L’altra volta avevo pronosticato il
prossimo post su Catullo nel giro di due settimane. È passato un mese. La
puntualità non è il mio forte, ma non importa! Vediamo subito che cosa ha in
serbo per noi il carme 3 di Catullo!
Il carme 2 e il carme 3 costituiscono il
dittico del passero della donna amata. Nel carme 2 abbiamo visto la descrizione
di un momento di gioco della donna con il suo animaletto, e abbiamo visto come
negli ultimi versi quello che pareva solo un quadretto raffinato diventava specchio
dell’insoddisfazione del poeta. Nel carme 3 troviamo raccontata la morte del
passero. Vediamo come Catullo tratta questo tema, e come lo interpreta
attraverso le istanze della poesia neoeterica e attraverso la sua spiccata
sensibilità artistica.
“Lugete
o Veneres Cupidinesque
et
quantum est hominum uenustiorum.
passer
mortuus est meae puellae.
passer
deliciae meae puellae.
quem
plus illa oculis suis amabat.
nam
mellitus erat suamque norat
ipsam
tam bene quam puella matrem.
nec
sese a gremio illius mouebat
sed
circumsiliens modo huc modo illuc
ad
solam dominam usque pipiabat.
qui
tunc it per iter tenebricosum
illuc
unde negant redire quemquam.
at
uobis male sit malae tenebrae
Orci.
quae omnia bella deuoratis.
tam
bellum mihi passerem abstulistis.
o
factum male. o miselle passer.
tua
nunc opera meae puellae
flendo
turgiduli rubent ocelli. „
“Piangete,
Veneri e Amori,
e
tutti quanti gli uomini gentili.
È
morto il passero della mia ragazza,
il
passero, delizia della mia ragazza,
che
lei amava più dei suoi stessi occhi.
Era
dolce, e conosceva la sua padrona
tanto
bene quanto una figlia conosce la madre.
Non
si allontanava mai dal suo grembo,
ma
saltando qua e là
pigolava
sempre alla sua sola padrona.
Ora
lui attraversa quel sentiero irto d’ombra
dal
quale si dice che non torni mai nessuno.
Maledette
siate voi, malvagie ombre
dell’Orco,
che divorate tutto quanto è grazioso;
tanto
grazioso era il passero che vi siete prese.
O
triste evento! O passero infelice,
per
causa tua i piccoli occhi della mia ragazza
si
gonfiano e arrossiscono dal pianto. „
Inutile ribadire che la traduzione non
ha nessuna velleità artistica, ormai lo sapete. Quello che mi interessa è
offrire un testo chiaro su cui poter lavorare.
Come dicevo prima, carme 2 e 3 sono collegati,
ma questo collegamento non è soltanto tematico, ma si riflette anche
nell’operazione letteraria che viene attuata attraverso la loro composizione.
Nello scorso articolo spiegavo come il carme 2 fosse la parodia degli inni agli
dèi. Bene, anche il carme 3 è una parodia, ma di un altro genere letterario,
l’epicedio, ovvero il canto di lamento per la morte di una persona. La parodia
viene attuata qui come nel carme 2, ovvero attraverso la sproporzione tra la
materia e lo stile. L’epicedio è per sua natura un genere altisonante e
pomposo, si tratta di una lamentazione funebre del resto, e qui viene dedicato
a un ben misero defunto, ovvero un passero. Le invocazioni del primo verso,
quindi, risultano eccessive ed esagerate, addirittura per un animaletto vengono
tirati in ballo Venere e gli amori! Anche il verbo lugete contribuisce a
rendere maestoso il tono in modo ridicolo: lugere infatti significa piangere,
ma non è un pianto sommesso, quanto un pianto urlato e disperato. Più in
generale, tutto il componimento suona altisonante, per via delle immagini
iperboliche che vengono usate, e della maledizione finale alle ombre infernali.
In questo contesto di stile elevato
Catullo non dimentica di essere un neoterico, e perciò, in un’operazione molto
efficace, inserisce in stilemi alti parole del lessico comune e quotidiano, che
poi, come abbiamo visto negli articoli scorsi, sono una caratteristica
particolare della lingua dei poetae novi. Tra queste parole possiamo citare
come esempi il verbo pipio al verso 10, l’aggettivo bellus ai versi 14 e 15(che
significa carino, grazioso, e che poi è diventato il “bello” italiano,
assumendo però un significato più affine a formosus), il verbo fleo all’ultimo
verso, che non è popolare ma è sicuramente meno alto di lugeo, e infine tutti i
diminutivi dell’ultimo verso, ocelli e turgiduli. Questa opposizione tra
linguaggio e stile non fa altro che accentuare lo scarto che genera la parodia.
Non dimentichiamo inoltre che il
neoterismo si rifaceva alla poesia alessandrina. L’alessandrinismo di questa
poesia è duplice: da un lato nel contenuto, infatti la lamentazione per la
morte di animali è frequente nella poesia ellenistica, come dimostrato dall’Antologia
Palatina, dall’altro nei riferimenti dotti che emergono di tanto in tanto.
L’esempio più lampante è l’invocazione a più Veneri e a più Amori. Infatti, la
tradizione mitica voleva che Venere e Amore fossero unici, come del resto sono
unici tutti gli altri dèi, non è che esistono due Nettuno. Tuttavia, una certa
tradizione di poesia erudita ellenistica aveva moltiplicato queste figure, come
per esempio ci dimostra un frammento di Callimaco. Se quindi qui Catullo parla
al plurale è perché vuole mostrare di avere accolto la lezione più dotta e meno
vulgata del mito.
Il verso 2 è un grande omoteleuto, visto
che su cinque parole le tre più lunghe finiscono tutte con la stessa sillaba.
L’omoteleuto ha qui lo scopo di cadenzare il verso, dando l’impressione di
scandire il ritmo di una marcia. La parola venustus è molto importante, perché
si riferisce agli uomini eleganti, raffinati. Nella traduzione ho usato la
parola gentile nel senso in cui la usano i poeti del ‘300, perché mi sembrava
ci stesse bene e rendesse in modo efficace il significato della parola latina.
E perché per quanto sia una traduzione di servizio questo non significa che
debba proprio fare essere brutta. Comunque, è importante perché dice che gli
uomini che devono piangere non sono tutti, ma solo quelli raffinati, che qui
assume duplice valenza: indica gli uomini in grado di provare alti sentimenti,
ma anche quelli dotti abbastanza da poter cogliere i riferimenti e l’eleganza
della poesia che hanno di fronte.
Il verso 3 è una diretta citazione del
carme 2, e serve, in caso qualcuno, dopo aver letto la parola passer, avesse
ancora qualche dubbio, a confermare il legame che collega carmi 2 e 3. È in
anafora con il verso 4, e insieme costituiscono l’invocazione solenne, e
naturalmente ironica, all’oggetto della poesia, il passero defunto.
Nel carme 2 il poeta sottolineava lo
scarto che passava tra lui e il passero, e così implicitamente affermava di
voler essere amato dalla donna come l’animaletto. Nel carme 3 l’associazione è
ulteriore, ed è realizzata attraverso espliciti rimandi al carme 8, rimandi che
esaminerò più nel dettaglio quando mi occuperò del carme 8 stesso. Per ora,
basti sapere che si va a creare una perfetta corrispondenza tra il passero e
Catullo, andando così a sovrapporre le due figure. Il passero è alter ego di
Catullo nella misura sono accomunati dai sentimenti che provano. Nel carme 72
Catullo affermerà di aver amato la sua donna come un padre ama i figli. Salta
subito agli occhi l’analogia con la similitudine usata qui, che paragona la
ragazza amata e il passero a una madre e una figlia. Il sentimento tra
Catullo/passero e la donna non è quindi un amore semplicemente carnale, è un
amore legato a un vincolo familiare, è un amore istituzionalizzato quasi, ma al
tempo stesso naturale e non solo fisico ma anche affettivo.
Incontriamo qui adombrata una tematica
fondamentale della poetica catulliana, quella che costituisce una sua cifra
originale e unica. Quell’aspetto che caratterizza Catullo in modo
straordinariamente preciso, e che lo rende anche molto romano, se capite che
cosa intendo. Un greco non avrebbe mai potuto pensare a una cosa del genere,
per lui non avrebbe avuto senso. Ma per un romano, per un romano con la
sensibilità di Catullo che vive in un momento in cui, per quanto non si
interessi della vita politica della sua città, non può che risentire delle
lotte intestine e del crollo dei valori che tanto terrorizzava gli
intellettuali dell’epoca, per un romano così dicevo tutto ciò ha senso.
Accenno soltanto a questo tema per
riprenderlo poi molto oltre, quando sarà necessario. Ciò che Catullo cerca
dalla ragazza che ama non è soltanto l’amore, ma è una rilettura di questo
sentimento attraverso i valori della tradizione romana, che sono tipicamente
collettivi, e tendono a dissolvere l’individualità nella totalità dello stato. Catullo
vuole un amore unico e individualista e al tempo stesso basato su quei valori
collettivi, riletti però in chiave del tutto nuova. Nel paragonare l’amore del
passer (e quindi il proprio) a quello tra madre e figlio si cela proprio
questo, la volontà di calare nel contesto della famiglia, cellula prima che
compone lo stato, quella che in realtà è l’esperienza individuale e irripetibile
dei singoli.
I versi 8, 9 e 10 riprendono il carme 2,
e raccontano con altre parole la scena di gioco che lo caratterizza, questa
volta ancora più distante, perché appartenente a un passato che non potrà più
ripetersi. I versi successivi riportano la maledizione contro le ombre del
regno dei morti, formula tipica dell’epicedio. Vale la pena sottolineare poi
che la poesia si conclude con un nuovo riferimento al pianto, mostrando così
una struttura a cerchio. Il pianto era presente anche nel primo verso, solo
che, se lì era il pianto delle divinità invocate, qui è quello della donna
amata, e infatti viene caratterizzato in modo molto più realistico, con il
dettaglio degli occhi arrossati.
In questo carme l’arte di Catullo emerge
molto meno che nei due precedenti. L’adesione alle regole di un genere, seppur
per ribaltarle, impedisce al poeta di esprimere al meglio le sue capacità. A
parte quindi la commistione di linguaggio alto e basso, di quotidianità ed
erudizione (del resto tipica del neoterismo in generale), e la parodia, c’è ben
poco altro di notevole da sottolineare, giusto l’accenno al tema della
rilettura dei valori del mos maiorum romano. Tutto il resto è retorico, non
brutto (assolutamente no!) ma di certo rarefatto, poco sentito, un po’ sterile
in ultima analisi. È anche per questo che mi sono soffermato di più
sull’analisi della prima metà della poesia e ho tagliato con velocità la
seconda, perché di fatto di importante a livello di contenuto, di materia per
capire la sostanza del mondo poetico catulliano, c’è poco o niente.
Dicevo all’inizio che è passato un mese
dall’ultimo post su Catullo. Spero che non ne debba passare ancora un altro, ma
ormai mi conosco. Comuque, chi va piano va sano, e va lontano, e nessuno ci
mette fretta per arrivare a parlare del carme 4. A presto!
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