina. E perché per quanto sia una traduzione di servizio questo non significa che debba proprio fare essere brutta. Comunque, è importante perché dice che gli uomini che devono piangere non sono tutti, ma solo quelli raffinati, che qui assume duplice valenza: indica gli uomini in grado di provare alti sentimenti, ma anche quelli dotti abbastanza da poter cogliere i riferimenti e l’eleganza della poesia che hanno di fronte.

Il verso 3 è una diretta citazione del carme 2, e serve, in caso qualcuno, dopo aver letto la parola passer, avesse ancora qualche dubbio, a confermare il legame che collega carmi 2 e 3. È in anafora con il verso 4, e insieme costituiscono l’invocazione solenne, e naturalmente ironica, all’oggetto della poesia, il passero defunto.

Nel carme 2 il poeta sottolineava lo scarto che passava tra lui e il passero, e così implicitamente affermava di voler essere amato dalla donna come l’animaletto. Nel carme 3 l’associazione è ulteriore, ed è realizzata attraverso espliciti rimandi al carme 8, rimandi che esaminerò più nel dettaglio quando mi occuperò del carme 8 stesso. Per ora, basti sapere che si va a creare una perfetta corrispondenza tra il passero e Catullo, andando così a sovrapporre le due figure. Il passero è alter ego di Catullo nella misura sono accomunati dai sentimenti che provano. Nel carme 72 Catullo affermerà di aver amato la sua donna come un padre ama i figli. Salta subito agli occhi l’analogia con la similitudine usata qui, che paragona la ragazza amata e il passero a una madre e una figlia. Il sentimento tra Catullo/passero e la donna non è quindi un amore semplicemente carnale, è un amore legato a un vincolo familiare, è un amore istituzionalizzato quasi, ma al tempo stesso naturale e non solo fisico ma anche affettivo.

Incontriamo qui adombrata una tematica fondamentale della poetica catulliana, quella che costituisce una sua cifra originale e unica. Quell’aspetto che caratterizza Catullo in modo straordinariamente preciso, e che lo rende anche molto romano, se capite che cosa intendo. Un greco non avrebbe mai potuto pensare a una cosa del genere, per lui non avrebbe avuto senso. Ma per un romano, per un romano con la sensibilità di Catullo che vive in un momento in cui, per quanto non si interessi della vita politica della sua città, non può che risentire delle lotte intestine e del crollo dei valori che tanto terrorizzava gli intellettuali dell’epoca, per un romano così dicevo tutto ciò ha senso.

Accenno soltanto a questo tema per riprenderlo poi molto oltre, quando sarà necessario. Ciò che Catullo cerca dalla ragazza che ama non è soltanto l’amore, ma è una rilettura di questo sentimento attraverso i valori della tradizione romana, che sono tipicamente collettivi, e tendono a dissolvere l’individualità nella totalità dello stato. Catullo vuole un amore unico e individualista e al tempo stesso basato su quei valori collettivi, riletti però in chiave del tutto nuova. Nel paragonare l’amore del passer (e quindi il proprio) a quello tra madre e figlio si cela proprio questo, la volontà di calare nel contesto della famiglia, cellula prima che compone lo stato, quella che in realtà è l’esperienza individuale e irripetibile dei singoli.


I versi 8, 9 e 10 riprendono il carme 2, e raccontano con altre parole la scena di gioco che lo caratterizza, questa volta ancora più distante, perché appartenente a un passato che non potrà più ripetersi. I versi successivi riportano la maledizione contro le ombre del regno dei morti, formula tipica dell’epicedio. Vale la pena sottolineare poi che la poesia si conclude con un nuovo riferimento al pianto, mostrando così una struttura a cerchio. Il pianto era presente anche nel primo verso, solo che, se lì era il pianto delle divinità invocate, qui è quello della donna amata, e infatti viene caratterizzato in modo molto più realistico, con il dettaglio degli occhi arrossati.

In questo carme l’arte di Catullo emerge molto meno che nei due precedenti. L’adesione alle regole di un genere, seppur per ribaltarle, impedisce al poeta di esprimere al meglio le sue capacità. A parte quindi la commistione di linguaggio alto e basso, di quotidianità ed erudizione (del resto tipica del neoterismo in generale), e la parodia, c’è ben poco altro di notevole da sottolineare, giusto l’accenno al tema della rilettura dei valori del mos maiorum romano. Tutto il resto è retorico, non brutto (assolutamente no!) ma di certo rarefatto, poco sentito, un po’ sterile in ultima analisi. È anche per questo che mi sono soffermato di più sull’analisi della prima metà della poesia e ho tagliato con velocità la seconda, perché di fatto di importante a livello di contenuto, di materia per capire la sostanza del mondo poetico catulliano, c’è poco o niente.

Dicevo all’inizio che è passato un mese dall’ultimo post su Catullo. Spero che non ne debba passare ancora un altro, ma ormai mi conosco. Comuque, chi va piano va sano, e va lontano, e nessuno ci mette fretta per arrivare a parlare del carme 4. A presto!

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